Racconto premiato di Rosa Maria Corti


Rosa Maria Corti con questa opera è 7^ classificata al Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2007


L’equivoco

La piccola utilitaria si allontanò qualche metro dalla pompa di benzina, poi, rispondendo dolcemente ai comandi, accostò al negozio di generi extra-doganali, proprio vicino al guard-rail che sorgeva a protezione dalle scoscese rive del fiume.
Per un attimo nell’aria non vi furono che lo sbattere d’una portiera, il rumore di passi diretti verso le vetrine che mandarono il riflesso d’un uomo ancor giovane, di statura media, i capelli castano chiari e ondulati, poi i grilli ripresero il loro assordante frinire.
Poco più tardi lo sconosciuto, di ritorno alla vettura, ristette per alcuni istanti con il sacchetto della spesa ad osservare il fluire dell’acqua in fondo alla scarpata ed i rampicanti che s’avvinghiavano al metallo della barriera. Fissava le volute capricciose dei germogli ma il suo sguardo era come perso lontano, opaco come il verde delle foglie ingrigite dalla polvere delle automobili che transitavano nella bella stagione ancora più numerose del solito, dirette ai superbi panorami del Maloja e dell’Engadina.
Poi, quasi controvoglia, l’uomo salì in auto e s’avviò verso la dogana. Il gendarme di guardia, riconosciutolo, gettata un’occhiata distratta all’abitacolo, additando i barattoli di yogurt che erano usciti dal sacchetto di plastica e si erano sparpagliati sul sedile posteriore,
disse: «Una volta o l’altra dottore mi deciderò anch’io ad acquistare questa medicina», poi, sorridendo, gli fece cenno di proseguire.
La prima volta che aveva visto transitare alla dogana l’utilitaria senza il contrassegno dei frontalieri, il finanziere non vi aveva badato ma, in seguito, a causa di un certo andirivieni negli orari più impensabili, il suo fiuto di poliziotto s’era messo in allarme. Del resto già da un po’ di tempo i suoi controlli erano diventati più meticolosi, quasi snervanti, precisamente da quando alcuni individui insospettabili della zona erano stati fermati perché coinvolti in un traffico di stupefacenti. A farne le spese erano proprio i frontalieri che, dopo una sfibrante e movimentata giornata di lavoro nelle cucine e nei saloni dei più rinomati alberghi svizzeri, lassù al passo e nell’amena conca di fama internazionale, agognavano la quiete del focolare domestico.
A ripensarci bene fu alla fine dell’estate che Stefano si decise ad entrare in azione. Forse aveva letto troppi romanzi gialli durante il lungo inverno in valle, ma la prudenza, si sa, non è mai troppa.
Ben vero che, ai controlli, su quella vettura che portava il simbolo degli Ippocratici non aveva mai trovato nulla di sospetto, solo un gran disordine nel bagagliaio dove, accanto agli immancabili scarponi, giacca a vento, cappellino, v’erano alla rinfusa riviste mediche, libri, ombrelli, magliette, scatole di biscotti. Ciononostante c’era nello sguardo di quell’uomo gentile e garbato qualcosa d’indecifrabile che lo aveva spinto a pedinarlo. L’aveva fatto profittando della fine d’un turno di guardia.
S’era tolto in fretta la giacca della divisa e via all’inseguimento, ben inteso con estrema cautela, ad una certa distanza, senza comunque mai perdere di vista la piccola vettura color fumo di Londra.
L’uomo sembrava guidare con una certa impazienza, come se dovesse rispettare un orario prestabilito, andare insomma ad un appuntamento.
L’aveva seguito fin quasi al passo, tornante dopo tornante, poi l’aveva visto svoltare in direzione d’un piccolo villaggio non ancora toccato dal traffico turistico proprio a causa della ripidissima e tortuosa strada d’accesso e della sua posizione isolata, apparentemente infelice, ma logica se si pensa alla necessità, un tempo, di destinare il minor spazio possibile ad uso abitativo per avvantaggiare le coltivazioni. D’inverno lassù non rimanevano che poche famiglie, durante l’estate invece molti proprietari, ormai lontani per lavoro, riaprivano le antiche case di pietra, ereditate di generazione in generazione e curate con estremo amore. Si risentivano così il profumo della polenta abbrustolita, l’odore di fumo, di camino e quello acre di stallatico. Per Stefano ripercorrere allora quei viottoli era come ritornare all’infanzia, come se il tempo non fosse passato e nulla fosse cambiato.
