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In copertina: immagine dell’autore
Prefazione
Mario Ragaglini propone un romanzo decisamente coinvolgente e capace di creare costante suspense durante l’intero processo narrativo, fino al sorprendente epilogo.
Reputo importante sottolineare, riprendendo le parole dell’Autore, che il presente libro è dedicato anche al dottor Elvino Vatteroni con numerosi riferimenti alle vicende relative alla sua vita, oltre al fatto che gli viene affidato, narrativamente, il ruolo simbolico di difensore del Bene nell’eterna lotta contro il Male.
Pare doveroso avvisare che, in definitiva, ci troviamo davanti ad una storia di vampiri, ma Mario Ragaglini dimostra notevoli capacità narrative riuscendo a creare una preziosa tessitura che ammanta d’un alone letterario la semplice storia vampiresca: direi che, quasi per magia, veniamo catapultati in una vicenda che vive una sospensione atemporale tra realtà e fantasia, tra mondo materiale razionale e soprannaturale, tra immaginifico e paranormale.
La storia narrata ha inizio nel piccolo borgo di Fossola, nel comune di Carrara, posto ai piedi del Castello di Moneta dei Malaspina, conosciuto anche per le numerose storie misteriose e fantastiche che gravitano intorno alle atmosfere del Castello e all’ombra delle Alpi Apuane.
Una comitiva di ragazzi, che si trova in vacanza, visita il Castello che ormai è ridotto ad un rudere e, durante tale visita, Debora inizia a sentirsi molto stanca, debilitata e attanagliata da uno strano malessere, oltre al fatto che, durante la notte, sarà preda di nefasti sogni che si tramuteranno in incubi.
Sono gli ultimi giorni di vacanza e Debora, insieme al fidanzato Marco, decidono di recarsi nuovamente al Castello di Moneta perché lei si sente “stranamente” attratta da quel luogo: durante la passeggiata intravedono anche un’antica villa che scoprono appartenere ad un medico che è molto conosciuto nella zona e, inoltre, viene descritto come un tipo strano, con un passato turbolento, e che pratica la medicina non convenzionale.
Nonostante tali premesse non siano delle più esaltanti, quando incontrano il medico, si rendono conto che è una persona gentile, molto accogliente ed affabile, e vengono persino invitati come ospiti nella sua casa: non sembra vero, ma tra di loro nasce subito una naturale empatia e rimangono affascinati dalla storia personale di quell’uomo.
Il misterioso personaggio si chiama Elvino Vatteroni, nato nel 1946, con un passato tumultuoso alle spalle, ora è un medico che svolge la sua attività in favore dei bisognosi e, infine, giusto per non farsi mancare un tocco di esoterismo, è anche Gran Maestro dei Templari.
Questi brevi riferimenti ai protagonisti della vicenda risultano doverosi per far avvicinare il lettore ad una trama ben più complessa e capace di riservare sorprese inaspettate.
Infatti Debora continuerà ad essere preda di incubi e, inoltre, sentirà anche una voce che pare provenire dal regno delle tenebre, e che chiama insistentemente il nome di una donna: piange l’amore di Adrian, l’uomo che le è stato sottratto dal conte Vlad ed è stato ridotto a un “non morto”.
Nel frattempo la storia si infittisce e, nel paese di Fossole e, poi, anche nel Castello Mediceo di Melegnano, iniziano a verificarsi strani casi di anemie che colpiscono solo giovani donne: il medico Elvino, insieme ai suoi Templari, cercano di indagare le cause e, anche grazie all’anatomopatologo, scoprono che le vittime sono state morse da un vampiro.
Il dottor Elvino lotterà coraggiosamente contro il Male, ma non sarà sufficiente l’esorcista per sconfiggere un essere demoniaco che porta il Male dentro di sé e che brama solo la sua vendetta: infatti, dopo vent’anni, inesorabilmente, vi sarà il colpo di scena finale.
