Il vulcano azzurro

di

Attilio Muscolino


Attilio Muscolino - Il vulcano azzurro
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 108 - Euro 15,00
ISBN 9791259513038

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In copertina «Il vulcano» acquerello di Giorgio Trevisan


All’interno: immagini di Giorgio Trevisan ed Elisabetta Trevisan

I maestri Giorgio ed Elisabetta Trevisan sono pittori di fama internazionale.
Il maestro Giorgio Trevisan, di recente scomparso (13/10/1934-5/10/2024), spicca per l’intensità attività cartellonistica, per la quale ha frequentato Alex Thot e Frank Rubbins.
Lavorò per il “Corriere della Sera”, per il “Corriere dei piccoli”, e anche per il mercato francese e britannico.
Sue immagini di Sant’Antonio sono esposte alla Mostra Antoniana di Padova.


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 3° posto nel concorso letterario Città di Melegnano 2023


«In principio era la parola» ma la parola non era il principio.
Il principio – l’arché – è il silenzio.
E il silenzio nasce, appare, si rivela la parola.
E ogni parola che non sia gravida di silenzio non è una parola.
C’è un passo così forte nel Vangelo di Matteo
secondo cui ci verrà chiesto conto di ogni parola oziosa, inutile.
L’aggettivo impiegato è argon, che non ha energia, che non è sacra,
che non è causa di quello che dice.
Ma di questo noi abbiamo perso il senso.
Ogni parola deve essere sacramento, deve causare ciò che esprime,
altrimenti è priva di forza, è senza efficacia.

(Raimon Panikkar, “Tra Dio e il cosmo.
Una visione non dualista della realtà”)


A mia Moglie Susana Karbatìrovna Autleva Muscolino
Sei canto che luce nella vita
lieto danzerò sotto la pioggia


LETTERA AL LETTORE

Gentile lettore!

Ti ringrazio di leggere questi miei scritti, generati da un lungo meditare, da artigiano dell’anima innamorato della vita, dono a Te, come da amante all’amata, a tutti gli Uomini, figlia del ramo e ramo della foglia, nutrita fin dal primo vagito dalla linfa dei Fratelli, che hanno fatto di me e continuano a fare di me quello che sono, arilli preziosi di un rubescente melograno.

Non leggere solo con gli occhi i miei versi, guarda la pagina come fosse uno spartito musicale, è carta, ma non è fredda, anzi è un vulcano ribollente sul fondale pacato dello zaffiro di un limpido lago; leggili ad alta voce, con il cuore, facendoli tuoi, con codesta tua voce.

Con codesta Tua voce, che è un petalo nello stupore luminoso dell’essere creature umane, epperò importante, importante affinché si dia vita alla scritta parola, trasformandola nel canto appassionato e iridescente di uno scrigno comune, a Te e a me, che si apra alla generosità del fuoco, anche nelle notti di solitudine, forse soprattutto, anche se raggelato Ti affatichi in una tormenta che il vedere scompagina.

Ti abbraccio.

