Sconvolto da un amore
Sconvolto da un amore violento,
passionale e turbolento!
In balìa degli eventi peregrinar senza mèta,
come gitana stella comèta,
fino a quando il soffio vitale,
perda la sua essenza brutale
e una brezza soave sia,
una melata malvasia,
che ricordi i bagliori
d’una culla di fiori!
Il calar del sole
Malinconico il crepuscolo,
come dolce miracolo,
bussa alle porte della sera,
ch’apre alla notte di cera,
mentre del giorno,
ovunque intorno,
sfuma il chiarore,
verso un nuovo colore!
Il sole sornione,
come a sera l’alcione,
si sottrae dal mondo,
laggiù, sullo sfondo,
e cede alla luna,
cera, della chèta laguna!
Luna civetta in mezzo alle stelle,
della notte fiamme novelle!
Tu cancella ogni affanno,
le tenebre ti stringeranno,
nel loro amplesso,
nel notturno consesso!
Si metterà da parte dei passeri,
dalle chiome dense degli aceri,
dalla cima del verde cipresso,
il chiacchierìo sommesso!
E in mezzo alle ramaglie,
in mezzo all’umide ortaglie,
lo stormir dell’aria s’ammutolirà,
ogni suono s’affievolirà!
Calerà di nuovo la pace,
invitando il cuore alla face,
invitando il cuore all’amore,
soavemente, senza rumore!
Presta orecchio,
delle tenebre allo specchio,
che riflette la quiète,
di romantiche mète!
Conserva nel cuore,
come inebriante liquore,
della poesia vissuta,
l’ambrosia bevuta,
in questo giorno,
di lirica adorno,
in questo giorno,
dal divino contorno!
Scolpisci nella tua mente,
come ricordo ardente,
i minuscoli frammenti,
d’amori mai spenti!
Rifletti sul tuo destino,
a quand’eri bambino,
cuore senza età,
cuore mondo d’empietà!
Tu che più non hai fede,
odi: ora la notte ti cede,
un inno alla vita,
che la rende addolcita!
Credi ancor nell’amore,
non aver più timore,
e non star lì inerte:
le porte son aperte,
verso il mondo del sorriso,
d’un azzurro fiordaliso,
che risorge con l’aurora,
che di nuova luce irrora!
Candela, fiaccola, torcia.
Sentimento
Ma ora
Dei pensieri più occulti,
giù nella mente tua sculti,
anche quello più truce,
porta ti prego alla luce!
Fallo sottovoce,
e togliti la croce!
Soltanto a me dilli,
gli atroci tuoi assilli!
Mia dolce creatura,
mia anima pura,
tu ch’effondi calore,
bisbiglia al mio cuore!
Fitta è la bruma
e del mare la spuma!
Fermo su un ramo,
come pescatore con l’amo,
s’attarda un bel nibbio,
poi scappa: ma cribbio!
E sparisce la coda forcuta,
tra le spire d’un onda canuta!
Ma ora,
a quest’uom che t’adora,
dopo tanti lucciconi,
nei neonati strali arancioni,
regala presto il sorriso,
ridona dolce il bel viso,
e tra gioia e tormento,
il tuo sfoga sgomento!
Maliarda
Ch’io sia costretto a sbigottirmi,
nel delirio a smarrirmi,
a diventar pallido in volto,
fino in fondo sconvolto,
è un tuo desiderio,
per me deleterio!
È un tuo folle capriccio,
mio tormentoso feticcio!
Per un grezzo scialle,
dalle frange ormai gialle,
rinunciare alla trina,
di color cilestrina,
intarsiata di schegge lucenti,
belle come gemme deiscenti!
E quell’ordito di disperazione,
quella trama della mia abnegazione!
Intrecciare al telaio le tue frivolezze,
dolorose, inebrianti bellezze!
Il tempo sembra dissiparsi nel nulla,
mia dolce, odiosa fanciulla!
Maliarda, che infinitamente adoro,
della natura capolavoro:
è per tua scelta,
ch’ogni resistenza ha divelta,
che pregno di dolor recesso,
che come mesto cipresso,
siano nelle segrete dell’anima mia,
egra d’amor di bulimia,
laggiù, come dal perverso animo streghe,
come empie creature sacrileghe,
della passione la vipera letale,
che sembra aspettarmi al capezzale,
e il sempre vivo incendio, sempre ardente,
che mi consuma il cuor morente!
Ho solo una scelta: la resa!
La mia anima è indifesa!
talli.
malata d’amore di fame = malata di fame d’amore
Ogni fantasia baratterò
Avrò pazienza,
con rassegnazione,
se è il desiderio tuo
e coi mercanti delle pulci
ogni fantasia baratterò!