Nel dispiegarsi della narrazione del romanzo Nosferatu vengono rese in modo perfetto le dinamiche d’una vicenda collegata all’eterna lotta tra Bene e Male, nel caso specifico, la demoniaca presenza dei vampiri, tra simbolismo d’un soggetto che vive una scissione interiore e personaggio terrificante che estrae la forza vitale dalle sue vittime, grazie ad una scrittura decisamente efficace e capace di cogliere gli aspetti più profondi del mondo interiore dei vari personaggi.
Il processo narrativo è reso in modo perfetto e l’atmosfera misteriosa è costantemente illuminata dalla scrittura di Mario Ragaglini che offre una storia capace di miscelare un simbolico percorso di salvazione con la decretazione finale che riconduce alla dimensione ultraterrena e alla costante presenza della forza del Male.
Il ritmo della narrazione risulta efficace nel cogliere gli aspetti più profondi che hanno contrassegnato le storie personali dei protagonisti del romanzo e la rappresentazione miscela molteplici evidenze collegate al mondo soprannaturale con l’alternarsi di sogni, incubi e visioni, attraverso il recupero d’una storia di vampiri, oltre ad una costante propensione a creare un intreccio misterico che diventa simbolo d’un percorso esistenziale, fino al degno sigillo narrativo.
Massimiliano Del Duca
Il dottore Elvino Vatteroni ha iniziato la sua carriera giovanile cimentandosi in diverse attività sportive, dal sollevamento pesi, vincendo i campionati italiani nella categoria “pesi massimi” e nel nuoto, vincendo nel 1965 i campionati italiani nei 100 e 400 metri stile libero. Nel 1982 si è laureato a Pisa, in Medicina e Chirurgia, Specializzazione otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale.
Consulente chirurgie otorinolaringoiatriche e odontoiatriche presso varie strutture toscane. Pioniere dell’implantologia in Toscana dagli anni ’80. Partecipazioni e interventi a livello mondiale in convegni odontoiatrici (Belgrado 1985).
Organizzatore e relatore di Convegni Medicina Integrata e Benessere Fisico dal 2010. Dal 2000 studia la biosi del cavo orale e dell’intestino. È specialista in medicina Olistica.
Nosferatu
Parte prima
I
Un piccolo borgo ai piedi d’una collina dove regna indisturbato il rudere dell’antico castello di Moneta, risalente secondo alcuni attestati notarili al 1252. Moneta, una colonia romana di Luni del II sec. a.C. “fundum gentil Monetia”, trasformata in “castrum” nel VI sec. dai Bizantini. I Marchesi Malaspina, ultimi proprietari del castello, radunarono presso la rocca tutti gli agglomerati di famiglie che nel 1750 si spostarono al piano, nella fossa circostante il torrente, da cui si formò il borgo, con il nome di Fossola. Durante il marchesato, la vita si basava soprattutto sull’agricoltura e gli abitanti dovettero trasferirsi al piano per scarsità di acqua, recuperata dal vicino canale, chiamato Fosso. La sera, a fine giornata, gli uomini del paese, dopo essersi spaccati la schiena nei campi, prima di recarsi alla magione, si ritrovano al bar centrale per il solito bicchiere di vino e quattro chiacchiere.
Fossola è un borgo tranquillo su cui sovrasta la Chiesa di San Giovanni Battista, ricca di cimeli provenienti dall’omonima chiesa di Moneta, costruita nel 1783 con il contributo finanziario di Maria Beatrice Principessa di Carrara. Il castello domina tutta la valle fino al mare, oscurato ad ovest dal monte di Santa Lucia, che impedisce di vedere la foce del fiume Magra; ad est, è visibile la città di Carrara, incastonata come in una conchiglia dalle Alpi Apuane. La rocca, diventata ormai un rudere per il disinteresse delle amministrazioni, è meta periodica di visitatori, appassionati di storie medievali e di vecchi manieri. Prima d’iniziare la salita che porta al castello, le comitive fanno sosta al bar per una bibita e chiedono indicazioni. L’oste, con atti di cortesia, si presta a indicare il percorso:
– Seguite quel vicolo, è piuttosto ripido, ma percorribile. Vi consiglio di scendere prima del calar del sole. Per mancanza d’una illuminazione adeguata la discesa può essere pericolosa, più volte si sono verificati incidenti.