Attilio Muscolino


Prefazione

Imbattersi nell’apprezzamento del significato dei versi poetici è sempre e necessariamente una questione che rimanda a uno sguardo spirituale verso l’umano. E ciò è tanto più vero in taluni casi dove la costruzione dei rapporti umani si intesse di una fibra comune che quasi affratella l’animo, l’uno nell’altro.
Ci si rende allora conto, una volta in più, di come i rivoli o i rigagnoli delle proprie vite ed esperienze particolari, dispongano anche e soprattutto di un carattere comune, di quella medesima direzione che li orienta verso lo sbocco ultimo e ultimativo verso il mare.
Si perdono allora i volti, le loro singolarità e caratteri, i contorni definiti e la chiarità dei loro profili in una più grande ed estesa dimensione dell’essere. Così, secondo questo sentire intimo, profondo e corale procede la scrittura poetica di Attilio Muscolino.
Chi qui scrive, può testimoniare, in prima persona, come la scrittura sia per Muscolino un vero e proprio viatico, sovente irto, che porta nella sua faticosa ascesa a continui ripensamenti espressivi ma sempre a una tensione che cerca la riconnessione del cuore pulsante del proprio Sé con la familiare appartenenza celeste.
Questa è la vera ragione di vita della raccolta in parola, l’unico sincero movente che ha lavorato ai fianchi di Attilio Muscolino perché la ricerca poetica fosse per lui da subito domanda assetata di umanità, sguardo spirituale d’altrove.
L’autore segue un flusso interiore improntato a una naturalezza delle cose, come fosse un vero e proprio corredo di esperienze, vieppiù accresciute, sulla spinta di un unico grande dono finale: di farsi tutt’uno nel filiale ritrovamento e appartenenza col mondo, con le sue più profonde e altresì indicibili fonti e radici che a lui, nel mistero, ci congiungono.
La maturazione di questo prezioso libro è stata lenta e umile, come un distillato, la sedimentazione minerale, o il tempo laborioso sui tralci nodosi sotto la grandine e il sole, finché sia finalmente il frutto maturo della Parola che si svela, che ci svela e mette a nudo.
Attilio Muscolino ha letteralmente assecondato questo dettato interiore con immenso e deferente servizio, affinché il grande magistero della poesia e della vita ripiegata in lei, fosse la vera e propria guida, ma anche la rivelazione e l’annuncio di un nuovo raggiante giorno dell’anima.
Ecco, dunque, che la scrittura, e prima di lei la parola, sono state poste sotto rigoroso sindacato e sub iudice, lavorate e anche ricusate nei modi più accesi dall’autore, perché divenissero strumento e non intralcio o diaframma alla realizzazione piena dei progetti e disegni spirituali che la vita serba per l’essere umano ogni qual volta a lei vi protende, come il dono di una nuova Luce o alba.
Questo lavoro di estetica e perciò di contenuto, sul filo acuminato dei suoi speroni, ha inciso la materia viva in favore di una piana morbidezza, nel profilo nuovo di un volto vieppiù lieve e umano, umile e ora disposto all’accoglimento, all’attesa, trasfuso in una sempre più viva compresenza, con afflati e ampie coralità di là da sé che prendono posto nelle zone dell’Io.
La parola, alleggeriva allora il suo carico e si predisponeva all’ascolto, a divenire arioso grembo per una nuova trasformazione della nostra vita, della nostra parola in Canto o, se necessario, nel luogo del silenzio.
Questo laborioso lavoro, che ora ci consegna e restituisce il frutto editoriale dei versi, è certo ancora in viaggio in quello che è il suo personale ritorno alle origini della vita, e ciò non per il valore letterario dei versi quanto per la capacità eternamente trasformativa che ha il carisma della parola, il messaggio profetico che essa custodisce nel suo scrigno segreto.
Il dialogo diretto con l’autore, sorto grazie a una amicizia fiorita attorno a un sentire e credo comuni, ha reso molto più agevole questo personale processo di comprensione della poetica di Attilio Muscolino, e della complessa e articolata umanità che vi soggiace, profondamente orientata a un umile approccio alle cose, ove la poesia è veramente parola di ricerca e testimonianza, per sé e per una ideale quanto amorevole continuazione della vita nella vita, un fil rouge, o il nesso ombelicale con i propri cari, con gli ideali a presidio di sé, per un ricordo fra i più umani, anche solo una traccia di sé, o meglio ancora una spora, un seme nel giardino eterno della vita.

