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Bertie Wooster - Un giorno urlerò il tuo nome L’amore al tempo di WhatsApp
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa 14x20,5 - pp. 78 - Euro 9,50 ISBN 978-88-6587-7838 Clicca qui per acquistare questo libro In copertina progetto grafico ideato e realizzato dall’autore Quarta di copertina: Engadina, Val di Fex Photo B. Wooster Prefazione “Un giorno urlerò il tuo nome” è un progetto nato da lontano, a cui credo di essermi approcciata in un modo non del tutto convenzionale: è iniziato tutto con un “potresti dare un’occhiata alle virgole in questa frase?” di Mario, per poi finire ad un “cosa ne dici se ti mando tutto il lavoro?”, che so essergli costato molto, visto che con me voleva mantenere fino all’ultimo un alone di mistero attorno alla sua ultima “fatica”. Mi sono immersa nella lettura di questa storia (o, come Mario preferisce chiamare le sue opere, “bagatella”) con una certa riverenza, come se il mio fosse un privilegio per pochi (e continuo a considerarlo tale), salvo poi lasciarmi andare ritrovandovi tutto Mario: la passione per la fotografia, per quei luoghi che così spesso mi ha descritto, sempre con quella luce negli occhi che si può avere solo quando si parla di qualcosa a cui si tiene davvero, l’amore per la letteratura (come dimenticare il tono entusiasta usato per spiegarmi quanto era stato colpito da Calvino e Borges?!), e poi quelle emozioni, così vere e totalizzanti, che caratterizzano ogni suo scritto. Questo racconto in prima persona, che non può non prenderti, questa coppia che si concede una “fuga d’amore” per scappare dalla quotidianità, dalla frenesia, dalle convenzioni sociali in un luogo da sogno: tutto mi ha affascinata, a partire dalla netta sensazione di essere parte della narrazione, grazie a descrizioni così dettagliate da non lasciare dubbi sull’amore di Mario per l’Engadina. Ma non è solo questo: è il romanticismo, è l’adorazione per questa donna che a tratti sembra così fredda, è la passione; tante volte mi è sembrato di “essere di troppo”, come se mi trovassi di fronte pensieri e sentimenti troppo intimi perché io potessi leggerli. Proprio dopo aver messo un punto (ovviamente, conoscendo Mario, non definitivo) alla correzione della bozza, arriva la seconda proposta: “ti va di scriverne la prefazione?” e qui, oltre alla risatina imbarazzata, non sono riuscita a trattenere la domanda che avevo sulla punta della lingua: “ma sei sicuro?”, perché questa sì che è una responsabilità di quelle grandi, forse anche troppo, ma anche una tentazione irrinunciabile. Credo che ogni volta che apriamo un libro diamo prova di una grande fiducia verso lo scrittore, entrando a far parte delle vicende dei personaggi, tagliando tutto il mondo fuori, investendo il nostro tempo, ma soprattutto le nostre emozioni: spero che queste poche righe vi abbiano incuriosito abbastanza da farvi venire voglia di immergervi in questa storia, perché sono certa che – anche questa volta – Mario non vi deluderà. Laura Dell’Oro Un giorno urlerò il tuo nome L’amore al tempo di WhatsAppA «Se tardi a trovarmi, insisti. L’andatura è costante, sostenuta ma non eccessiva. La strada è libera e la guida risulta rilassata, anche un po’ noiosa in questo tratto fatto solo di gallerie. Eppure, ogni volta che percorro queste strade, che intraprendo questo viaggio, è sempre un’emozione per me. I miei amici sono tutti concordi; per come la amo, la pubblicizzo, la conosco, dovrei esserne da anni cittadino onorario. Ma oggi c’è una ragione in più per emozionarsi: al mio fianco ci sei tu. La testa reclinata leggermente verso me, le gambe accavallate, gli occhi prede di quel leggero torpore, dovuto in parte alla levataccia, in parte perché cullata piacevolmente dalla voce di Tiziano, che tu hai scelto. Pare ci siano cantanti che più di altri si prestino ad accompagnarci durante un viaggio; Tiziano ed Eros sono tra questi. Chi viaggia con me, in fatto di musica può dirsi fortunato perché, sebbene abbia dei gusti molto personali, che a detta di alcuni sono particolari e