– Si raccontano storie fantastiche, quanto c’è di vero? – E l’oste, – storie… storie – e si allontana senza dar spiegazioni.
Il vicolo che porta al castello, non è un percorso facile, è ripido e a tratti ci si deve fermare per riprendere fiato, inoltre è reso ancor più precario quando è percorso da veicoli che vanno alle case sparse qua e là lungo il crinale. La comitiva s’incammina, giocando e scherzando, come fanno i giovani spensierati.
– Debora, quando saremo arrivati evocherò i fantasmi del castello per farti rapire.
– Come sei stupido, fai tanto lo spiritoso ma sei sempre stato un cacasotto. – Tommaso, noto tra i compagni per essere un provetto arrampicatore, ha allungato il passo e si è nascosto dietro una siepe; al passare della comitiva, salta d’improvviso fuori con un grido di terrore: – Il fantasma! Il fantasma! Scappate! – Le ragazze: – il solito scemo. – Debora infastidita: – Stupido, mi hai fatto gelare il sangue, con tutte queste tue fantasie mi è venuta l’angoscia. – Erika, nonostante i suoi diciotto anni, sente il percorso troppo duro e sta ansimando: – Rallentate, non ce la faccio più! – Sandro, ironico risponde: – Sbaglio, o vai in palestra?
– Certo che vado in palestra, ma oggi sono indisposta.
– Allora ci sarà da preoccuparsi, sei un richiamo per assetati di sangue.
– Il solito cretino! Vai avanti va! Anzi, dammi una mano.
Arrivati in prossimità della torre, un signore sulla sessantina, con in testa un cappello nero e la faccia scarna che mette in evidenza due grandi globi oculari scuri, e folte sopracciglia, esce da una casetta posta sotto le mura del vecchio rudere, risistemata e resa abitabile. Come fosse il custode, infastidito dalla presenza della comitiva:
– Giovanotti, di qui non si può passare, se volete vedere il castello, per quel che ne rimane, percorrete quel viottolo, – e indica un’apertura verso nord che si affaccia alle Alpi Apuane, luogo di lavoro del duro mestiere del cavatore, dove Michelangelo si recava per scegliere i blocchi informi adatti alla realizzazione delle sue opere. I quattro giovani spensierati, seguendo il viottolo, entrano nella rocca: del vecchio castello è rimasto ben poco, ma i visitatori ne sono comunque attratti. Il percorso si presenta irto di pericoli, ed è subito evidente che nessuno ha mai provveduto a restaurare quanto è rimasto dell’antico maniero, e tutto si è fatto aleatorio. Tommaso, il più intraprendente, saltellando qua e là tra un masso e l’altro, esplora ogni anfratto e si ferma in presenza d’una grata in ferro battuto che impedisce l’accesso a una zona buia, nella parte più profonda del castello.
– Qui non si procede, è tutto sbarrato, mi piacerebbe vedere cosa nascondono queste grate, ma a quanto pare non vogliono che si entri. – Erika premurosa: – Sarà pericolante, meglio uscire, non si sa mai, potrebbe caderci addosso qualcosa.
– Forse sarà la dimora dei fantasmi – Sandro di origine siciliana: – è la dimora di sta minchia! Dai esci di lì, qui non arriva neppure l’ambulanza, e poi si sta facendo tardi, scendiamo. – Debora, nonostante la passione per i vecchi castelli, manifesta un po’ di delusione: – Non mi sembra d’aver trovato qualcosa d’interessante, solo un mucchio di sassi e quattro mura pericolanti. Andiamo al Pub a trovare gli amici. – I quattro giovani, dopo aver fatto alcune fotografie, si apprestano a uscire. Erika, s’accorge che il presunto custode li osserva da una finestrella. Quella figura scarna e lugubre la infastidisce:
– Avete visto quel tizio, ci sta controllando! – Sandro, al quale non è sfuggita la presenza dell’uomo: – Ho visto! Ho visto! Se prova a dirci qualcosa, gli spacco la testa con questa pietra che ho portato via come souvenir.