Mattia Leombruno


Introduzione

La silloge di Attilio Muscolino, dal titolo “Il vulcano azzurro”, rappresenta una sorta di viaggio lirico fortemente percepito e intensamente vissuto nelle profonde istanze interiori attraverso le poesie più significative e rappresentative d’una intensa produzione poetica.
Durante il processo lirico si avverte chiaramente che le molteplici esperienze della vita conducono ad una fase di riflessione filosofica sul significato autentico dell’esistere e, infine, l’afflato spirituale e la vibrante Fede che elevano l’animo ad una dimensione superiore in un simbolico abbraccio spirituale.
La Parola deve essere sacra e tale sacralità si trasfonde nelle percezioni e nelle atmosfere liriche dove la stessa parola vibra, illumina, infuoca, si rivela attraverso il silenzio e, in ultimo, si fa “muta preghiera”.
La sua Poesia diventa strumento per rivitalizzare i bagliori memoriali, per offrire una possibilità d’uscita dalle zone oscure e dal senso di velata malinconia, per evadere da una condizione esistenziale che ha dimenticato il significato autentico del vivere.
Nel dispiegarsi della silloge emerge chiaramente che le poesie di Attilio Muscolino rappresentano la fedele immagine d’un tracciato esistenziale pieno, denso, vibrante, e che le occasioni della vita sono rese con estrema efficacia: i sentimenti sono sempre vissuti nella loro enorme ricchezza e le silenti percezioni mettono in primo piano la vena intimista del poeta.
Quando la poesia diventa il “respiro d’un uomo” e la mente si rivolge al mondo cercando di disvelare le vane parvenze, si attua una deflagrazione interna: ecco allora esplodere l’intima ed autentica sostanza della fenomenologia dei bisogni dell’Uomo; il riempimento di quel senso di vuoto; sentire il proprio “penetrante silenzio”; la coscienza che si “schiude” e si “dilata”; accorgersi che sovente le parole cadono leggere, si consumano, si disperdono nei meandri della vita.
Il poeta è sospeso all’ombra dei ricordi, impotente davanti all’inesorabile scorrere del tempo, con i suoi struggenti calchi di memorie, solitario al cospetto dell’inevitabile fine d’ogni presunta certezza, in ascolto del “respiro del mistero” che si insinua tra le fenditure dell’esistere.
Nella severa dimensione della poesia di Attilio Muscolino diventa fondamentale preservare la Parola dalle contaminazioni e tale impegno nasce dalla coscienza di sé, dalla profonda Fede, dalla professione di Uomo e dalla sperimentazione sulla materia viva da plasmare che diventa percorso spirituale.
Tale processo accade perché Attilio Muscolino è poeta appassionato: la sua poesia nasce da un profluvio d’emozioni fortemente sentite nel profondo dell’animo, dai molteplici stati d’animo che contrassegnano le liriche in un continuo scandaglio che può interessare la suggestione quotidiana davanti alle manifestazioni del mondo naturale, eventi che hanno contrassegnato il percorso personale e, infine, la più labile percezione nei sentimenti che attinge al giacimento emozionale.
La trama della sua visione poetica è intrisa di recuperi memoriali, di immagini che riconducono alla bellezza della vita e del Creato: non v’è alcuna percezione che scivoli via invano dalle sue mani.
Ecco allora che il sommesso recupero si fa intenso nella lirica “Ricordi”, nel riveder “la casa d’un tempo”, la stanza dove è nato, immaginare ancora i volti e le voci familiari che rimandano a pensieri fluttuanti in un vortice di simbolici ricordi.
Gli arabeschi luminosi della memoria arricchiscono l’animo e ritroviamo una poetica che fa dell’armonia il suo fondamento e la Parola del poeta sospira, modula, s’acqueta, riluce.
La tessitura preziosa della vita è pervasa da tali rivisitazioni che sono “abbarbicate” all’animo del poeta: da tale processo emerge la “filosofia della memoria” nel fitto ricamo dell’esistenza, capace di raccogliere il fluire del respiro della vita, l’eco armoniosa dell’anima, nell’abbandono alla dolcezza nella Luce infinita di Dio.
La profonda spiritualità del poeta si plasma con il suo essere cristiano nel profondo dell’animo e tale compenetrazione con la visione lirica assume la forma d’un canto puro che comprende la drammaticità della vita e la molteplicità delle sue manifestazioni e metamorfosi.
La sua Parola irrompe in una ulteriore dimensione messa a disposizione dalla poesia e con la sua poetica riesce ad esprimere la conversione che nasce dal flusso d’una sorgente interiore capace di trasformare il senso d’inquietudine e la sensazione di dissoluzione, sempre protesa ad una comunione immanente attraverso la preghiera, estremo atto salvifico per il superamento del nulla inesprimibile.

Massimo Barile


Il vulcano azzurro

Il fiume ondoleggiò un fiore nuovo
Dall’albero gemmato dei ricordi


IL POETA

Iridescenza che sommuove i secoli
è un rusignolo di maliarda voce
germoglia e canta eruttante vulcano
abbracciato a una cherubica penna
giacinto bianco d’apollineo intuito

Tra le stelle all’orizzonte sì ardenti
va raccogliendo l’arpeggiare remoto e allatta di armonie prive del tempo
i trepidanti boschi della vita:
i rami secchi al fiorire convince
d’inebriante gioire di bellezza

Ascolta i passi suoi coi tuoi sonanti
affratellati all’unisono fusi
nel pellegrino correre donato
fino all’inverno che il riposo lucra


IL NOCE

Frequentai questa estate un mio posto segreto

C’era all’aperto tra due panche rustiche
un tavolino sul quale appoggiavo
da un amico aiutato una scacchiera

Biechi gli occhi per il guerriero pensare
stavamo comodi sotto ad un noce
donava l’ombra il bel cappellone

Ora non più. Cadono i capelli
pertanto i Re e le amate Regine
soffrono un poco il freddolino

Di sapienza si nutre ora l’autunno
già dalla terra ammiccano in attesa
vuole quel noce le noci donare
per la pienezza della sua esistenza


L’ALBA

Gradualmente si eclissa il nero volto
e di diafana luce si cosparge
nell’accogliente cappa dell’estate

La vita nella notte rannicchiata
gemma ricami di bellezza nuovi
ed è voce novella trasognata

A quella seduzione mi dischiudo
e alla ciarlante voce degli uccelli
squilla è di amanti e non sa più del buio
dal tranquillo brillare delle stelle