noiosi, nella mia auto si trova di tutto: dal rock al pop, dalla classica alla musica da film, dalle canzonette anni ’60 all’ultima hit, dai cantautori agli stranieri al rap. L’unica cosa che mi rifiuto categoricamente di ascoltare è la musica metal. Tiziano incanta con Incanto ed io ad alta voce, per sondare quanto tu sia presente esclamo: – Ma quando hai conosciuto Ferro? No perché vi conoscete vero? Per parlare di te in questi termini dovreste essere molto intimi –. La tua risposta immediata, senza neanche aprire gli occhi: – Scemo, pensa a guidare anziché sparare cazzate –. Intanto la tua mano aumenta leggermente la pressione sulla mia, io sorrido felice. Non è facile scegliere una stagione per andarci, l’Engadina è sempre bella, in ogni momento può stupirti con i suoi colori, con la sua luce. L’Engadina è come te, può indossare qualsiasi vestito, elegante, sportivo, casual, sta bene sempre, è bella comunque. La prima tappa è d’obbligo: Mastai, caffè-pasticceria alle porte di Chiavenna. Tu sei così rilassata che pur di non scendere faresti volentieri a meno anche della colazione, che tra l’altro rappresenta un attacco alla tua linea. Ma non è stata dura convincerti, i cornetti di Mastai fanno parte delle cose imperdibili di questa nostra due giorni insieme, e poi, ormai per me è un rituale propiziatorio, sarà certamente – come sempre – di buon auspicio. Ti ho descritto quanto sono buoni, e tu, sapendo che in queste cose sono capace, ti sei convinta. Poi, dovrai così camminare oggi, affrontare tanto di quel freddo, che una buona colazione non rappresenta soltanto un piacere, ma quasi una necessità… In più, ti conviene approfittare della sosta anche per la pipì, tra un po’ sarà dura fare anche quella. I tuoi occhi spalancati sul lungo bancone del bar, pieno di ogni delizia sono uno spettacolo impagabile. La musica è più bassa adesso, quasi da sottofondo. Tu più presente cominci ad essere incuriosita, cominci a far domande, attratta dal paesaggio che ci sfila davanti, la mia mano tiene ancora la tua. Ricordi, già al primo incontro mi hai chiesto perché ti tenessi la mano; io ti spiegai che ho sempre avuto bisogno di un contatto fisico con la persona che amo. Immagino sia legato al fatto che il mio fu un parto gemellare: è vero che il mio fratellino non sopravvisse al travaglio, ma avevamo comunque trascorso nove mesi insieme, io ho sempre la sensazione che mi manchi qualcosa. Sai cosa si dice dei gemelli no, tutte quelle leggende che vi ruotano intorno: che fra di loro c’è un’alchimia particolare, una simbiosi perfetta; che se uno dei due è ammalato, l’altro prova gli stessi sintomi, le stesse paure; che una forte telepatia fa sì che se uno dei due fosse in pericolo, l’altro lo percepirebbe anche a distanza di centinaia di chilometri… Pare che io sia stato il primo ad essere concepito e quindi vidi la luce per secondo; è questa la regola, il primo nasce per secondo. Ho spesso ironizzato con cinismo su questa cosa dicendo che era una fortuna che fossi venuto alla luce dopo, altrimenti potevano accusarmi di fratricidio già prima di venire al mondo. Forse è anche per questo che ho sempre parlato della morte senza timore e – almeno nelle intenzioni – spero di trovare la stessa determinazione il giorno che dovrò affrontarla. Tu hai subito capito ed accettato questa spiegazione tanto che da allora ciò è diventata una piacevole abitudine tra noi. In realtà la storia è vera, ma non potrei fornire nessuna prova scientifica certa a sostenere questa mia teoria; magari è davvero così, forse c’è davvero un legame, un nesso ma io non lo so. La verità è che sono un inguaribile romantico, che vorrebbe averti sempre accanto, però agli uomini non è consentito confessare simili debolezze, soprattutto se si nasce in meridione poi, bisogna sempre apparire forti, duri, virili… ma io sono certo che: “Non so dove vada la mia strada, ma cammino meglio se la mia mano stringe la tua2”. 