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Davide Gorga - La luce delle stelle
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa 14x20,5 - pp. 94 - Euro 8,50 ISBN 978-88-6587-262-8 Clicca qui per acquistare questo libro In copertina: «Sadr» astrofotografia di Elisa Cavalli Prefazione Nella notte che lo circonda, l’uomo privo di certezze, di affetti, di legami, abbandonato a sé stesso, alla solitudine, volge lo sguardo dapprima alla terra che lo ha generato debole, fragile, senza riuscire a scorgere altre tracce che le proprie. Quindi si aggrappa ai suoi compagni di viaggio, e si scopre sperduto, confuso in una folla di spettri che mestamente camminano grigi intorno a lui: fiochi, pallidi, presenti eppure evanescenti come nebbia, continuamente sfuggenti perché tormentati dai suoi stessi dubbi. È questa la notte più nera. Ed allora egli volge lo sguardo verso il cielo e si rende conto che, nonostante tutto, benché il buio abbia invaso ogni andito, non è riuscito a vincere la luce. Lì, solitario, in riva al fiume dell’oblio in cui sarebbe così facile scivolare se solo la sua volontà cedesse per un istante, spicca una nota luminosa, e poi un’altra si accende; presto, un concerto di luce piove su di lui. Luce giovane e arcana, luce vecchia come il mondo, pura acqua di sorgiva che gli ristora l’anima, la monda e la cura; la luce delle stelle, immenso accordo acuto dell’eternità, raccoglie l’anima e l’assolve nell’infinito. La ricerca si muove in un piano atemporale che ci è subito presentato in «Shintô», ove la narrazione, attraverso l’artificio letterario della reincarnazione che, questa volta, procede a ritroso nel tempo, si muove di epoca in epoca, mantenendo inalterati l’accento e la tensione narrativa; forti, cadenzati, a scandire una ricerca spirituale che parte dal quotidiano e parla al protagonista con le voci di un angelo, del Buddha, di un bambino, rivolgendogli la domanda che è nata nel suo stesso animo, dapprima inespressa, poi sempre più chiara: “Hai imparato la compassione?” quasi a voler riecheggiare l’universalità della condizione umana, in ogni tempo ed ogni luogo, del bisogno di conoscere, vivere, amare. La maestria dell’autore nel piegare la lingua alle esigenze espressive più varie, la perfezione e la purezza sintattica nella costruzione del periodo, gli consentono virtuosismi rari; tuttavia, l’arte non diviene mai sterile sfoggio di bravura; è sempre al servizio della comunicazione, del dialogo con il lettore, per immergerlo, e, talvolta, sommergerlo di emozioni, sensazioni, sentimenti. Il discorso si condensa in poche frasi dall’espressività dirompente, scivola in dipinti impressionisti, torna all’eleganza del prosare sobrio e compatto. Compassione, infanzia ricordata (e rivissuta), come ne «La Festa del Sake», coraggio, disperazione e speranza oltre ogni umana ragione, dedizione: tutte le sfumature dell’animo convergono in una ricerca semplice e sublime. Lontano da facili scorciatoie, il cammino che Gorga percorre con passo sicuro è quello duro e impervio della scalata alle vette, tra ferite, battaglie, privazioni. Trasformazioni per giungere alla compiutezza. L’amore, il canto, la felicità conquistati nascono da un’amorevolezza calda come un fuoco nella notte, tersa come l’acqua di un ruscello, viva e piena di gioia. Quella che infine respiriamo insieme ai protagonisti di questi racconti, mai più soli, finalmente accompagnati dalla mistica, eterna luce delle stelle. Maria Grazia Favenza La luce delle stelleDeneb Il fioco chiarore stellare si dipingeva intorno a me come una favola triste. Solo, accovacciato in un angolo, scorgevo nel cielo cupo e nitido la Via Lattea, le stelle, la diramazione di quella meravigliosa frangia in cui scintillava bianca, spietata, l’alfa cigni, splendente come un ghiacciaio nell’inverno. Accanto a me un alto Elfo sembrò sorridere. Il velo tra i mondi era sollevato ormai. Terra Riflessi di sole Le preghiere tra il vento La via è passata oltre Shinto3 I Il vecchio scriveva, aveva passato tutta la vita a scrivere; saggi filosofici e storici, novelle tristi e novelle allegre, romanzi dall’aria brumosa come le mattine sul mare e fragili ed esili come cristallo fine, storie di bambini e adulti, di ragazzi presi dalla corrente di sogno. Il vecchio aveva scritto ormai d’ogni possibile paese e condizione, e davanti ai suoi occhi e sotto le sue mani rugose sempre sfilavano nuovi personaggi, buoni o cattivi, saggi o stupidi, mossi dai più differenti motivi. Ma col passare del tempo, quando ormai era all’apice della gloria e del successo, il vecchio si era accorto che, qualunque fosse la loro motivazione, il loro fine ultimo, anche di quelli che finivano inesorabilmente con un capestro intorno al collo, era diverso da quello apparente. Era la comprensione stessa dell’Universo e delle sue leggi. Non perché fossero i suoi personaggi, ma perché era una motivazione universale, l’unica che rendesse una storia degna di essere narrata e raccontata, con o senza arte. Altrimenti perdeva sapore e sembrava scialba come una mattina d’inverno in cui il sole non si decide né a illuminare il giorno, né a lasciare il posto alla pioggia, aprendo una di quelle giornate in cui non si ha nulla da fare, e ciò che si intraprende lo si lascia subito e si ritorna in casa svogliati sperando che giunga presto la notte ed una nuova alba più decisa. Un giorno prese un bastone e s’incamminò verso il paesello sottostante, non era certo