Arriva dall’oriente il chiacchiericcio
tripudia entro l’intrico del fogliame
si agita incontenibile si innalza
chiarine antiche di un sonante argento
lungo i fianchi del cielo opalescente

Fra poco trionferà nel giorno il sole
per correre nell’orbita del cielo
e l’alba dismesso l’accappatoio
di sottile letizia sorridente
si scioglierà nel carme dell’aurora
insegnerà alle città ed alle valli
l’agghindarsi di cremisi e arancione
in un invito volto al fare umano


LA MAGNOLIA SEMPREVERDE

Ascoltata venivi di mattina
magnolia in fiore. In te remoto vive
il ricordo lasciato da un bambino:
la viola ascolti che incantata vive
della tua tersa polvere adocchiante

Dalla finestra – dove il far del giorno
gli additava unitamente ai fratelli
il tempo degli studi un po’ svogliati –
inquadrava quel bambino curioso
il barbaglio dei petali tuoi bianchi
nel regale mantello del fogliame

Lo coinvolgeva il vellutato incontro
e godeva del fragile candore
dal verde scrigno esaltato e protetto

Del magnifico corale ancora oggi
mi accendo. A sé mi stringe e quindi guida
alla magia plaudente della vita
nel dissimile l’armonia si annida
nella diversità l’uomo sfavilla


DOPO L’AURORA

Di già l’ora è fuggita dell’aurora
che di corallo i monti fra cui nacqui
ed i tetti dipinse delle case

Paterno il cielo esondante bisbiglia
si china e invade di opulenta luce
le vie delle città di già affollate

Mentre il sole di sé cesella il giorno
vivrò operoso il quotidiano ufficio

Remo in altura dalla lunga strada
specchio un volto straniero e indaffarato
che rissa coi frangenti di ogni mare
in attesa del golfo della sera
distesa scaturigine di pace


ONDA DEL MARE

Di nuovo le fattezze onda del mare
e la gaiezza accattivante ostenti
dallo struscio brusente sulla rena

Torrida l’aria nel dormiente vento
mi raccorda alla magia come allora
di quel recitativo multiforme

Ti si abbandona candido l’udire
il cobalto si affonda nella luce
l’antichità del rito si ripete
tripudia guizza nel sole possiede
l’abbraccio abita dell’asciutta estate

Si sdipanano luccichi di vita
gorgoglianti ricordi dal passato
i castelli innalzati con la sabbia
dall’operare intento di un fanciullo
nel delirio dei sogni di architetto

Onda del mare dal morbido tocco
dei boccoli scherzosi carezzevoli
nuovamente lambisci il mio vagheggiare
al tuo canestro chiama la risacca
dal tenero sussurro dentro il tempio


NEVE

Candida piuma flemmatica cade
arrotonda i morbidi rarefatti
borbottamenti di un crudo meriggio

Di inviolata purezza è l’aria e ascolta
il vagolante fioccare stellato

Giocherella ed alla vista nasconde
il cortile ora vuoto di una scuola
e benefico con un manto copre
gli ettari biondi agognati dal grano

Attonito è lume sopra le croci
nere già stinte di chi cadde in guerra:
aggrondati si sommuovono i fiocchi
si fanno muta preghiera dolente –
gemme – ustiona l’accecante nitore


ALL’OMBRA DEI CASTAGNI

Il sole è tracotante nel suo picco

Impietoso primeggia infoca e spossa
le vigne prospere al di là dell’ombra
gli sporadici passanti accaldati

Avviluppati da benigne foglie
tra di loro colloquiano gli uccelli

Chiaro è il trastullo sorretto dai rami
e penetrante e vispo è il cinguettio
beffeggia la durezza dell’arsura

Sulla panchina poso a me vicino
il libro che era stato già riletto

Nella fronzuta sala da concerto
dagli amici castagni preparata
partecipe mi dedico all’ascolto
dell’eufonica sinfonia tra i rami

Una bava di vento si fa dote
di dolcezza alle morbide foglie
e all’alternarsi di luce e di ombra
sulla terra silente generata


DI MAGGIO

Un fantasticare di rondini
in un cielo mollemente ingrigito
monocromo luminoso
dallo sguardo di putto
della nuova primavera

Frullio di ali ascendenti
un riposo di larghi voli plananti
che l’aria sorregge
neri scarabocchi lampeggiano il cielo
lo coccolano
nell’esultare mai stanco
in una lingua arcaica

Muta la nebbia lavora di pennello
si inerpica sul declivio arborato dei colli
ne nasconde le cime
ne fa uno scrigno occultato
in attesa di essere aperto

Transumato dal mondo
con le rondini garrisco
e la terra all’aratro dischiudo
nel cantico deflagro laudativo
di una gioiante creatura

Non può essere il nulla

[CONTINUA]


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