Umori in libere parole

di

Giovanni Teresi


Giovanni Teresi - Umori in libere parole
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 44 - Euro 5,90
ISBN 88-8356-751-X

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista al Premio Jacques Prévert 2004


Prefazione

Nella poesia di Giovanni Teresi le parole volano libere e, da una finestra spalancata sui ricordi, tendono ad aprirsi in “spazi immensi” dove la mente può vagare sempre facendo riferimento al proprio vissuto, a quell’intimo rapporto con la propria terra: ecco allora il recupero memoriale degli incanti della natura di un mondo tanto amato con maestosi alberi agitati dal minaccioso vento, le piante d’ulivo in una terra dai mille odori i cui frutti hanno visto passare le stagioni d’una vita, e quelle radici, forti e contorte, simbolo di pace e d’amore, che hanno resistito al tempo e all’invasione del cemento, diventano testimonianza di sopravvivenza d’un ambiente naturale che va scomparendo in un mondo dove ormai regna la spietata concorrenza e la spinosa cattiveria, dove pare di vivere in una giungla infernale, e le residue voci, nient’altro che un freddo canto dell’umano vivere, giungono da alte mura.
Un vecchio porticato in pietra d’un podere con il cancello di ferro cigolante, tutt’intorno il profumo intenso di limoni, il frusciare del vento tra le vigne, la rugosa terra e le rustiche mura, solide e ferme, e poi spettacolari accesi tramonti: e il poeta, con passo lento, apre il cancello del tempo e pare vivere un sogno leggero che lo conduce ad attraversare il viale alberato che volge al tramonto, a farsi cullare dal tempo, a inebriarsi dell’odor di mosto nell’aria, a lacrimare per il fumo delle arse sterpaglie.
Tutto sembra indorarsi sotto quel sole e la terra si sbriciola in polvere come gli anni che passano: la fragilità della vita viene colta da un solitario cantore che ormai disperato volge i suoi occhi ad un mondo dove non c‘è più innocenza, dove un sorriso nasconde una lacrima.
Anche le vecchie cose riemerse da una soffitta, cartoline, giocattoli di legno e libri ingialliti, sono d’incanto animate dal ricordo dei giorni passati eppure ora anch’esse giacciono coperte dalla polvere, avvolte nel silenzio come antichi ruderi, sepolte come reperti dimenticati nei magazzini della memoria, semplici cose inanimate nascoste in un angolo oscuro di una vecchia soffitta.
L’amata scrivania con i suoi cassetti pieni di ricordi, con la desueta macchina da scrivere, e con tutti quei libri era il luogo di studio, di lavoro, di sofferenze e di sogni ormai dispersi come la polvere che vola nel tempo e tutto ricopre: le foto appoggiate su quel piano, sono frammenti di vita capaci ancora di far rivivere un momento di felicità o uno sguardo pieno d’amore, come fissati in quel preciso momento che ha fermato il tempo nella sua corsa inesorabile.
Lacrime d’emozione rigano il volto che si fa specchio dell’anima trasparente d’un uomo che si sorprende felicemente a guardarsi con orgoglio e dignità: lo svolgersi della vita che passa dal giovane volto al rugoso aspetto, dall’animo innocente d’un bimbo che corre felice baciato dal sole alla fragilità del corpo d’un vecchio in difficoltà anche nell’attraversare l’angolo della strada.
Dopo gli ostacoli della vita, dopo le solitarie attese, dopo le confusioni e le scelte, i turbamenti e gli amori, emerge la consapevolezza del destino dell’uomo, dello svolgersi della vita: ciò che conta è vivere in armonia con essa, godere dei colori e delle meraviglie che i giorni regalano, assaporarne l’amore intenso, in una vita semplice fatta di semplici cose, e infine, sognare e ancor sognare di ritrovare un’antica luce, una fantasia d’immagini che siano sostanza dell’esistenza stessa.
Come un poeta di vita, un guerriero audace, un sognatore che guarda dalle finestre aperte sul mondo, esploratore dei luoghi della memoria, Giovanni Teresi è caparbio nel continuare a percorrere quel gelido binario dell’umano percorso che lentamente condurrà alla stazione solitaria, al fatidico traguardo, alla mèta inesorabile alla quale nessuno può scampare.
L’orologio continua a scandire il tempo e i ritmi ma ciò che veramente conta è non essere prigionieri nel proprio cuore, nel proprio vestito creato e indossato per l’occasione: inevitabile gettare la maschera, abbandonare i pregiudizi, e far sì che quei barlumi di sorriso possano illuminare le strade mentre tutto si consuma, e le parole fraterne siano un valido aiuto per attraversare luoghi sconosciuti del freddo tragitto: pochi gesti d’amore che riescano a riscaldare come soltanto il sole può fare, per dissolvere i pensieri negativi che segnano l’esistenza e consumano la mente. Le parole si fanno allora un soffio leggero di vita che percorre le vie tortuose dell’umano deserto fino a giungere, come il primo uomo, davanti alla prima sospirata aurora del mondo.

