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In copertina: fotografia di Francesca Delfino
Prefazione
Nella silloge, “In silenzio ti dirò”, Maria Concetta Luppino offre la sua poesia, spontanea e genuina, alimentata dal recupero memoriale e sostanza stessa delle esperienze esistenziali che hanno segnato il cammino di una donna capace di scandagliare le molteplici manifestazioni del vivere.
Le sue liriche nascono dal profondo del cuore e vengono proposte come un simbolico “dono” grazie al quale instaurare una comunione d’anima con il lettore e, non a caso, il concetto di dono poetico ritorna sovente nei suoi versi: la vita, con le sue “gioie e dolori”, è un dono prezioso, l’amore è un dono di Dio e i figli sono “gemme che riempiono il cuore”.
Il processo lirico diventa dialogo intimo e la sua visione poetica è pervasa di profonda umanità, sempre accompagnata dal desiderio di comunicare i pensieri, gli stati d’animo e le emozioni che danno voce alla sua anima e al suo cuore durante il faticoso percorso, costantemente pronta a lottare per vivere intensamente con “dignità”.
La volontà di scrivere poesie “tra le righe / del diario” della sua vita, per illuminare ciò che merita di essere salvato e dare voce al cuore, si miscela alla voglia di “sognare” e “nutrirsi” di speranza per sconfiggere la malinconia che assale e stringe il cuore, la tristezza che “non fa respirare”, lo sconforto davanti alla vita che sovente l’ha “delusa”, “rattristata” e “addolorata”.
“Scrivo il mio dolore / in questa candida / pagina. / Questo mio sorriso / leggero e sofferente,/nasconde il silenzioso / dolore che mi tortura / l’anima”: sono alcuni simbolici versi, sentiti nel profondo dell’animo, che riconducono a tale travaglio e rappresentano una sorta di confessione, senza remore e falsi veli, da parte di una donna che desidera solo rivelare se stessa, guardandosi allo specchio “urlando a gran voce / ciò che di più bello / vedo e sento nel mio / cuore”.
L’intenso recupero memoriale riconduce al periodo dell’infanzia quando, “felice e spensierata”, desiderava rifugiarsi nell’abbraccio amorevole e protettivo della madre e, poi, nel divenire della vita, il ricordo del “semplice giardino / sotto l’albero di ciliegio” quando i sentimenti e le emozioni si tramutavano in poesie che sgorgavano libere e sincere, proprio come la semplicità di quel luogo dell’anima, capace di donare pace, serenità e amore.
Nel flusso lirico emerge prepotente il ricordo della sua amata Calabria, terra natia rimasta nel cuore, con i suoi “tramonti infuocati” e i “profumi inebrianti” della Natura: le vicissitudini della vita l’hanno vista emigrare al Nord, in cerca di lavoro e di una speranza per un futuro migliore ma, al contempo, il suo cuore ha subito una lacerazione che viene solo temporaneamente alleviata dalla gioia del ritorno tra le persone care della terra natia.
L’autrice conosce molto bene il valore della memoria e la “voglia” di scrivere i giorni della sua vita diventa un giacimento prezioso dal quale attingere per illuminare i ricordi “posati nel profondo del cuore”; per irradiare il suo amore verso i genitori e i suoi figli, Francesca e Pasquale, con orgoglio e con parole struggenti.
La sua Parola è vibrante e pulsante, specchio fedele di una donna che ricerca lo “sguardo sincero”, un abbraccio che regali calore umano, un semplice sorriso che riesca a contrastare l’indifferenza d’un mondo che vede una parte dell’umanità sempre in conflitto e sofferente.
Maria Concetta Luppino è poetessa dall’animo sensibile e la sua parola è ammantata di dolcezza estrema perché ha “versato lacrime d’amore e dolore”, ma, con coraggio e forza d’animo, ricerca l’Amore puro, l’unico atto di salvazione, capace di rigenerare e far sentire ancora la passione per la vita.
Massimo Barile
In silenzio ti dirò
2017-2018
Io sono invecchiato
sto per andare.
Perdonami se tanto
non ti ho potuto dare,
sai, non è stata
colpa mia!
In questo mio tempo
qualcosa c’è stato.
C’è stata la notte
che ti ha fatto sognare.
C’è stato il giorno
che ti ha fatto vagare.
Il sole che ti ha riscaldato.
La luna che ti ha illuminato.
Il mare che ti ha divertito.
La neve che ti ha meravigliato.
Quindi non tutto ti ho fatto mancare!
Per il resto sai, non è cosa mia!
Di gente gioiosa ormai poca ce n’è.
Di gente afflitta il mondo ne è pieno.
Calamità e guerre, ce ne sono state
abbastanza.
L’uomo deve stabilire
cosa vuole davvero!
Io per le vie non avrei voluto
adocchiare
i poveretti chiamati barboni,
i padri, le madri, i bimbi
con la mano tesa
a chiedere qualcosa
per farli campare.
Le bombe, le guerre
mi hanno straziato.
Ora sono stanco,
non solo invecchiato.
Cedo il passo al nuovo arrivato.
Con l’augurio che lui possa dare
quello che io avevo nel cuore.
Io vi saluto
ma vi chiedo un favore:
non rimembrate di me solo
i tristi momenti,
rimembrate anche quelli
belli e piacenti.
La mano tesa
Davanti alla chiesetta,
con quella mano tesa,
c’era il vecchierello
che elemosinava.
Chiedeva quel soldino,
oppure si accontentava
di un tozzo di pane.
Molta gente lo ignorava,
altri voltavano lo sguardo
verso Lui.
Il vecchierello,
accompagnato dal suo
flebile sorriso per le sofferenze,
prendeva quel soldino
tanto ambito.
Tempi lontani,
tempi passati con fatica.
Quei ricordi sono ancora
presenti nel cuore
di chi li ha vissuti.
Fanno male anche
nel raccontarli,
pur se tanto tempo
è passato.
La bara bianca
Adagiato in quella
bara bianca,
c’è un piccolo angioletto.
Mi chiedo, vi domando:
cosa avrà fatto di male
un’innocente piccola
creatura per meritare
questa atrocità?
Piangono i miei occhi,
piangono il bimbo
che non conosco,
ma al solo vedere
quella bianca bara,
il cuore si stringe,
si addolora.
Preghiamo per la pace,
preghiamo che finiscano
le guerre,
che di queste cose
non si debba più
parlare.
Io prego.
E voi?
Pregherete come me.
Ascoltaci
buon Dio!
Cent’anni
Vorrei vivere cent’anni,
a braccetto con la serenità,
l’amore, la pace,
con l’unione
di tutte le genti
del mondo.
Vita
Si nasce,
si vive,
si lotta,
per poi morire
senza ribellarsi.
[continua]
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