Le vie del paese acciottolate e strette, percorribili unicamente a piedi, risuonavano di passi, di voci. Uno scalpiccio continuo che s’infittiva poi si allontanava, un chiacchiericcio simile ad una musica dolce, mai urlata come quella che piaceva tanto a suo figlio.
Lo faceva preoccupare quel suo ragazzo.
Da quando erano tornati ad abitare in valle non riusciva a legare con i suoi coetanei, non faceva che lamentarsi, rimpiangere la tenenza vicina al mare, il caldo, i bagni fuori stagione. Questi, invece, diceva, erano posti buoni solo per i lupi.
Per lui era diverso, c’era nato in quelle montagne. Amava l’aria sottile, frizzante anche durante i mesi più caldi, il cielo blu intenso, terso e puro, il profumo dei fieni e degli abeti che arrivava a folate, lo scampanio delle mandrie al pascolo su prati verdeggianti, così curati da sembrare finti.
Suo figlio invece sembrava amare solo le città e le marine, pareva volersi estraniare dalla realtà mettendosi una cuffia ed ascoltando una musica che a lui proprio non riusciva di capire.
Per lui musica era la parlata della sua gente, erano quelle voci che gli giungevano smorzate dal suo appostamento nei pressi d’un vecchio edificio, elementare nella struttura esterna, ma che dava un’idea di solidità e di forza.
Dovette attendere poco, giusto il tempo d’osservare le decorazioni a graffito che circondavano le finestre strombate per fare entrare più luce possibile, poi vide uscire il suo uomo con l’inconfondibile sacchetto della spesa che pesava un po’. Tirò ad indovinare il contenuto. Le persone che giungevano sin lassù, d’altra parte, acquistavano immancabilmente la rustica torta di noci, salsicce affumicate, cioccolato, latte e yogurt.
Stefano seguì lo sconosciuto senza dare nell’occhio fino alla piazzetta dov’erano posteggiate poche auto. Vide l’uomo sostare un istante con lo sguardo rivolto al fondovalle e alla corona di montagne sul versante opposto. Anche lui osservò con un senso quasi di riverenza il paesaggio delle cime innevate, il panorama immortalato per sempre nel trittico della “Vita” da Giovanni Segantini, il celebre pittore della montagna, che s’era innamorato di quei profili severi svettanti su cieli splendenti di luce, pervasi da una ventosa purezza e da un senso del tempo cosmico, al punto di trasferirsi con tutta la famiglia in quello sperduto angolo di mondo.
Quando Stefano si riscosse vide lo sconosciuto avvicinarsi alla propria vettura, sistemare sul sedile posteriore il sacchetto della spesa, salire a bordo ed incominciare la discesa verso il fondovalle. Lo seguì dunque, lentamente, fino alla dogana dove, quella volta, i suoi colleghi finanzieri non lo fermarono neppure. Lo seguì altre volte, ancora lassù fino a quel villaggio dove prima del suo trasferimento e del successivo ritorno al paese natio, non era stato che un paio di volte, nella stagione autunnale, con amici cacciatori. Prima di raggiungere la baita sui monti avevano fatto la spesa nell’unica bottega del paese. Chissà, si chiese, se l’anziana proprietaria si ricordava ancora di lui.
Fu quel pensiero a fornirgli una sorta di alibi per entrare e porre qualche domanda, ben sapendo che la gente del posto era solidale e poco incline alle confidenze.
La padrona del negozio stava servendo una giovane cliente, così, mentre cercava le parole più adatte per non creare inutili allarmismi, si guardò intorno.
Non era cambiato nulla nel piccolo emporio, come allora tiepido, tranquillo e semibuio. Stesso basso soffitto di legno, identico profumo di spezie, di cannella. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Ma ecco che una fotografia proprio dietro il bancone attirò il suo sguardo. Fece un passo avanti per poter vedere meglio. Non ricordava d’avere visto prima il ritratto di quella giovane donna bionda. Lo colpì l’espressione del viso malinconica ed insieme vagamente ironica.
«Eh sì, una bella figliola mia nipote, lo dicono tutti quelli che entrano qui».
Stefano, come colto in fallo, sobbalzò alle parole della negoziante che aveva seguito il suo sguardo ma non ebbe il tempo di replicare.