1 gennaio La mano adesso, ad intervalli quasi regolari, lascia la tua per indicarti qualcosa mano a mano che si comincia a salire. La prima attrazione è la cascata dell’Acquafraggia, già monumento nazionale. So che la conosci, che sei già stata qualche volta da queste parti con lui, probabilmente al lago Cavloc che è una delle prime mete che si incontrano alle porte dell’Engadina, quello che forse non sai è che, percorrendo un sentiero composto quasi tutto da gradoni – sono circa 2800 – si arriva a Savogno, un pugno di case, molte in legno, un borgo antico, con un panorama bellissimo sulla Val Bregaglia. La particolarità è che si può raggiungere solo a piedi, anche se stranamente, quando ci salii la prima volta, un paio di fuoristrada che circolavano tra le viuzze c’erano. Una cosa che i più non sanno e che il – nostro – Don Luigi Guanella fu parroco di questo paesino nella seconda metà dell’Ottocento. Proseguendo per altre tre ore si arriva ai laghi dell’Acquafraggia; io ci ho provato una volta, ma con dispiacere ho dovuto desistere… troppo faticoso anche per me, sebbene in quel periodo fossi ben allenato. Ma fu tornando indietro che vidi la cosa più bella, ad un certo punto, deviando a destra del cammino percorso salendo, – la deviazione è ben segnalata – si imbocca il “belvedere” un sentiero che già dai primi passi fa capire quanto quel nome sia meritato. Comincia costeggiando il fiume che alimenta le cascate, interrotto ogni tanto nel suo cammino da grandissime pozze, dove chi è bravo a nuotare può anche fare il bagno. A circa mezz’ora di distanza dalle cascate si incontra anche un piccolo ponte tibetano. Man mano che ci si avvicina, la tranquillità del fiume lascia il posto ad acque sempre più mosse, impetuose, rumorose, finché non ci si trova direttamente al lato della cascata, proprio lì, in mezzo, tra il primo ed il secondo salto. Qui vi trovai molte persone, anche alcuni bambini che sfruttando delle piccole pozze, facevano il bagno, una postazione decisamente privilegiata, visto il panorama che si può osservare a perdita d’occhio. Una ripida scala in ferro, posta sul lato sinistro della cascata, riporta rapidamente a valle. Proseguendo il viaggio, qualche chilometro più in su incontriamo la deviazione per il Quartino, il crotto dove mi riprometto di portarti a cena al ritorno. 7 gennaio Ormai siamo a pochi tornanti dal passo del Maloja, qui la neve viene giù in modo copioso, il che rende la temperatura meno rigida di quanto temessi, soprattutto per te. Problemi con la strada non ce ne sono, gli svizzeri in questo sono efficientissimi, le gomme da neve e la trazione integrale della mia macchina fanno il resto, i sedili riscaldati completano il confort. Sai, c’è un evento meteorologico che accade solo qui e che è detto Il serpente del Maloja4. È un fenomeno che accade nelle fredde mattine autunnali, fartelo osservare costituisce un motivo in più per ritornare quassù in futuro5. Il primo contatto con la neve lo hai a Plain Du Lei, dove fermo la macchina un momento per spiegarti che quello che sembra un pratone ghiacciato, dove alcune auto da rally si muovono tra due alte pareti di neve, e dove, in lontananza, delle persone sfrecciano con i loro sci da fondo, in realtà è un lago ghiacciato. Spalanchi i tuoi occhioni incredula, ma dovrai abituarti a questo, oggi spalancherai spesso gli occhi. Intanto, ti prometto di ritornare da queste parti quando tutto questo bianco si sarà trasformato in un lago dal blu cobalto. Lontano, oltre quello che ormai è acclarato è un lago, delle casette e un paio di ristoranti indicano un’altra piccola località, “Isola”. La cosa particolare di questo piccolo villaggio è costituita dal fatto che d’inverno si può dormire in alcuni igloo, attrazione di uno degli hotel ristorante. Dall’altro lato della strada, si intravede appena una traccia di quello che è il sentiero che porta a Grevasalvaas – altra futura meta primaverile –, un bellissimo pugno di case, con altrettanto bel panorama, paesino noto perché vi è stato ambientata la versione cinematografica di Heidi. In realtà Grevasalvaas è molto di più, è uno dei passi alpini più conosciuti, ed uno dei laghi più belli di tutta l’Engadina. Al lago ci sono stato decine di volte, ma non ci