Massimo Barile


Umori in libere parole


Ricordi del ’900

La musica di Puccini
veniva da un piano
dai tasti d’avorio…
delle sottili dita tessevano
quelle note piacevoli,
eleganti che salivano dal palco.
Stava lì seduto un artista
sconosciuto, bravo a far rivivere
la canzone di tanti anni fa.
Fuori, lungo il corso,
la solita vita.
Ma… a volte
anch’esso è un palcoscenico.
Una vecchia mano ne stringeva
un’altra…
Il nonno raccontava al nipote
la storia passata;
eventi delle due guerre mondiali,
nello scenario di parole
che descrivevano i fatti
in quell’attimo vissuti
agli occhi ingenui del ragazzino.
Era bravo il nonno a raccontare,
come quel pianista,
affondando la mente sulla tastiera
della storia.
Sempre vivida è la sua memoria.
Una foto dai contorni sfocati
lo mostra in divisa
con una croce al petto;
ch’era una parte d’Italia,
della nostra Patria…
in tricolore affissa sul cuore.
Sempre vivo è il ricordo della storia.

Nell’arco del tempo i giorni corrono
spontanei, naturali, a volte cruciali.
Le parole, i pensieri si rinnovano,
si ricordano nel presente: che sfugge,
si snoda agli occhi delle generazioni,
che raccolgono tracce dei racconti,
delle storie non vissute.
La politica, la carta stampata,
le foto sono films a quelle pupille
che si schiudono in timoroso
avvenire.


Briciole di pane

Dalla finestra spalancata
agli spazi immensi,
al mio sguardo immote
le montagne erano
all’eteree bianche nuvole.
Gli alberi chinavano
le loro verdi chiome
al minaccioso vento,
che sibilante sui tetti
giungeva alle mie orecchie.
Note armoniose, vaganti,
si fondeano
al canto degli uccelli,
che liberi, plananti
nell’aria tersa,
si posavano sul davanzale
a beccar le briciole di pane.
Liberi volavano con loro
il mio pensiero,
la mia vista…
tra quelle vette, tra quei rami,
dalle vecchie imposte
aperte al mondo.


L’albero d’ulivo

Un seme portato dal vento,
si pianta in terreno fertile del Sud.
Una pioggia leggera inumidisce le zolle…
Dopo il sole bacia tutte le piante e
la fronte dei bimbi in gioco.
Un arbusto tenero cresce in quella terra
da mille odori ed apre, come frattali,
i suoi rami alla vita.
Passano anni, sempre verde è la sua chioma,
che scompigliata al vento,
offre i suoi frutti oleosi ad autunno.
Uno stormo di colombe volteggia
sul campo d’ulivi secolari
e infonde la pace intorno.
Corron i fanciulli in festa
con rami di palme ed ulivi.
L’albero, immoto, contorce il tronco
e saluta la natura che si trasforma.
Immoto, ma vivo: non invecchia,
nulla nuoce al suo frutto.
Le radici fermano i sassi e rendono
più salda la nostra terra.
Un giorno tutt’attorno s‘è disboscato.
Un villaggio è nato con ponti e strade,
coprendo i semi e la terra.
Solo l’ulivo è rimasto sofferente
al nuovo paesaggio arroccato,
per non aver più alberi vicini,
per esser posto ad esempio;
ma ancor vive con la sua fiorente chioma:
ch‘è simbolo di pace ed amore,
aspettando lo stormo di bianche colombe.


