I
IL MITO E LA VITA
Portami come alloro fra i capelli tuoi
di bruno castagno dipinti
e posami con le tue dita di salice
che piangono, più dei tuoi occhi di bosco
e prati,
all’impotenza di sfiorarmi il ventre ed il viso
che certo non sarà ginepro, incantevole
e letale,
ma piuttosto un labile scorcio di gioventù
trascinami, incantevole e solerte, laggiù
ove perisci e ti disperi
per l’umidità dei sogni che ti spaccan le ossa
e lasciami giacere in silenzio al fianco tuo
mentre scricchiolii si odono
nel mentre che tu ridi
e mi dispero perché non potei esser bella
se non come alloro fra i capelli tuoi,
e non potrò mai godere della mia presenza
perché in un albero mi trasformai
e adesso piangi
e ti disperi alle valli delle mie radici
e mi innaffi di disperazione e rimorso
ricorda:
fosti tu a farmi fuggir via
Di tanto in tanto
vorrei fingermi Narciso e,
così facendo,
innamorarmi di me.
passeggiando nervosa,
ferma di colpo,
perché un riflesso in un lago
mi attrae verso me
e tremante con le mani
mi accarezzerei il viso
fremendo di assaporare
quel nuovo sapore
di cui non conosco né luogo, né nome
né naso, né bocca, né fianchi, né pancia
né denti, né voce
e con essa soave
mi incanterei a parole,
che a fatti d’altronde
il primato lo han gli altri
che di bellezza mi han detto,
ma mai ne ho ossevato,
e nella disperata illusione,
mi getterei nel mio lago.
II
Dolore – Erubescente stelo
E la pura, limpida
immagine di te,
si è persa in un anelito primaverile
un giorno di fuligginosa pioggia;
una polvere sottile stagnante
nel mio verde
che non ti riconosce più:
stilettata dritta allo stomaco
quando nostalgica ricordo
l’infantile leggiadria
accanto a te,
e che con te rideva, e parlava
ma che adesso teme
di proferir parola
che risulti ridondante,
perchè troppo tempo è trascorso
da quando ti ho persa
fra le onde dei tuoi scogli,
dove sei sempre stata e
contro la quale mi struggo,
nel vano tentativo
di non perderti più
e di sentirmi in pace,
come quando da bambina
mi cullavi da sola,
nel timido silenzio della nostra stanza.
Che gran peso
trascinare con la schiena
il plumbeo feretro
della mia infanzia
farfalle più simili a falene,
orchidea tramutata in crisantemo,
l’ambigua metamorfosi di una carezza
che sferza ossuta le mie morbide gote
correvo fra i prati ignara dell’amarezza,
sottratta d’un tratto a quel candido verde,
correvo adesso per giocare,
acchiapparella divenuta nascondino
con il cuore in gola, e la bocca tappata,
mi sforzavo di non emettere suoni
ma la clessidra orizzontale
immutato il tempo segnava
e rimanevo immobile,
ascoltando impietrita
i passi frenetici, le urla insensate,
le porte sbattute, i pugni sui muri
che fragili, come
me, non potevano far altro che
rompersi, silenziosi
sgretolarsi, e portarne i segni
E continua a ripercuotersi,
mi spacca la schiena
che ricurva rimpiange
di non aver corso abbastanza.
III
Legàmi – Legata
Tremi come un’asse infestata
da mille termiti,
sei legno marcio e poroso
Carne sanguinosa,
succulenta bramosia degli uomini
il cui viscidume senti addosso
Non ti toccano
ti spolpano, ammasso di muscoli e pelle
Impensante bambola che sfila svestita di sogni e virtù,
esisti per compiacere i virgulti che fanno di te la loro peccaminosa virilità
Non puoi sottrarti neppure se tremi,
se taci o rispondi,
gli uomini – bestie – schiavi della lussuria
ti ridurranno in vergogna e tremore
E tu subirai abusi
di carne e cervello,
in silenzio nella tua vergogna,
Sarai fazzoletto sporco per le loro fantasie,
parole tra uomini che di te faranno Tremore
e Vergogna.
Artefatta carezza sul viso,
mi fa danzare come foglie in
autunno;
l’attesa di ricevere
uno stelo erubescente fattosi chimera:
esule mi poggi su un letto
che di nient’altro è fatto
senonché delle sue spine.
IV
L’amore – Rinascita
Germogli di sole lattiginoso sulla strada
che si schiude e si richiude,
un arco medioso risuona silente
mentre ai margini del salmastro blu,
che discende sul volto dolce e delicato,
nasce malinconico un crepuscolo
disperso fra l’eterea linea indistinta
che osservo seduta sul bruno tronco cavo
in cui mi immergo e mi dissolvo, lasciando
la vita scorrermi tra le radici
non assorbono nulla: aria del mondo
crudele, che abbandono
mentre mi rivolgo
allo strano sbocciare di un narciso
fra le mani morbide di velluto lillà.
Sul ciglio della strada
ho incontrato un papavero
investito da luce;
mentre io rinascevo leggera
lo smeraldo che mi osserva,
che mi scioglie,
mi sussurra cose
che credo di non capire
finché una fitta di ciò che, assopito,
mi dormiva nel petto,
mi avverte che la luce che lo investe
è quella di un verde vivo
così vivido da potermici immergere
per respirare in apnea,
per confondermi così a lungo
da non riconoscere più il mio confine.
[continua]