– Non esagerare, è semplice curiosità.
– I curiosi non li ho mai potuti sopportare. Comunque ragazzi, è più faticoso scendere che salire, ci vogliono i freni a disco. – Debora, che frequenta un corso di laurea in storia medioevale: – Questi castelli venivano costruiti in alture difficili da raggiungere, proprio per proteggersi dagli invasori che venivano dal mare.
Tra una chiacchiera e l’altra la comitiva arriva al piano che già s’è fatto buio e decidono di tornare a casa per incontrarsi dopo cena.
La sera tra un bicchiere di birra e qualche distillato aromatizzato, i giovani esploratori raccontano la loro avventura. Debora, ragazza bella e affascinante, assidua frequentatrice di vecchi manieri, descrive le sue emozioni:
– Del castello rimane ben poco, ma quelle mura diroccate mi hanno riportato al passato, mi sembrava di udire il suono delle armature di cavalieri che rientravano dalla battaglia; le dame e i cortigiani che salutavano gli armigeri agitando il fazzoletto tutto ricamato, in segno di rispetto e ammirazione. Quel fazzoletto che allora era considerato come un gioiello e che oggi non è più di moda ma qualifica chi lo porta ancora, come una persona di classe. La Lunigiana è intrisa di storia medievale e quando tornerò a Milano avrò qualcosa da raccontare. – Marco, noto nella combriccola per essere un dongiovanni, ha ascoltato il racconto, ma con la sua indole di modernità, la interrompe:
– Cara, il passato è passato, quando guardo mio nonno, nonostante il bene che gli voglio, sapere che tra cinquant’anni sarò come lui, mi mette tristezza. – E si toglie la camicia: – Questa è la modernità! – E mette in mostra il torace, come il Davide di Michelangelo. – Erika, conoscendo le sue reazioni, lo provoca: – Ma dai! Sei un narcisista tutto palestrato, di naturale c’è ben poco.
– Vuoi vedere il naturale?
– Come sei sciocco, non provarci, non vorrei essere delusa. – Sandro rincara la dose: – Spogliarello! Spogliarello! Spogliarello!
La combriccola forma un capannello e Marco inizia lentamente a spogliarsi. Il deejay non si fa scappare la scena e accompagna l’esibizione a suon di musica. Tutti in sala si accorgono dello spettacolo e battono le mani: “Bravo Marco, sei un mito!” – “E vai!”. Arrivato alle mutandine, Debora prende la tovaglia del primo tavolo e in un attimo l’avvolge ai fianchi del ragazzo: – E no bella gente! Questa è roba privata. – Con un applauso generale tutto torna alla normalità.
– Credevate che non ne fossi capace? – L’amico intimo, Ettore: – Altroché se lo sei, saresti capace di fare l’amore in mezzo alla sala.
Si è fatta mattina e la comitiva fa rientro a casa. Debora si sente molto stanca, appena coricata telefona all’amica del cuore:
– Ciao tesoro, scusami se ti disturbo, ma prima di dormire avevo bisogno di parlare con qualcuno, sentire una voce amica.
– Amore, stavo per addormentarmi, cosa c’è che non va, hai qualche problema? Parla pure, tanto so che farò nottata.
– Non mi sono mai sentita così stanca e mi vengono strani pensieri, forse abbiamo esagerato: la mattina al mare, e poi quella arrampicata. In questa vacanza non ci siamo concesse un attimo di pausa, se penso agli esami e a quanto dovrò stare sui libri, mi viene male.
– Non pensarci ora, ci siamo divertite. Capita una sola volta e dobbiamo godercela.