«Non doveva capitare, proprio a lei. Che disgrazia! Non se lo meritava… Era fidanzata, sa. Lei che diceva di non essere fatta per il matrimonio, che aveva respinto diversi corteggiatori che per lei avrebbero fatto carte false, s’era andata ad innamorare d’un dottorino della “bassa” e s’era decisa al grande passo.
Un campanello sembrò risuonare nella mente di Stefano che improvvisamente rammentò una delle frasi preferite di sua madre. “ Quando trovi la verità, la senti subito squillare come un carillon nuovo di zecca».
“ Il dottorino”, pensò, “vuoi vedere che si tratta della stessa persona che mi affanno a seguire su e giù per queste contrade”.
Intanto la donna aveva ripreso a parlare.
«Facevano proprio una bella coppia, sa. Biondi tutti e due, con la stessa passione per la montagna. Sempre insieme a salire fino in vetta, a godersi la vista di un minuscolo lago azzurro, dello stesso colore del cielo. Al tramonto tornavano qui da me e avevano ancora quel riflesso negli occhi».
“ A ripensarci”, rimuginò fra sé Stefano a quel punto, “ il dottorino ha proprio gli occhi azzurri”. Rimase però zitto ad ascoltare.
«Tutto il paese ha pianto. Una disgrazia simile. Pensi che quel sabato avevo chiesto a mia nipote di darmi una mano qui in negozio, ma lei aveva deciso di aiutare quelli del Soccorso Alpino nella ricerca di un turista disperso. Voleva sempre aiutare gli altri, diceva che bisognava fare qualcosa per gli altri, per dare valore all’esistenza… Poi quella nebbia, improvvisa, lassù al lago…».
Un singhiozzo improvviso chiuse la gola dell’anziana donna. Stefano, in silenzio, aspettò che si riprendesse. «Deve aver messo un piede in fallo. E sì che conosceva bene il posto ed era prudente. Ma la roccia diventa scivolosa con la nebbia. L’hanno trovata in fondo alla scarpata l’ indomani con il sole. Sul viso non aveva un graffio, sembrava addormentata. Dicono che deve aver sbattuto subito la testa contro una sporgenza e che non ha sofferto. Lui, sì, il dottore intendo, invece ha sofferto tanto e continua a soffrire. Dicevano che era andato un po’ via di testa, ma non è vero, solo che non riesce a dimenticarla.
È per questo, sa, che viene spesso qui al villaggio. Arriva, mi ordina lo yogurt e qualcos’altro, la prima cosa che gli viene in mente ma che di sicuro non gli serve veramente, poi alza lo sguardo al ritratto e se ne sta lì come se io non esistessi più. Lo lascio fare, in silenzio, cerco anzi di prendere tempo intanto che gli preparo il sacchetto della spesa. Forse vorrebbe portarsi via la fotografia, ma non oserebbe mai chiedermela, lui sa che è l’unica che possiedo. Mia nipote detestava le fotografie, era solita ripetere che avevano uno scintillio opaco, che… aspetti, non ricordo bene le parole… mi pare dicesse che nel loro straziante mai più hanno un’avvisaglia di morte. Si, diceva proprio così. Poverina, come se avesse presagito il suo destino. Poverino anche il dottore, a volte mi preoccupa sa, gli prende uno sguardo strano, un’aria smarrita. La nostra strada non è certo comoda, quando piove e ghiaccia, poi! Voi la conoscete».
Eh sì, Stefano ormai la conosceva bene quella strada, conosceva anche quello sguardo che gli era apparso indecifrabile, sospetto ed era invece solo la maschera di un dolore non ancora sopito.
Il dottore doveva avere amato davvero molto quella ragazza. Stefano si sentì turbato, avvertì come indiscreta la sua presenza. Salutò l’anziana donna promettendole di ritornare ancora, ma sapeva che non l’avrebbe più fatto. Non c’era più ragione.
Il suo fiuto di segugio l’aveva tradito, per una volta tanto aveva preso un grosso granchio. Nessuno spacciatore, nessuna pista rumena, nessun insospettabile da smascherare. Solo un uomo con la sua sofferenza. Il pensiero di Stefano corse a suo figlio, anche lui talvolta sembrava perso. Quel suo isolarsi, quell’ascoltare musica assordante non era forse una fuga dall’esistenza?
Forse anche lui soffriva, anche se sembrava cinico e talvolta diceva di odiare il mondo intero. Stefano si ripromise di stargli più vicino, di imparare a leggere nel suo sguardo, forse vi avrebbe trovato quella richiesta d’aiuto che il figlio non trovava il coraggio di porgergli.


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