si arriva – come si potrebbe pensare – dal paesino, meglio, si può, ma si dovrebbe valicare il passo, cosa lunga e faticosa. No, la via più semplice è affrontare il passo Julier in macchina e poi, per un sentiero piuttosto accidentato, in un’ora ci si arriva: prendi appunti tesoro, altra passeggiata da fare, d’estate questa volta… Che dici: dovrei fare un po’ di autocritica, chiedermi se e dove ho sbagliato? Non mi riconosco grandi qualità o meriti, ma non mi attribuisco nemmeno colpe particolari. So bene di non essere una persona attraente, eppure ti sei accorta di me, ci siamo trovati… Devi pur aver visto qualcosa che forse vedi solo tu, che forse nemmeno c’è, ma che tu hai percepito. Mi domando se potrei fare adesso qualcosa per riconquistarti, farti tornare, ma bisogna combattere le guerre che si possono vincere. Così, più che starmene qui ad aspettare non saprei cosa fare. Mi piacerebbe aver sbagliato qualcosa, averti mancato di rispetto: potrei, – con la scusa di un chiarimento – cercare un contatto, ma sai bene che non ho niente da rimproverarmi. “Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo nessun potere6”. Forse sbaglio, ma continuo a pensare che non ho fatto altro che cercare di amarti ed essere amato da te. Quello che sogno è saperti felice con lui, avere la percezione che hai tutto quello che si può desiderare dalla vita, che il tuo sia un quotidiano appagante e, malgrado ciò, sentirti dire che tutto questo non ti basta perché la mia immagine altera tutti i tuoi pensieri, che ti manco da morire. E vado oltre, sai. Sogno di mancarti da morire anche se fossi un mascalzone, sogno che nei momenti difficili o di debolezza, tra mille braccia spalancate, ansiose di accoglierti, tu cercheresti le mie perché sono le sole in cui sei certa di trovare la protezione ed il calore di cui hai bisogno: come mi piacerebbe che tu ti rivolgessi a me, solo a me, anche per le cose più piccole, banali, come un consiglio, un dubbio da sciogliere, un libro da leggere… la scelta di un vestito da indossare. Quello che un uomo deve dare alla sua donna è tantissimo, ma tutto dovrebbe passare attraverso due porte: amore e rispetto, le due cose che certamente, sebbene forse in modo maldestro, ho provato a darti io. Ti avrei dato tutto di me: le paure, i difetti, le mie insicurezze, le mie fragilità, cercando di smussare gli angoli vivi del mio carattere, perché è vero, non ho niente da rimproverarmi, ma tu… “Tu mi fai venir voglia di essere un uomo migliore7”. Riprendere il viaggio è piacevole, davanti a noi già si profila la sagoma del campanile della piccola chiesetta posta all’entrata di Sils Maria. Ancora tu non lo sai, ma sarà proprio quella la destinazione finale di questa giornata. E siamo oltre, Silvaplana, Saint Mortiz, la piccolissima stazione in legno nero con le finestre rosse di Celerina, praticamente un piccolo grazioso chalet, quindi… Pontresina. Qui prima di lasciare la macchina, ti do la cosa più importante per farti affrontare in piena serenità questa piacevole passeggiata: gli scaldini da infilare negli scarponi, nelle tasche e perché no, se necessario nei guanti, voglio essere del tutto certo che tu non sia in balia del freddo, voglio vederti rilassata e sorridente, pronta a viverti con leggerezza questa giornata. Ci incamminiamo in mezzo al bianco con meta la Val Roseg, mentre un trenino rosso spuntato fuori da chissà dove, si fa largo tra alberi carichi di neve… La favola comincia. [continua] NOTE 1 Francesco Gabbani, Amen 2 Alfred de Musset 3 Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe. 4 Eleonora Manzo, “Il serpente del Maloja è un lungo banco di nebbia che si muove strisciando tra i monti e le valli allungandosi verso Sils, Silvaplana e S. Moritz proprio come un serpente… È bello osservarlo dall’alto quando i raggi del sole ne illuminano la parte superiore”. 5 Il fenomeno è reso famoso ai più anche dal film del 2014 di Oliver Assayas Sils Maria. 6 M. Kundera. 7 Dal film Qualcosa è cambiato. Contatore visite dal 08-05-2017: 3447. |
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