I grandi Poeti del Novecento
Paul Celan
Il poeta oscurato «Quanto il cuore brucia nel petto, eroso dall’inondante dolore»
(Articolo di Massimo Barile Rivista Il Club degli autori 209.210.211 – Anno 20 – aprile 2011)
Pensate se venisse meno il significato delle parole, se tutte le parole non avessero più senso e noi, obbligati a restare muti davanti ad una finestra aperta sul mondo, a rimanere in silenzio nel momento della nascita di un figlio o davanti allo spettacolo dell’ultima alba o del nuovo tramonto infuocato. Senza parole.
Con l’ossessione di non poter offrire un senso compiuto alle nostre sensazioni: come se la Parola venisse annientata, annichilita, distrutta: non fosse più nulla.
Un baratro nel quale sprofondare senza possibilità di salvezza: niente più di una oscurità cosmica.
Come se tutte le parole venissero inghiottite da un immenso buco nero.
Il tentativo di ridare significato alla Parola sarebbe opera titanica: assordante nel suo silenzio dirompente, nella sua impossibilità, devastante nella sua condizione limitante.
E noi, ancora una volta, impotenti davanti a questo processo distruttivo.
Quando la parola incarna le esperienze della vita e diventa simbolo del travaglio dell’animo, si assiste ad una deflagrazione della mente, ad una consunzione del corpo.
Nelle sottili dispersioni dell’esistenza e nelle infinitesimali gradazioni del vivere, emerge la tensione al significato oscuro: la forza immaginifica è costantemente cosparsa di metafore, l’altalena tra il significato autentico e le immagini, diventa la sostanza misteriosa da svelare, da decodificare con attenzione, lato tenebroso da illuminare e, dopo l’esplosione, resta il nulla.
Emerge la consapevolezza di entrare in una dimensione lirica dove regnano l’inspiegabile, l’indecifrabile e l’incomunicabile, quasi a trovare nelle proprie mani una poesia dell’impossibile.
Paul Celan, l’uomo “oscurato”, al quale non resta che la forza della parola, parla all’inconscio con il suo linguaggio “interiore” e tutto diventa sostanza dell’allegoria della vita.
Ciò che non è comunicabile prende il sopravvento sul “senso” e soffoca la pretesa di rendere chiaro ciò che non può essere chiaro: viene meno ogni punto di riferimento ed è impresa ardua decifrare un “linguaggio sconosciuto”.
Un proverbio rumeno recita così: «Persino il silenzio è una risposta». È una visione che nasce nella stessa terra del poeta.
Lo sguardo di Celan scenderà nelle zone impenetrabili, nella dimensione più segreta, con l’inevitabile caduta negli inferi e, poi, nel mondo delle parole oscure: tutto sarà accompagnato da una visione lirico onirica, da una forza immaginativa che deflagrerà nell’enigma, nell’immagine-significato.
Si assisterà ad una continua alternanza tra dimensione immaginativa, costantemente ricca di metafore, ed i significati stessi delle metafore: infine, seguendo questo processo lirico e tragico al contempo, il tema dell’oscurità avvolgerà ogni percezione.
Paul Celan è lo pseudonimo di Paul Antshel, nato a Czernowitz, nel 1920. Poeta di origine ebraica, scampato allo sterminio nazista, dal 1948 si trasferì e visse a Parigi fino all’aprile del 1970 quando si suicidò gettandosi nel fiume Senna.
Nel 1938 studiò medicina in Francia, poi letteratura nella sua città natale. Durante il periodo dell’Olocausto riuscì a scappare alle retate dei tedeschi effettuate ogni settimana nella città di Czernowitz che allora si trovava in Romania. Nel mese di giugno del 1942, i suoi genitori non lo avevano seguito fino al rifugio ed erano stati catturati: il padre morirà a causa di una grave malattia e la madre sarà assassinata nel campo di concentramento dove erano stati deportati.
Il suo destino sarà diverso e seguirà percorsi difficilmente indagabili. Paul Celan sarà “colui che è rimasto” e vivrà questa condizione nel profondo del suo animo, assumerà la sembianza d’un uomo che patisce un lamento interiore: sarà straziante il dolore per la perdita dei genitori, sarà sofferta la condizione esistenziale di solitudine da parte di un uomo al quale non è rimasto più niente e nessuno; la sensazione di portare dentro di sé il tarlo di una colpa; l’annientamento subito durante la persecuzione nazista; l’estrema difficoltà per “cercare” di superare la condizione di sopravvissuto, scampato alla morte fisica ma segnato per sempre.
Paul Celan cercò di superare tale subdola insidia interna e, con la sua poesia, affrontò una sofferta e faticosa ricostruzione, nel tentativo di una rigenerazione proprio con la lingua tedesca, la lingua degli assassini dei suoi genitori e di altri milioni di persone.
La sua dedizione e la sua attenzione verso la poesia furono esemplari: ne cercò i profondi significati, la custodì dentro se stesso come fosse sostanza di cui aver molta cura.