Poi, confessano i loro sentimenti e si danno la buonanotte. Debora, insolitamente ha il sonno agitato e fa strani sogni: i nonni morti da alcuni anni, il suo funerale, vecchi manieri e un forte dolore all’altezza dello sterno, che la sveglia. Si domanda se può essere stato il caldo a crearle tutto quel disagio e si corica di nuovo, concedendosi una breve lettura per agevolare il sonno. La mattina, a colazione, la madre le chiede:
– Ti ho sentita camminare, hai qualche problema, ti senti male? Sei bianca, hai litigato con il ragazzo?
– Mamma non essere pedante! Ho avuto un incubo e mi sono svegliata, niente di più.
– Non devi preoccuparti, a volte capita anche a me, soprattutto quando mi pizzico con tuo padre. Cosa fai stamattina?
– Viene a prendermi Marco per andare in spiaggia. Sono gli ultimi bagni e dovrò rimettermi a studiare, ho un esame importante a fine settembre. – Suona un clacson: – Eccolo è lui!
– Non lo fai salire? È tanto che lo frequenti, mi sembra una cosa seria e ci piacerebbe conoscerlo.
– No mamma, è tardi, gli amici stanno aspettando, forse andremo in barca.
– Se non vieni a pranzo inviami un messaggio.
– Ok!
La ragazza scende velocemente le scale, sale sul cabriolet e via verso la marina. Nel grande traffico Marco si destreggia, rischiando più volte di fare un incidente, si sente come fosse un pilota di formula uno.
– Sei impazzito? Vorrei arrivare alla spiaggia tutta intera.
– Non preoccuparti, mi sembra che gambe e braccia siano in automatico. – Improvvisamente una sirena.
– Ecco! Hai visto quanto sei cretino, se va bene te la cavi con un verbale. – Il ragazzo accosta e si prepara a esibire i documenti.
– Giovanotto, ha superato gli ottanta chilometri orari, mi mostri patente e libretto; anche lei signorina, favorisca i documenti. Vedo che non siete residenti a Carrara, a Milano non ci sono limiti di velocità? Dovrei farle il fermo macchina, mi limiterò al verbale.
– Mi dispiace, un nostro carissimo amico si è sentito male e siamo preoccupati.
– Le solite giustificazioni, andate, andate.
– Ci mancava il verbale!
– Te la sei cercata bello mio, e ti è andata di lusso.
Arrivati al Club nautico, gli amici sono ad aspettare e Sandro: – Oggi si va in barca con Giovanni, siete pronti per l’avventura? Sono gli ultimi giorni di vacanza e si torna a casa, quindi all’arrembaggio.
Saliti sul natante ed effettuato il disormeggio, la barca prende il largo. Il mare settembrino è una tavola e la leggera brezza rende la navigazione piacevole, Debora, seduta sulla poppa, volge lo sguardo verso Moneta, sente per questo rudere un’insolita attrazione, e prima di partire per Milano vorrebbe ritornare fra quelle mura. Al largo di Punta Bianca, nella costa ligure, Giovanni getta l’ancora per un bagno nelle limpide acque. Marco si toglie le mutandine e s’immerge: – Erika ti ho deluso? – e tutti lo imitano. Dopo alcuni minuti Debora: – Attenti ragazzi, ho sentito dire che qui c’è un pesce chiamato grongo che morde tutto quello che penzola come fosse un’esca. – In un attimo, gli esuberanti giovanotti fanno a gara a chi arriva prima alla barca e salgono arrampicandosi l’uno sull’altro, come li stesse inseguendo uno squalo. Le ragazze scoppiano a ridere, ma cambiano espressione quando sentono che qualcosa si sta muovendo sotto di loro. In un battibaleno salgono sulla tolda. Levata l’ancora, gli apprendisti marinai decidono di ormeggiare a Portovenere per una sosta, mangiare un boccone e rientrare. La giornata è finita e si va verso casa, rimangono solo tre giorni al rientro a Milano, e Debora vuol tornare la mattina dopo al castello.
È una notte agitata per Debora, continua a far sogni strani che non aveva fatto prima; sono le cinque del mattino ed è già sveglia. Dopo la doccia e una colazione veloce, chiama il suo ragazzo:
– Questa mattina vorrei andare a Moneta, devo fare alcune foto che potranno servirmi per la tesi, mi accompagni?
