ANTICIPO EMOZIONI
Viaggio in compagnia del Daimon,
portatore del mio destino,
senza conoscere il sentiero,
lo preparo mentre vado, passo passo.
Sono arrivata per imparare
l’arte di vivere intensamente,
parlando il linguaggio dell’anima,
cercando Amore come esperienza.
Me ne andrò in silenzio
come sono venuta,
non lascerò orme sull’acqua,
il vento cancellerà la mia voce.
Con gli occhi al cielo azzurro
ho visto piovere promesse,
e ho atteso la luna allo zenith
per avere conferme.
Ho inseguito scie colorate
ad ogni crepuscolo,
per collezionare
luci sempre diverse.
Ho anticipato attese
di piccole gioie e sono felice,
se penso che il mio orto avrà fiori
e ritroverò il profumo dei pomodori.
È Inverno e sento già, nell’aria,
il sospiro del flauto
che annuncia la bella stagione,
e dentro di me, la assaporo.
Con due note allegre, il Fauno,
cancella il sapore della prima mela,
il tepore delle cene davanti al camino,
e diffonde l’emozione dell’attesa.
ALLA RICERCA DI UN SAGGIO
Su scarpate rocciose di una montagna,
verso la cima baciata dal sole,
arranco a fatica, con le mani graffiate,
alla ricerca di un santo eremita,
che mi insegni a parlare con Dio.
Salgo per incontrare
l’ultimo guardiano
di un tesoro spirituale,
in segreto custodito,
ignorato e non ancora rivelato.
Il vecchio saggio,ormai sfinito
dice che dà solo consigli
per costruire i ponti
che nascano dal cuore
verso il cielo infinito.
“Chi cerca Dio non deve andare lontano,
non può trovarLo nei libri, in nessun luogo,
deve viaggiare per le distese deserte,
per le spiagge infinite del proprio cuore,
dove dimora l’Eterno e non tramonta il sole”.
UN SEGNO DI SPERANZA
Non sempre le nuvole
raccontano tristezza,
basta una sfumatura grigio perla,
e il cielo rivela tutta la bellezza.
Se un velo si stende
a nascondere il sole,
crea una cascata,
riflette ogni colore.
Tra i toni dell’iride,
non può mancare
un raggio verde,
al calar di certe sere.
Si posa a mezz’aria,
come fiato sospeso,
serpeggia dietro al sipario,
corteggiando il tramonto.
Evanescente come sogno,
breve come lampo,
portafortuna, dono del Cielo,
per chi guarda più in alto.
Un segno di buon augurio,
arriva sempre al momento giusto,
se con gli occhi lucidi di pianto,
il cuore palpita, ancora contento.
UN NIDO PER L’ANIMA
Mi inonda la luce primordiale
che si è accesa al nascere del mondo,
mentre mi immergo tra nebulose idee
e il sole mi bacia sulla fronte.
Chiacchiero col crepuscolo
che copre il cielo,
con trine trasparenti di viole,
e mi tocca con dita vellutate.
Mi scopro straniera in questa terra,
ospite, venuta un giorno da lontano,
svegliata da un sogno,
nel silenzioso trascorrere del tempo,
dove è palpabile l’invisibile che inseguo.
Assente quasi a me stessa, contenta,
se il resto del mondo si allontana,
si fa incomprensibile, estraneo,
escluso quasi, dalla mia persona.
Respiro piano e avverto
il senso del mistero,
in un luminoso tempio di pace, senza tetto,
dove il portale del cielo è sempre aperto.
Faccio due passi sulla terra
che odora di menta,
bagnata di pioggia
che è diventata perla.
Non recido le rose del giardino,
ma raccolgo petali caduti,
per preparare un nido profumato
dove cullare l’anima stasera
e farla riposare fino a domani.
IL BLU DELLA BORRAGINE
Mi perdo dietro a intuizioni fulminanti,
rincorro pensieri che si intrecciano,
nel vagare festoso tra prati rinverditi
all’ombra tremolante degli ulivi.
Spunta tra l’erba un sentiero,
segnato da un fiore riservato,
che abbassa il capo coronato,
si guarda intorno sorridendo fiero.
Battezzo la borragine “occhio del cielo”
per l’azzurro intenso della corolla,
la perfezione della forma a stella,
il bianco e nero della sua pupilla.