Paul Celan “sentiva” che la poesia avrebbe permesso di portare in superficie il dissidio interiore, i contrasti e le antinomie del proprio “essere”, il dolore dell’esistenza e, forse, di fare un po’ di luce alla sua anima.
Offrendo un profondo significato alla “parola”, le persone amate e i luoghi della terra natia potevano rivivere nella sua poesia
Dopo questa tragica esperienza, Paul Celan, dal 1945, lavorò come traduttore a Bucarest. Poi conobbe Rose Auslander e pubblicò le sue prime poesie sulla rivista Agora.
Nel 1947, Celan emigrò dalla Romania in Francia per stabilirsi a Parigi dove svolse attività di lettore di tedesco all’Ecole Normale Superieure. Tradusse in tedesco alcuni lavori di Arthur Rimbaud, di Aleksandr Blok e Ossip Mandelstam. E lesse molto: dall’Ulysses di Joyce alle Poesie Scelte di Paul Eluard.
Nell’esperienza esistenziale di Paul Celan la donna assume la funzione di figura enigmatica, soggetto bramato e ricercato, contatto umano necessario e vitale, essere-creatura con la quale dialogare e scrivere, condividere emozioni e stati d’animo, contraddizioni ed inquietudine del vivere ma “non completamente” conosciuta e riconosciuta: dissidio senza confine tra l’amore e il senso della tenebra.
Ecco allora che diventano più comprensibili i diversi rapporti con le figure femminili che entrano, in modo più o meno completo, in modo più o meno intenso, nella sua vita e nel suo mondo lirico.
La presenza femminile riconduce alla ricerca dell’amore che possa alleviare la sofferenza dell’esistenza, la frattura del senso profondo della vita, la frantumazione dell’Essere: le figure delle donne conosciute rappresentano spiragli luminosi nelle ombre esistenziali, nel dolore dell’amore perduto, dell’affetto negatogli fin dalla gioventù a causa della perdita straziante dei genitori morti in un campo di concentramento.
Il risanamento di questa frattura dell’Essere e la ricerca dell’amore/condivisione del proprio essere al mondo, comincia con la prima relazione con Rosa Leibovici, conosciuta nell’ultimo periodo trascorso da Celan nella sua città natale di Czernowitz ed è lei che seguirà il poeta a Bucarest per quasi tre anni. Poi vi sarà la presenza di Ruth Lackner, attrice austriaca di origine ebrea, ed è proprio a lei che Paul Celan offrirà la sua prima raccolta di poesie, prima di fuggire da Bucarest per stabilirsi a Parigi. Proprio nella capitale francese Paul Celan incontrerà diverse volte anche la giovanissima Llana Shmueli ma il fatale incontro per il poeta avverrà durante il viaggio per Parigi quando, attraversando l’Austria, a Vienna conoscerà la poetessa Ingeborg Bachmann: lei, per uno strano gioco del destino, è la figlia di un membro del partito nazista. Ingeborg ha solo diciotto anni ma vuole allontanarsi dalla terra austriaca e dalla presenza del padre che rappresenta “simbolicamente” la concezione politica dell’orrore nazista.
Paul Celan è un giovane ebreo, anch’egli allontanatosi dalla sua terra natia, fuggendo proprio dal nazismo e riuscendo fortunosamente ad evitare di essere imprigionato in un campo di concentramento e fare la stessa fine dei genitori. Ecco allora che nasce una sincera amicizia ed una profonda storia d’amore che li legherà per un ventennio e regalerà alla storia un intenso carteggio che rappresenta la testimonianza autentica di quell’universo di emozioni e silenzi “assordanti”, desiderio di condividere le percezioni più profonde ma anche forti dissidi interiori e serrati confronti come a “guardarsi allo specchio” per ricercare l’essenza del proprio essere.
E poi vi sarà la moglie Gisele che rimarrà al suo fianco nei momenti difficili della malattia, sia quando Paul Celan aggredirà un passante, sia quando tenterà di accoltellare anche lei; cercherà di essergli vicina anche nei continui trasferimenti da un ospedale psichiatrico all’altro; seguirà le terapie nella clinica privata di Suresnes; gli parlerà del figlio Eric quando Celan le chiederà amorevolmente notizie del figlioletto; stimolerà il poeta a scrivere e raccoglierà le poesie scritte in quel periodo così sofferto; e poi, chiederà a Paul, disperatamente: «Bisogna che ti curi. Bisogna che ritrovi la tua calma, la tua vera persona. Bisogna vincere la malattia, bisogna che tu viva, che tu scriva, che ti ritrovi nel vero». E lui, in molte occasioni, si renderà conto dell’importanza della presenza di Gisele, fino a confessargli in una delle famose lettere: «La tua anima, alta, una vela per me, che naviga».
