Racconto di Maria Carmen Pruna

Periodi di transizione

La musica pervade la stanza. Le sue note mi cullano il corpo in un caloroso massaggio. Tutti i muscoli si rilassano mentre le mie tempie pulsano.
Pulsano, e a me pare, al ritmo della musica, quasi, come se mi volesse ricordare che sono viva.
Eh già la vita corre ed io sono qua. Non penso ai minuti che passano, al tempo che inesorabile trascorre, penso… Bè la verità è che non penso. E non vedo niente di male in tutto questo.
Ci sono dei momenti nella vita di ognuno di noi, chiamati “di transizione”.
Sono quei periodi in cui non vai avanti ma nemmeno indietreggi.
Non muovi un passo e tutto va bene com‘è.
La tua vita è statica. Ma è davvero una così brutta parola? In fin dei conti stai aspettando, a cosa non è dato sapere. Ognuno di noi ha la propria storia personale e può essere simile a quella di un’altra persona ma
mai, assolutamente mai uguale.
Per quanto mi riguarda, sto aspettando che il periodo passi, perché in cuor mio so che passerà, voglio che ciò avvenga. Però d’altra parte non favorisco nemmeno il più lieve cambiamento. Aspetto, tranquilla a
giorni e mi lamento in altri. La mia attesa non è mai ansiosa, mi cullo nel dolce far niente. Dolce? Non tanto, ma neanche noioso. Un po’ pesante dal punto di vista fisico perché in questi periodi l’attività fisica è
l’ultimo dei miei pensieri. Devo dire a favore di questi momenti che ti preparano al cambiamento, negativo o positivo che sia, il tempo trascorso sul divano, ti prepara alla prossima evoluzione. E allora avrò tutte le energie per affrontarlo.
Sì, sarò pronta, anzi forse, lo sono già ma non ho nessuna intenzione di aiutare la Divina Provvidenza a muovere gli eventi.
Nell’attesa sarò tranquilla, a volte dalla mia bocca sgorgheranno solo lamentele, sarò poco sorridente, quasi tutto mi infastidirà, il mio corpo traboccherà di energia e sentirò i miei tendini dolermi.
Grazie a questo tempo a mia disposizione potrò soffermarmi maggiormente sulle persone a me care.
Non salterò su conclusioni affrettate, come invece avrei fatto se avessi avuto chissà quale attività da svolgere. No, con tutto questo tempo, non commetterò questo errore. Penserò ai miei avvenimenti passivi
e rifletterò.
In questo caso il tempo mi è particolarmente amico, placa la mia ira, fa emergere la mia anima, le da il dono della parola ed essa comunica direttamente col mio essere, che è ferito. Le parole che oggi ha ricevuto, da colui che dovrebbe diventare il suo sposo, sono stati pesanti e brutte, ed esso è giustamente sofferente.
Ma l’anima, con la sua infinita sapienza, gli dice di vedere oltre, bisogna saper vedere oltre. Capisce che le parole possono far male, anche lei ne è dispiaciuta, però tu, essere, che ora ti senti colpito, ti sei chiesto
cosa era celato dietro quelle frasi? E cosa ha portato il promesso sposo immensamente innamorato di te a pronunziarle?
Lui che ti è talmente intimo, sapeva che ti avrebbe recato dolore però l’amore non conosce alcuna barriera, perciò ti ha parlato, semplicemente ti ha comunicato ciò che lo rattristava. E tu, essere, ti sei risentito
perché sapevi che quelle parole nascondevano la verità e che certamente si può avere il proprio periodo di transizione senza che questo ti faccia scordare di lui. Poiché lui è la tua parte migliore. Lui è l’amore.
E l’amore è come una rosa bianca, devi curarla, pulirla ogni giorno, se non vuoi rischiare che i suoi petali così candidi diventino di un giallognolo sporco e stupido.
Sì, certo, un giorno ti sveglierai e avrai voglia di innaffiare la tua rosa bianca, la pulirai dai petali scuri, ed essa essenza dell’amore puro tornerà a splendere. Ma anche nel suo immacolato splendore, essa non si dimenticherà che non è sempre stata al centro dei tuoi pensieri e non sarà mai come averla amata ogni giorno.
“Ecco, caro Essere, questo è l’Amore. Prendere o lasciare. Non esistono vie di mezzo. Non ci sono sconti nel tempo neanche nei tuoi cosiddetti periodi di transizione.” – L’Anima pronunciò queste parole con tale
enfasi che pure il cuore si destò e guardò l’Essere.
“Al mio promesso sposo, chiedo scusa, per non aver capito prima, per averlo a mia volta ferito, inchino il capo e gli offro nuovamente il mio cuore. – Allorché il cuore sorrise, era da tempo che non lo faceva – Capisco la storia della rosa bianca e gli prometto che i petali del nostro amore saranno sempre bianchi e lucenti. Con o senza i periodi di transizione. Perché questo è quello che desidero e lui, con le sue parole mi ha fatto capire che anche lui ha il mio stesso sogno. Se, non fosse stato così non mi avrebbe parlato in quel modo, ha voluto scuotermi dal mio tepore, unicamente per amarlo. Grazie per averlo fatto e grazie anche all’Anima per aver soppresso i sentimenti di vendetta e per aver rivendicato la profondità che esiste in tutte le cose. Perché bisogna guardare oltre l’evidenza per scoprire che in tutte le cose del mondo è celato l’Amore e Dio.”