La giungla

Si trapassa l’irto sentiero
lungi dal caos…
Enormi sassi s’adombrano
tra loro nel nascondiglio eterno.
S’intravede una luce
tra la fitta boscaglia…
Qui i sottili lumi
si dipingono, si dileguano
in cromatiche ragnatele.
Nella giungla il richiamo,
i canti son soliloqui
all’improvviso silenzio…
Pace s’avvisa fra le fronde,
le felci, le spine
che naturali son e lontane
dal trambusto.
Nella giungla di cemento,
regna la spinosa cattiveria,
la spietata concorrenza.
Il vociare tra le alte mura
è solo il freddo canto
dell’umano vivere.


Il podere

Dal vecchio smerlato
porticato di pietra,
s’apre cigolando
il cancello di ferro,
lavorato in merletto
d’un tempo…
Una via designata
da longilinee palme
porta al grande
podere di verde vigna,
ove il profumo del sole,
dei gialli limoni
aleggia tra le fronde
e nell’aria.
S’ode l’eterna musica
del vento, il fruscio lento
dei giunchi e delle canne…
Nella brevità del sogno,
le alte piante, la rugosa terra
sono lì da secoli a contar
le eteree albe e
gli accesi tramonti.
Gli acini ambrati, maturi
danno sapore alla vita…
Sulle rustiche mura,
che chiudono lo spazio,
le lucertole immote
volgono lo sguardo,
mentre ferme son le pietre
al passo accompagnato
dal lento cigolio.


Emozioni d’autunno

In quell’esteso campo ancor serbato,
protetto nella sua natura,
le verdi vigne hanno offerto
i succosi grappoli d’uva…
Nell’aria l’odor di mosto
invade l’alberata via
fino alle rustiche case.
Brunito è il colore delle foglie,
che ondeggiano leggere
posandosi sulle dure zolle.
I rami mostrano le copiose ragnatele,
la loro semplice nudità.
Anche i tetti sembrano di rame,
tegole impregnate del debole sole…
Attraversar quella via alberata
che volge al tramonto,
è come vestirsi di foglie umide,
cullate dal tempo…
il passo le sbriciola in polvere.
L’autunno dipinge di bruno i monti,
le minacciose nuvole;
conserva gli odori, le emozioni,
gli amori appena passati.
Le briciole di luce fendono
il fumo odoroso delle arse sterpaglie
posandosi sulle nude pietre.
Attraversar quella via alberata
che dritta porta al paese,
è come vivere un sogno leggero
tra le luci della luna.


La vecchia soffitta

Quanti ricordi nell’angolo della mente…
odori, sapori di cose conosciute,
vecchie cartoline di saluti,
souvenir di vari paesi,
legati da ricordi del passato.
Giocattoli di legno sono posti
su scaffali con cartoni
nella soffitta ove regna il silenzio.
Un ragno tesse la sua tela…
I dì passati sono impressi nella polvere,
nelle frasi dei libri ingialliti.
Un soffio di vento accarezza le cose,
che sembrano d’incanto animate
dal respiro…


Il clown

Con le valigie di cartone,
con il vestito rattoppato,
va il clown lungo i binari,
si ferma senza meta
in ogni stazione.
Mutevole è la sua anima,
mutevole il suo volto.
Offre sorrisi ai passanti,
ma… triste è il suo passo.
Va dove il circo lo vuole,
va verso il teatro inventato.
Il suo sorriso dipinto
nasconde una lacrima,
perché solo…
nella sua umile,
fragile esistenza.
Solo nel mondo,
volge i suoi sguardi
ove non c‘è più innocenza.


Il teatro dei pupi

Occhi sgranati, lucidi,
felici si schiudono
davanti il sipario vellutato
del piccolo teatro di cartone.
I sogni sono legati
ai fragili fili della realtà.
Agili mani fanno muovere
i pupi legati a quei fili.
Una voce racconta le gesta
di Orlando e Rinaldo
in continua lotta.
Il racconto si ripete da anni,
ma agli occhi ingenui
i pupi vivono la loro storia,
finché il sipario rimane aperto
nell’universale mondo dei sogni.


La scrivania

Disordine rettangolare,
fogli su fogli,
libri su libri.
Cassetti pieni di ricordi,
polvere attorno a foto,
immagini riflesse…
Una vecchia Olivetti
detta il fascino dello scrittore
nell’odierna confusione,
la scrivania ne racconta
il carattere.
Area di studio, di lavoro,
di ansie, di sogni,
di parte della vita.
La sua età è nei graffi,
nei disegni per caso
non cancellati dal tempo.


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