Tutto sarà inutile come a voler sconfiggere il tempo che scorre inesorabile. Dopo una nuova crisi, durante la quale Paul Celan tenterà il suicidio con un tagliacarte, Gisele riuscirà a salvarlo ma ormai lei, già da tempo, è stanca e disperata, non ha più la forza per continuare e, dopo qualche anno, come a confermare che non è più possibile recuperare il “filo perso”, Celan si suiciderà nelle acque del fiume Senna.
E pensare che, solo poco tempo prima del tentato suicidio, aveva dichiarato: «Sono fedele al mio realismo psichico. E per quanto concerne le mie presunte cifrature, direi piuttosto polisemia senza maschera, che così corrisponde esattamente alla mia sensibilità per l’accavallarsi dei concetti, il sovrapporsi dei riferimenti. Poi conoscete anche il fenomeno dell’interferenza, azione reciproca di onde coerenti che s’incontrano. Siete al corrente del trasformarsi e rovesciarsi dialettico – il mutamento nel contiguo, nel successivo, nell’opposto. A ciò corrisponde la mia polisemia (che compare solo in certi punti di svolta, certi assi di rotazione). Essa tiene conto anche del fatto che in ogni oggetto osserviamo sfaccettature che mostrano l’oggetto da più angoli visuali, in più “rifrazioni” e “tagli”, che non sono affatto solo “apparenza”. Mi adopero a riprodurre in parole porzioni almeno dell’analisi spettrale degli oggetti, di mostrarli contemporaneamente in “più” aspetti e compenetrazioni con altri oggetti: vicini, consecutivi, opposti. Perchè purtroppo non sono in grado di mostrare gli oggetti “da tutti i lati”. Resto nelle mie cose aderente al sensibile; esse non pretendono mai al “soprasensibile”, non mi viene, sarebbe posa».
Quando il cuore brucia nel petto come materia astrale, quando il lirico e il tragico si incontrano e si accavallano, la poesia si impregna di questa tensione: l’abisso si spalanca ed inghiotte le ferite sismiche, gli affanni del pensare, la disperazione ed il disgusto.
Nei vuoti di memoria rimane il segno di quel luogo, il respiro nella dimensione di luoghi glaciali e, per il poeta, è necessario un “contro sortilegio” come ad infrangere i sigilli, a fare irruzione in un linguaggio che non sia corroso da velenose e disperanti sensazioni.
Il poeta, scaraventato “oltre”, si insinua in un ambito agonizzante, deve fare i conti con gli “annebbiamenti” dopo le numerose rinunce alla luce e, in una lettera, scrive: “Possa la mia penna tornare un po’ più agile, un po’ più vicina alle cose che accadono di là dei miei orizzonti-muraglia”.
La muraglia, il muro che imprigiona, il filo spinato che non permette di “andare al di là” di una ipotetica linea di confine: esattamente l’opposto delle atmosfere della “terra dei faggi”, la regione d’origine di Celan, la Bucovina, o come veniva chiamata dai tedeschi, “Buchenland”.
Le sue parole sono laceranti, come a grattare intorno ai volti e ai pensieri, “erosi dall’inondante dolore”: le vibrazioni “si annunciano”, ancora una volta, ma i presagi sono strozzati in gola e, nel vuoto del tempo che trascorre senza dare pace, le visioni si susseguono in un volo solitario che non può essere compreso, inconscia consapevolezza che nessuno può venire in soccorso, aiutare a superare tali devastanti dissidi interiori.
Tutto è dentro, niente viene espulso: fino a soffocare la mente, fino a condurre alla follia.
Il lamento vuol tornare nel lamento.
La difficile traversata del “suo” tratto di destino non prevede vincite né perdite, presenze né assenze, riconoscimenti o amare delusioni: la desolazione della stanza dell’ospedale psichiatrico come l’acqua della Senna possono entrambe condurre alla morte.
L’irruzione nei pensieri genera le parole, come in un vorticoso giro di una ruota celestiale: «Una lingua/ genera se stessa/ con ogni poesia sputata/ dalle macchinette o le sue/distinguibili -indistinguibili/parti».
La parola è una piaga che si genera nei sonni inquieti. Chi può dire cosa sia “vincita e perdita” in questa vita: “gewinn und verlust” perdono i loro significati che svaniscono nella polvere delle macerie dopo un bombardamento, nella nebbia d’una campagna dove regna solo il silenzio.
Paul Celan vive drammaticamente, oscurato dal “delirio di relazione” quando scrive alla moglie Gisèle del suo “filo perso”: purtroppo l’abisso si “spalanca da sè” e l’inondante dolore sgretola anche l’ultima disperazione.
Le parole sono come il “grido di un fiore che cerca di giungere a esistenza”: le “grandi margherite” che Celan amava lo stavano aspettando al di là del confine.
La ruota celestiale non concede tregua e gli “occhi si agganciano a singole parole” fino a scrivere: «Non scriverti/ tra i mondi,/ imponiti alla varietà dei significati/ confida nella scia di lacrime/ e impara a vivere»: quasi una drammatica esortazione a se stesso.
Massimo Barile