IL CAMMINO DELL’AMORE
Un uomo molto facoltoso ma assai molto rude sposò una contadinella, di quasi vent’anni più giovane di lui.
La gente del paese ne aveva timore, appena lui voltava le spalle, paroline e risatine lo accompagnavano.
La prima notte di nozze, la sua giovane moglie gli disse: “Sono tua perché il mio cuore ti appartiene. Amore è il sentimento che nutro per te ed è stato così dalla prima volta che ti ho incontrato. I tuoi soldi non potrebbero comprare il mio cuore, né potrebbero annullare la nostra differenza d’età. Solo ciò che vediamo in fondo ai nostri occhi ha il potere di annullare tutte le nostre paure.”
L’uomo non disse niente ma col cuore gonfio di sentimenti nobili, la rese la signora più elegante del paese.
Fece costruire una piccola villa nel centro e le diede il suo nome.
Lei era felice ma pian, piano il colorito roseo delle sue guance si spense. Sorrideva e usciva sempre meno.
Trascorreva maggior tempo in camera sua a leggere.
E lui non sapeva cosa fare.
Una volta pensò anche di domandarle il motivo ma lui era il signore di tutte le terre, non era abituato a chiedere. La felicità della sposa gli era dovuto, in fin dei conti l’aveva portata via dalla campagna e l’aveva vestita di pizzi e merletti più importanti del paese.
Perciò si convinse che l’età era ciò che li divideva. Un divorzio a quei tempi non era possibile neanche immaginarlo e poi lui, pur non ammettendolo viveva solamente per quella soave creatura.
Una sera lui la vide piangere. Lei vide i suoi occhi che la scrutavano e si mise a correre.
Lui cercò di raggiungerla ma dopo alcuni metri si fermò, aveva il fiato corto e seppur stanco seguitò nel camminare. Arrivò sul lago e si sdraiò.
Guardò l’immenso cielo e pensò a quanto era piccolo dinanzi ad esso.
Iniziava ad imbrunire, pensava alla sua amata ed ebbe un sussulto di paura. Paura che le fosse capitato qualcosa di brutto e che l’avrebbe persa.
E per la prima volta si congiunse a Dio.
“Se potessi rivederla, ti prometto che pur essendo una situazione nuova per me, io le chiederò se potrò fare qualcosa per rivedere sul suo dolce e bel viso, un sorriso. E anch’io imparerò a sorridere. Non sarò più il signore della terra ma vorrò essere colui che da la mano ad un povero in difficoltà. Oh Signore mio, ti prego.”
Un miagolio lo fece voltare.
La sua sposa giocava sorridente con un piccolo gatto. Mentre gli si avvicinava rivide la fanciulla che correva felice nei prati nella sua casa in campagna.
“La vita della prateria ti manca.”
Lei lo guardava con uno sguardo scintillante e pieno d’amore e gli rispose: “Sì, tu mi hai dato una casa elegante e dei bei vestiti. Ma lo hai fatto più per te che per me. A me, quelle cose non sono mai importate.”
Lui prese il gattino in braccio e gli tese la mano.
“Andiamo a casa.”
Lei lo guardò con sorpresa e con impeto lo abbracciò.
Tante volte, in passato, gli aveva domandato il permesso di portare in casa un piccolo animale e tutte le volte lui aveva scosso il capo.
Ma le cose, stasera, sotto quel cielo erano cambiate.
Si era dato la possibilità di cambiare, aveva aperto il suo cuore al Cielo che lo aveva accettato. Aveva chiesto aiuto a Dio, spogliandosi di ogni pudore e Dio lo aveva ascoltato.
Lo sposo per la sua sposa costruì una piccola casa in campagna, era piena di animali che anche lui allevava con cura. Diede lavoro a tanti umili uomini e tante volte i suoi braccianti e le loro famiglie venivano invitati alla sua tavola. La domenica non andava sempre in chiesa ma tutte le notti si affacciava alla finestra, guardava il cielo e rivolgeva una silenziosa preghiera al Dio tanto misericordioso e giusto.
Tratto dal libro “Maria”
“La maggior parte delle volte vogliamo o meglio pretendiamo che la gente, quella che ci circonda, capisca senza nessun diritto di replica ciò che stiamo per fare. Questo non avviene perché siamo sicuri di quello che diciamo o facciamo ma al contrario, dentro noi sappiamo che stiamo per sbagliare. Però sentircelo dire è sempre seccante. Ci costringerebbe a fare i conti con noi stessi e dopo questo potremo anche ammettere che stavamo per commettere una sciocchezza.
Questo comportamento lo può avere solo chi ha un animo nobile. Sbagliare, si sa può sbagliare chiunque, ma è nel realizzare di aver sbagliato che l’uomo si differenzia da un suo simile. Non è colui che non commette peccato ad essere glorificato ma è l’uomo che con tanta sofferenza guardandosi allo specchio, fa finalmente conoscenza del suo peccato e sa domandare scusa per il dolore che ha procurato. In quell’istante è il più forte degli uomini perché egli nella sua aperta confessione dimostra di non aver alcun tipo di timore.”


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