Sorride tra le ciglia chiare e mi racconta
che Van Gogh la incontrò per la strada,
mentre muoveva i passi, in cerca di colori,
solitario, ai margini dei fossi.
La fece rifiorire nei suoi dipinti,
negli iris e nei cieli stellati
rendendoli eterni capolavori
col blu della borragine in diversi toni.
NEVE DI PRIMAVERA
Bastano pochi giorni di sole
a far evaporare umidità e nebbia
da tempo accumulate,
farle svanire, dimenticare.
Ho visto i salici non piangere più,
diventare allegri e sorridenti,
mostrarmi i chicchi verdi
di nuovi germogli.
Accanto a cespugli nudi
sono vestiti a festa i biancospini,
tra i primi a far mostra
di bianchi ricami.
Trame di veli delicati,
con incastonate stelle
in terra scese, vibrano
agli aliti di brezze.
Davanti alla natura che fiorisce,
provo un’imprevista emozione:
se aggiungo al tempo concesso,
ancora, questa stagione.
Per festeggiare la Primavera,
aspetto una nevicata di fiori bianchi e rosa
che mi scivoli addosso
mentre cammino e rinasco,
sotto un pruno e un albicocco.
BEVO LUCE AL TRAMONTO
Spunta in ogni stagione
un germoglio che esplode,
se lo sguardo raccoglie
promesse nascoste.
Mi nutro di infinito
nell’aria cristallina
di un tramonto,
quando gli istanti dilatati
si vestono di immenso.
Al cielo che si accende
rubo liquide saette,
strappo nastri appesi
al sole che si arrende.
Stringo orli sfilacciati
di sciarpe stese a sventolare,
sono fasci di luce,
nubi accese ad asciugare.
Non basta un’occhiata frettolosa,
lo spettacolo mi cattura,
divento testimone, questa sera,
del cielo che bacia la terra.
Sotto il sorriso
del sole innamorato,
bevo goccia a goccia
un sorso di piacere.
Abbeverata di dolce splendore,
sogno già un lieto domani,
la bella emozione è già presagio,
rende certezza di un sereno giorno.
Solo quando il sole
si spegne e si dilegua,
guardo dall’altra parte, curiosa,
voglio indovinare
in quale punto nascerà la luna.
COME STEPHANOTIS
Mi preparo a tessere i primi raggi,
ubriaca di gioia all’alba,
se ho avvertito accanto a me
una presenza.
Le chiedo di vivermi dentro,
in un eterno abbraccio,
quando con la voce spolvera amarezza,
e riaccende il solito rimpianto.
Se il buio illumina il più bel sorriso,
non può voltarsi ed andare via,
sbriciolare l’incantesimo,
dell’incontro nel sonno, consumato.
Stordita di tenerezza,
vorrei mani come artigli,
per trattenere l’ombra,
non lasciarla andare via.
Dal cuore salgono lacrime
amare, mai esaurite,
ingoio mozziconi rimasti,
avanzi di stagioni mai godute.
Mi accompagna, come triste accordo,
il lamento del gelsomino del Madagascar,
anche lui non voleva nascere ad una vita,
di tante attese e di troppo breve durata.
VERSO L’IMMOBILITÀ ASSOLUTA
Con un fremito di brezza
cade la corona dalla testa,
ai crochi, inginocchiati e tristi,
che hanno consumato brevi giorni.
Nell’estremo spasimo del tramonto
resto immobile, senza più un pensiero,
vedo allontanarsi un vortice di vitalità,
oltre il confine che segna il mio sentiero.
Mi sento imprigionata nella siepe,
come facessi parte della scena,
tra rami neri, foglie di palma,
e un raggio ancor vivo che s’impiglia.
Non penso affatto a rincasare,
sospesa, attendo l’ombra della sera,
come se non avessi fatto altro
che aspettare questa sua venuta.
È tempo di far riposare l’anima,
cercare l’immobilità assoluta,
la stessa a cui aspirava Buddha
quando soddisfatto, sorrideva.
Vorrei prolungare in eterno l’attimo,
in cui il crepuscolo vela il tramonto,
godere il perder tempo, non pensare,
dimenticare ogni desiderio e affanno.
[continua]