una lunga passeggiata, e vide il camposanto recintato, e la chiesa, e più oltre, in lontananza, le prime case. Fu allora che un grande bagliore dorato gli fu davanti: Null’altro rimaneva se non una nebbiolina leggera che andava diradando. L’inverno venne. Il vecchio percorse più volte la strada sino al paesello, senza più incontrare l’angelo. Un giorno, sentì un dolore lancinante al petto, la vita lasciarlo in un attimo, ed il suo corpo accartocciarsi sotto l’impulso mancante di un cuore malato. II Il vecchio bambino non ricordava nulla della sua esperienza precedente, né il suo dialogo con l’angelo, né di essere stato un uomo in un lontanissimo spazio e tempo, né tantomeno la mole di libri che aveva scritto e di cui un tempo era stato molto orgoglioso. Nella piazza in terra battuta, giocava con gli altri bambini e tornava a casa la sera, in quella capanna ove sua madre lo aspettava. Quando crebbe, conobbe il lavoro dei campi, il sudore, la fatica, si ammalò e soffrì orribilmente, ma continuò la sua vita come chiunque altro; si sposò assai giovane ed ebbe tre figli che crescevano sani e forti, eppure spesso, quando tornava stanco e lacero dal lavoro nei campi, si fermava a guardare il fiume, come se in esso rivivessero riflessi a lui ignoti, come se una domanda non ancora sorta nel suo giovane cuore dovesse un giorno sbocciare sull’acqua, e quando infine rientrava a casa era di umore strano e taciturno, quasi perso in considerazioni più grandi di lui. Ritornò a casa per dire addio alla moglie ed ai figli, ma questa gli si gettò fra le braccia e pianse, e non voleva che il vecchio che era stato bambino partisse; ma alla fine egli disse: Passarono gli anni, ed infine fu la moglie a raggiungerlo, e così i suoi figli, ed all’uomo che era diventato sembrava di aver sconfitto la brama, l’ira, la non conoscenza che l’avevano afflitto, contemplando il mondo così come esso era al di là di ogni illusione e speranza e timore, semplicemente come unico Vero. Altri anni trascorsero, colui che era stato il suo maestro morì, e così pure sua moglie; l’uomo divenne vecchio ed ancora una volta, mentre meditava dinanzi ad una grande statua, parve che da questa emanasse un alone luminoso che oltrepassava la coltre delle palpebre chiuse inondando la sua mente, ed una voce bronzea, come di campana, che gli parve familiare pur essendo egli certo di non averla mai udita in quella vita, gli rivolse una domanda al contempo solenne ed allegra: III Il bosco intorno alla capanna del fabbro che era divenuto suo padre si stendeva a perdita d’occhio fra le montagne, isolato dal resto del mondo se non per un’esile via ombrosa che si stendeva tra gli alberi alti e slanciati, seguendo la quale si arrivava verso valle in un villaggio chiassoso, verso monte in un tempietto dalla forma strana, con la sua porta a doppia traversa, di un colore lattiginoso; eppure il bambino che era stato il vecchio asceta, contrariamente alle aspettative del padre, non scendeva quasi mai in paese, ma risaliva verso il tempio nascosto o vagava per i boschi, libero e felice, anche se solo, e ben presto imparò che ogni roccia, montagna, albero, lago, aveva un suo posto nell’universo, un suo spazio vitale, era fonte di vita, era un’armonia cantante, quasi fosse uno spirito a sé, vivo e ben desto. Il sacerdote del tempio era anch’esso sceso in paese. Non disse nulla. Avanzò di un solo passo verso il guerriero, che si ritrasse come spaventato. Dopo un attimo d’indecisione, questi fece un gesto, e i componenti della famiglia furono slegati, e vennero a gettarsi ai suoi piedi, anche i bambini, ed il popolo del villaggio era commosso e piangeva, ma il fabbro che era stato un asceta era allegro mentre avanzava verso la morte, e rivide d’un tratto il figlio della ragazza che un tempo avrebbe dovuto sposare, che pensoso gli chiese: 1 Croce del Nord: parte centrale della costellazione del Cigno, formata da cinque stelle disposte pressoché a forma di croce latina. È individuabile nella fascia scura che divide, all’osservazione, la Via Lattea in due rami. 2 Deneb: la più luminosa stella della costellazione del Cigno. Poiché le stelle vengono elencate anche con le lettere greche, in ordine alfabetico secondo il loro grado di magnitudine (o luminosità), Deneb è nota anche come alfa cigni. 3 Shintô: la religione nativa del Giappone, il cui cuore è la venerazione dei Kami, spiriti, esseri sovrannaturali (che non sembra corretto rendere col termine “divinità”), e tuttavia assolutamente reali e presenti in luoghi, fenomeni e santuari. Dotati di poteri, funzioni ed attribuzioni specifiche, presiedono all’armonia del cosmo ed al suo evolversi, alla gioia e alla pace ed il loro culto è strettamente legato alla contemplazione della bellezza della natura. Sebbene lo Shintô non abbia un codice morale preciso, conciliazione, affetto e benevolenza sono considerati espressioni della comunione con i Kami, mentre il male deriva dalla contaminazione con gli spiriti delle tenebre (magatushi), che costantemente tentano la carne dell’uomo, mentre il suo spirito rimane fondamentalmente buono. Dal punto di vista del fedele, lo Shintô, in quanto armonia con quanto di sacro esista, ricomprende in sé le altre religioni, come il Buddhismo o il Cristianesimo, e col tempo è divenuta sempre più usuale la duplice affiliazione ad esso e ad un’altra religione. [continua] Contatore visite dal 29-01-2013: 4891. |
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