Che la mia pelle
sia la sconfitta priva di luce!
Che oltre le segrete dell’anima mia,
il suo sepolcro costruisca la disperazione!
Chissà, se non altro,
in questo modo vivrà con meno dolore!
In una lastra di ghiaccio,
non ho ridotto la mia passione!
Del lor convito sfarzoso,
i miei anni verdi non ho derubato!
Nella landa fredda e inaridita,
in cui terra inesplorata è la purezza,
non ho peregrinato!
In tal guisa si son comportati tanti:
a segregare hanno provato,
lo spirito vitale,
che ne’ schiavo ne’ servo,
giacer dovrebbe,
in non flessibili contorni!
L’impantanato sentiero
della mediocrità ordinaria
hanno calpestato,
che di sovranità intanto,
salmodiava il cièlo intero!
Il pettirosso aliando,
non scorgendo,
in che modo nella scia del vento,
con distese piume vagava,
con mèta,
dove un’alpestre rupe anfrattuosa,
immacolata,
dell’argento della luna,
i residui riflessi imprigionava!
E ancora,
non scorgendo,
in che modo un edelweiss era vilipeso:
bianca, quella stella lanceolata,
il vagar d’una comèta
con le pupille stupite seguiva,
felice, se la sua natura,
talora fissata ne era!
Aver rappresentato, è vero,
alcunché vuol dire,
per un effimero tempo,
il prediletto oggetto d’amore!
Negli occhi del tuo amore aver sognato,
e piroettare la sua vermiglia fiamma,
sulle tue labbra un tempo aver gustato!
Del mio amore fanciullo,
si nutre ora il cobra bramoso del desiderio,
che i bastioni financo ne ha demolito!
Della leggiadrìa al cospetto sono stato!
Infatti,
la passione ed il tormento ho assaporato,
che son la linfa del creato!
In questo giorno
Nella pioggia grigia
errare senza meta:
sensazione insolita!
Ogni foglia è muta
ed ogni brezza!
Tra loro non si vedono
i lampioni!
È silente ogni cosa!
C‘è solo il ticchettìo
mesto della pioggia!
La terra mi sembrava
d’affetti e di calore colma,
nella mia esistenza
allorché il sole splendeva!
Non più affetti,
né più calore sento,
in questo giorno,
mentre la pioggia grigia cade!
Non c‘è uomo che possa vantarsi
d’esser sapiente
se la pioggia grigia
non conosce!
La pioggia grigia,
che da ogni cosa
lo rende alieno,
con la sua inesorabilità,
con il suo dolce,
inquietante dolore
Come piombo
Ma quanto, come piombo,
queste ore son grevi!
Non vedo fiamma
capace di darmi calore!
Non vedo fiore
che sbocci per me!
Vedo soltanto nebbia!
Sento soltanto l’umidità della notte!
Sfocata mi sbircia una luna,
che più non vedo d’argento,
da quando,
hai seppellito il tuo amore per me!
Di questo giglio
Questo giglio bambino ghermisci,
toglilo dalla sua culla!
Non temere!
Che esso vizzo diventi ho paura
e nella terra poi muoia!
Nel serto ch’adorna il tuo capo,
chissà se una nicchia ad aver riuscirà!!
Però delle tue dita,
con un’amorevole tenerezza,
rendigli gloria e prendilo!
Prima del ridestar mio,
che finisca la luce io temo
e della bellezza l’attimo passi!
Pure se lieve è la sua fragranza
e diafani i petali,
di questo giglio adornati
e stringilo tra le tue dita
fino a che luce c‘è!
Di fiori il polline
Con aguzzi, pungenti aculei,
il mio cuor fanciullo tormentare!
Di questa pesante maturità,
portare l’abito consunto!
Lo scrigno mio lasciar
ch’ogni rapace artiglio depredi!
Col sesso d’una femmina,
la mente mia confondere…
e del fato il servo altro non essere!
Tutto questo io odio, lo garantisco!
Per me, ha meno valore tutto questo,
meno, nella brezza della primavera,
che di fiori il polline,
che sperduto e sterile vola via!
Lontano rimanere io preferisco!
Da queste biforcute lingue lontano,
che pur senza saper chi sono,
l’onestà mia calpestano!
La tana più abietta è preferibile,
la fiera più selvaggia a dar rifugio adeguata,
che a quell’abisso di miserie tetro dover tornare,
dove per la prima volta,
della colpa le labbra,
assaporò il mio cuore candido!