– Ti prego, sono ancora addormentato. Passerò a prenderti verso le dieci, va bene?
– Ok, ti aspetterò in strada.
Puntuale, prende la ragazza e insieme s’avviano verso Fossola. Nel borgo, parcheggiata l’auto, s’incamminano verso il castello; la piccola strada è ripida e poco frequentata, se non da alcuni residenti che abitano in case sparse qua e là lungo il percorso. Prima d’iniziare l’ultimo tratto, scorgono una villa bellissima che domina tutta la vallata. Dalle informazioni ricevute da un contadino, sembra che sia abitata da un medico che svolge la sua attività, nel vicino paese di Avenza. A detta di questo signore, oltre a essere un dentista conosciuto e affermato, viene descritto come un soggetto alquanto strano, che pratica anche la medicina non convenzionale, organizza conferenze con altri professionisti, ed è presente tutte le sere in diretta Facebook. Sembra un soggetto dal passato turbolento, si dice che alcuni amici su di lui abbiano scritto un libro.
Arrivati al castello, mentre Debora scatta alcune foto, Marco si siede sulle mura ad ammirare il panorama, lei va verso la parte che è stata transennata, curiosa più che mai di sapere cosa possa nascondere quell’ambiente così buio. In prossimità della grande inferriata, rimane per alcuni minuti attonita, senza alcuna reazione. Marco, non sentendo più la ragazza, preoccupato la chiama:
– Debora! Debora! Fatti vedere, rispondi!? – Sentite le grida, si scuote dal torpore in cui era caduta.
– Cosa gridi, sono qui! – E spostandosi, agita una mano per farsi notare.
– Non ti basta quello che hai? Dai torniamo indietro, mi sono stancato di stare fra questi sassi, a te fanno effetto, a me mettono tristezza.
È quasi passata la mezza e mentre stanno scendendo incontrano il dottore che fa ritorno dall’ambulatorio. Lei, incuriosita dalle storie raccontate dal contadino, si ferma per un saluto e alcune domande.
– Buongiorno dottore, ho sentito che è un bravo dentista, oltre a un medico “rivoluzionario”.
– Buongiorno ragazzi; signorina cosa intende per rivoluzionario? Le garantisco che sono l’uomo più pacifico di questo mondo.
– Mi scusi, ha frainteso: volevo intendere che critica la medicina tradizionale e il modo spregiudicato delle aziende farmaceutiche di propinare medicinali.
– Beh! In tal caso, ci ha azzeccato, ma è un discorso complesso e non può essere trattato in strada, nell’ora in cui lo stomaco reclama i suoi diritti. Se vi fa piacere salire, mangiamo un boccone assieme e davanti a un buon bicchiere di vino potremo parlare di tutto ciò che vorrete. – I due ragazzi rimangono affascinati dal personaggio, non più tanto giovane, ma prestante e dal fisico possente che fa intuire un passato da atleta. Debora, non si lascia scappare l’occasione e accetta l’invito, nonostante Marco cerchi di declinare.
– Venite, venite, non fatevi scrupolo, mi farete compagnia, e se vi piace il vino, vi porterò in cantina ad assaporare il nettare degli dei.
Saliti sulla jeep del dottore, arrivano alla villa. I due giovani sono impressionati dalla trascuratezza e nello stesso tempo attratti dalla presenza di numerose statue in marmo e di oggetti di valore. Appena entrati, si trovano davanti a una grande sala con pavimentazione in bianco statuario e un’opera bellissima in nero assoluto che rappresenta un toro infuriato, le pareti sono abbellite da quadri di artisti noti. Di lato alla sala, una palestra perfettamente attrezzata, con sauna adiacente. Tutto lascia supporre l’amore per le cose belle e l’interesse per arte e cultura.
