Esile petalo di sole

di

Martina Forte


Martina Forte - Esile petalo di sole
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 40 - Euro 8,00
ISBN 9791259512994

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In copertina e all’interno illustrazioni di Cristian Sordo


Prefazione

La silloge poetica di Martina Forte comprende quattro tempi lirici che rappresentano l’espressione più fedele delle cadenze interiori dell’animo della poetessa.
Fin dalle prime poesie che compongono il tempo lirico “Il mito e la vita”, in apertura della silloge, si assiste ad una lenta immersione nel suo mondo lirico, capace d’incanti e suggestioni, proteso a fissare il nostalgico ricordo nel “silenzio profondo”, nelle ambigue metamorfosi e nel mosaico d’emozioni offerte dalla vita, seguendo un continuo processo evolutivo, fino ad esaltare le malinconiche visioni simbolicamente fissate in alcuni versi che diventano espressione fedele del suo sentimento lirico, quando scrive: “correva fra i prati ignara dell’amarezza”.
Le evidenze liriche subiscono un’evoluzione e s’intrecciano l’inevitabile attrazione e la sensazione di vivere in un torpore che conduce ad inabissarsi nel silenzio, fino a sentire un “tonfo nel cuore”, come si percepisce chiaramente nel secondo tempo lirico, dal titolo “Dolore -Erubescente stelo”.
La visione lirica di Martina Forte miscela soave lirismo e pulsante percezione che condensano “parole graffianti” e limpide immagini, quasi una decretazione della cruda sensazione di una vita che “dilania”: ecco allora il desiderio d’un dissolvimento corporeo che viene rivelato con i versi “vago per smembrarmi… per dissiparmi” che rappresentano fedelmente lo stato d’animo della poetessa.
La sua Parola riesce ad incantare con un intenso lirismo, capace di indagare nei giacimenti emozionali e di scavare nelle percezioni profonde dell’animo: si avverte chiaramente che la poetessa custodisce nel cuore un bene prezioso che cerca di preservare dalle ingiurie della vita.
Nel terzo tempo lirico, “Legàmi – Legata”, la carne si fa “sanguinosa” e tutto diventa “chimera”: il suo corpo risulta pietrificato, come “ritratto” per allontanarsi dalla “succulenta bramosia degli uomini” che incarna liricamente la caduta nell’illusione, la solitudine “spaventosa” che attanaglia come a non poter più “sopportare la vita”.
Il pensiero diventa dolore ma, nell’ultimo atto del processo lirico dal titolo “Amore-Rinascita”, emerge l’atto salvifico, la forte propensione a voler finalmente lasciar “scorrere” la vita, come ad abbandonarsi fiduciosa ad essa, senza rimorsi e rimpianti inutili, seguendo il disperato bisogno d’amare, penetrando nelle diverse manifestazioni dell’Amore per nutrirsi della sua Luce rigenerante.

Massimo Barile


Esile petalo di sole


I

IL MITO E LA VITA



Portami come alloro fra i capelli tuoi
di bruno castagno dipinti
e posami con le tue dita di salice
che piangono, più dei tuoi occhi di bosco
e prati,
all’impotenza di sfiorarmi il ventre ed il viso
che certo non sarà ginepro, incantevole
e letale,
ma piuttosto un labile scorcio di gioventù

trascinami, incantevole e solerte, laggiù
ove perisci e ti disperi
per l’umidità dei sogni che ti spaccan le ossa
e lasciami giacere in silenzio al fianco tuo
mentre scricchiolii si odono
nel mentre che tu ridi

e mi dispero perché non potei esser bella
se non come alloro fra i capelli tuoi,
e non potrò mai godere della mia presenza
perché in un albero mi trasformai

e adesso piangi
e ti disperi alle valli delle mie radici
e mi innaffi di disperazione e rimorso

ricorda:
fosti tu a farmi fuggir via


Di tanto in tanto
vorrei fingermi Narciso e,
così facendo,
innamorarmi di me.

passeggiando nervosa,
ferma di colpo,
perché un riflesso in un lago
mi attrae verso me

e tremante con le mani
mi accarezzerei il viso
fremendo di assaporare
quel nuovo sapore

di cui non conosco né luogo, né nome
né naso, né bocca, né fianchi, né pancia
né denti, né voce

e con essa soave
mi incanterei a parole,
che a fatti d’altronde
il primato lo han gli altri
che di bellezza mi han detto,
ma mai ne ho ossevato,
e nella disperata illusione,
mi getterei nel mio lago.


II

Dolore – Erubescente stelo



E la pura, limpida
immagine di te,
si è persa in un anelito primaverile

un giorno di fuligginosa pioggia;
una polvere sottile stagnante
nel mio verde

che non ti riconosce più:
stilettata dritta allo stomaco
quando nostalgica ricordo

l’infantile leggiadria
accanto a te,
e che con te rideva, e parlava

ma che adesso teme
di proferir parola
che risulti ridondante,

perchè troppo tempo è trascorso
da quando ti ho persa
fra le onde dei tuoi scogli,

dove sei sempre stata e
contro la quale mi struggo,
nel vano tentativo
di non perderti più

e di sentirmi in pace,
come quando da bambina
mi cullavi da sola,
nel timido silenzio della nostra stanza.


Che gran peso
trascinare con la schiena
il plumbeo feretro
della mia infanzia

farfalle più simili a falene,
orchidea tramutata in crisantemo,
l’ambigua metamorfosi di una carezza
che sferza ossuta le mie morbide gote

correvo fra i prati ignara dell’amarezza,
sottratta d’un tratto a quel candido verde,
correvo adesso per giocare,
acchiapparella divenuta nascondino

con il cuore in gola, e la bocca tappata,
mi sforzavo di non emettere suoni
ma la clessidra orizzontale
immutato il tempo segnava

e rimanevo immobile,
ascoltando impietrita
i passi frenetici, le urla insensate,
le porte sbattute, i pugni sui muri

che fragili, come
me, non potevano far altro che
rompersi, silenziosi
sgretolarsi, e portarne i segni

E continua a ripercuotersi,
mi spacca la schiena
che ricurva rimpiange
di non aver corso abbastanza.


III

Legàmi – Legata



Tremi come un’asse infestata
da mille termiti,
sei legno marcio e poroso

Carne sanguinosa,
succulenta bramosia degli uomini
il cui viscidume senti addosso

Non ti toccano
ti spolpano, ammasso di muscoli e pelle

Impensante bambola che sfila svestita di sogni e virtù,
esisti per compiacere i virgulti che fanno di te la loro peccaminosa virilità

Non puoi sottrarti neppure se tremi,
se taci o rispondi,
gli uomini – bestie – schiavi della lussuria
ti ridurranno in vergogna e tremore

E tu subirai abusi
di carne e cervello,
in silenzio nella tua vergogna,

Sarai fazzoletto sporco per le loro fantasie,
parole tra uomini che di te faranno Tremore
e Vergogna.


Artefatta carezza sul viso,
mi fa danzare come foglie in
autunno;
l’attesa di ricevere
uno stelo erubescente fattosi chimera:

esule mi poggi su un letto
che di nient’altro è fatto
senonché delle sue spine.


IV

L’amore – Rinascita



Germogli di sole lattiginoso sulla strada
che si schiude e si richiude,
un arco medioso risuona silente
mentre ai margini del salmastro blu,
che discende sul volto dolce e delicato,
nasce malinconico un crepuscolo
disperso fra l’eterea linea indistinta
che osservo seduta sul bruno tronco cavo
in cui mi immergo e mi dissolvo, lasciando
la vita scorrermi tra le radici
non assorbono nulla: aria del mondo
crudele, che abbandono
mentre mi rivolgo
allo strano sbocciare di un narciso
fra le mani morbide di velluto lillà.


Sul ciglio della strada
ho incontrato un papavero
investito da luce;
mentre io rinascevo leggera

lo smeraldo che mi osserva,
che mi scioglie,
mi sussurra cose
che credo di non capire

finché una fitta di ciò che, assopito,
mi dormiva nel petto,
mi avverte che la luce che lo investe
è quella di un verde vivo

così vivido da potermici immergere
per respirare in apnea,
per confondermi così a lungo
da non riconoscere più il mio confine.

[continua]


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