– Non spaventatevi per il disordine, non abito più nella villa, ci vengo quasi ogni giorno a quest’ora per seguire alcune cose, in modo particolare la vigna. Ma ora tiriamo fuori dal frigo qualcosa da mettere sotto i denti. – Aperto l’enorme frigorifero, appare davanti ai loro occhi ogni ben di dio. Debora, la cui madre è sempre stata brava ai fornelli, prende l’iniziativa:
– Dottore, se mi indica la cucina e ha la pazienza di aspettare qualche minuto, preparerò un bel piatto di spaghetti col pomodoro.
– Questa è un’ottima idea, vero Marco? Ho sentito che ti chiami Marco e tu Debora dico bene? – E la ragazza: – A lei non scappa proprio niente.
– Cara, nella mia professione niente deve passare inosservato, a volte basta una banalità per rimetterci la vita. Ma parlatemi di voi, di cosa vi occupate, immagino siate studenti?
– Io frequento un corso universitario di storia medievale e sto già impostando la tesi.
– Ecco perché siete qui! E tu che sei di poche parole, cosa fai di bello?
– Dottore, sono taciturno perché come avrà notato parla sempre Debora. Sono iscritto a Scienze Motorie.
– Avevo notato un fisico atletico. A proposito, non mi sono ancora presentato, io mi chiamo Elvino, il cui significato è “amico degli Elfi”, così sembra. Mi sono domandato come hanno potuto i miei genitori, essendo gente alla buona, aver pensato a un nome simile. – La ragazza desiderosa di storie medievali: – Dottore, si racconta che in questo maniero ci siano fantasmi, può dirci qualcosa?
– Beh, quando si tratta di castelli è inevitabile parlare di fantasmi, ma sono tutte fantasie di gente che ha un forte legame con le tradizioni. Anche ad Avenza, dove è presente la torre di Castruccio Castracani, un’antica fortificazione militare, si parlava un tempo, quand’ero ragazzo, d’un fantasma che appariva ogni tanto. Storie di gente superstiziosa, non più di moda; c’era anche chi vedeva la Madonna e riusciva a raccogliere in preghiera buona parte del paese. Tu Marco, mi sembri un soggetto con i piedi per terra, che ne pensi di tutte queste baggianate?
– Ha detto bene dottore, sono attento alle cose pratiche, non vivo di fantasie. Quando finirò l’Università mi piacerebbe fare il preparatore di una squadra di calcio, e l’insegnante di educazione fisica.
– Vi auguro che possiate raggiungere i vostri obiettivi. Ma vediamo se Debora è stata brava come penso, andiamo a tavola.
Mentre assaporano la pasta col pomodoro e fanno conoscenza, il vino sta provocando i suoi effetti e alla ragazza viene l’abbiocco. Il dottore si rende conto delle condizioni e non se la sente di lasciarli andare. Gentilmente li invita a rimanere ancora un poco, per fa sì che Debora smaltisca l’alcool, e le indica una camera dove potersi coricare.
– Tu Marco hai bevuto solo acqua, ma la tua compagna non è abituata a questi vini, vanno giù con facilità ma dopo poco piegano le gambe. Potete sdraiarvi un attimo finché non si sarà ripresa, nel frattempo metto in ordine, dopodiché vi accompagnerò alla vostra auto.
– Ho visto la piscina, preferirei fare un bagno se possibile.
– Altroché, più tardi ti raggiungerò.
Mentre il dott. Elvino sta analizzando alcune cartelle dei suoi pazienti, e Marco sta facendo il bagno, Debora si è addormentata e tutto sembra procedere serenamente, quando all’improvviso si sveglia di soprassalto con un grido di terrore. I due si precipitano, lei fradicia di sudore racconta di aver avuto un incubo.
– Avevo l’impressione che qualcuno mi toccasse ma non sono riuscita a vederlo e mi sono spaventata.
– Adesso fatevi una doccia e vi accompagno all’auto.
Giunti alla macchina, ringraziano il dottore per l’ospitalità, e si avviano verso casa, felici d’aver fatto conoscenza con una persona che si è dimostrata disponibile e simpatica, sperando, un giorno, di poterlo rivedere.
[continua]
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