Perle blu

di

Walter Maron


Walter Maron - Perle blu
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 68 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-2093

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina: Leone alato e conchiglia con perla blu di Selena Folco Volto sognante (Dafne) di Christian Maron


Introduzione

In questo mio ultimo libro la “Dolce Evasione”, caratteristica della mia narrativa, ci porta a scoprire il territorio veneto nell’affascinante periodo della Serenissima, collegando il passato con il presente in modo fantasioso e coinvolgente.
La “Dolce Evasione” del pensiero avviene aprendo una finestra su un mondo particolare ed affascinante, un mondo che permette di realizzare i propri desideri e fa provare emozioni trascorrendo attimi di vita armoniosi con la natura ed il mondo circostante, interrompendo la fredda razionalità della realtà.
I sogni vengono donati dalla “Dolce Evasione” ed hanno durata limitata ma valorizzarli al meglio è cosa piacevole ed indispensabile per dare un senso all’esistenza.

L’autore


Perle blu


Capitolo 1

La storia

Veneta Serenissima Repubblica, anno 1557.
In una piccola parte degli ettari di terreno di questo storico stato e più precisamente nelle zone depresse campagnole nel sud dell’attuale Veneto, risiedeva, nella sua dimora, con la sua famiglia, uno dei patrizi veneziani: Messer Marcher.
La sua abitazione, edificata probabilmente da uno degli architetti di ispirazione palladiana, si ergeva piccola e fiera in una porzione di terreno in prossimità di uno dei canali di scolo ed irrigazione che si collegava con l’attuale fiume Adige.
Non si conosce del tutto la storia di questo personaggio: dalle probabili origini francesi del suo cognome alle vicende movimentate della sua vita.
Infatti, dalla dimora di campagna dove viveva, si spostava frequentemente in autunno ed inverno sino a raggiungere il suo palazzo a Venezia, laddove venivano lavorate principalmente le stoffe.
Messer Marcher era un mercante che trattava principalmente tessuti ed abiti ma anche particolari oggetti di vetro che amava collezionare e vendere naturalmente a buon prezzo.
Le sue attività gli consentivano uno stile di vita più che dignitoso ed il tranquillo mantenimento della sua famiglia: moglie e due figlie.
Altri proventi gli arrivavano costantemente dal lavoro dei campi e dalle merci, anche alimentari, prodotte nei suoi terreni vicini alla villa, con l’aiuto della servitù e dei braccianti del posto.
La moglie e le figlie, quest’ultime ancora giovani, di rado si recavano a Venezia con lui; accadeva solamente in caso di ricevimenti o altre occasioni importanti, infatti sarebbero state solo di intralcio per lo svolgersi delle commissioni.
Nell’anno sopraindicato ci fu un avvenimento che sconvolse le loro vite per sempre…

Era estate, faceva caldo, Marcher decise di ritirarsi in campagna per un buon periodo e godersi i suoi possedimenti: aveva intenzione di far lavorare intensamente i campi nel retro della sua villa e raccoglierne, a breve, i “frutti” per l’inverno ed aveva inoltre intenzione di andare spesso a caccia e di organizzare qualche piccolo ricevimento.
Egli amava, a modo suo, quella dimora quasi come la sua famiglia.
La villa era piccolina ma aveva i connotati delle ville palladiane più belle: frontone triangolare con stemma di famiglia (bicolore rosso ed ocra con strisce nere) sorretto da quattro possenti colonne, esso non sporgeva più di tanto nell’ampia scalinata a tre serie di scalini con colonne piccole e corrimano di pietra ai lati che si interrompevano solo nell’ultima serie per lasciare spazio ad altre due scalinate laterali più piccole.
Sotto il frontone che dava l’accesso alla porta del salone principale c’era un ampio spazio aperto all’esterno, tramite il colonnato, con due affreschi raffiguranti divinità classiche: probabilmente Zeus con una espressione del volto forte e sicura, con la sua folta barba e le possenti braccia ed Atena, la dea della guerra, con la sua veste bianca ordinata ed un po’ stretta all’altezza del petto da un laccio e con, inoltre, il suo elmo da centurione dove fuoriuscivano i femminei capelli, il tutto girata ed ordinata di profilo con lo sguardo diretto a Zeus stesso.
Accanto a queste due figure c’erano altre due porte laterali, dove probabilmente aveva accesso la servitù ed anche queste avevano, a fianco sul muro, verso l’esterno, due affreschi riguardanti due cigni bianchi con ali e teste protese verso le divinità.
A fianco della porta d’ingresso che portava al salone principale, in posizione affiancata, c’erano due porte secondarie che davano l’accesso a due sale laterali vicine con due grandi finestre, l’una frontale e l’altra laterale.
Probabilmente la villa si completava con analoghe sale in prossimità di quelle laterali, ripetute nel retro e sempre vicine al salone nobile.
In questo caso i saloni nobili dell’abitazione erano due: quello principale e quello adibito a sala da pranzo, retrostante a quello principale.
Le sale, tra loro, erano divise tutte da piccoli disimpegni prima delle loro porte d’ingresso.
Le stanze nel retro della villa erano le camere da letto della famiglia.
Nei disimpegni tra sala e sala c’erano, in alcuni punti, delle scalette in legno che mettevano in contatto le cantine ed il granaio sotto il tetto della villa stessa.
In quest’ultimo era divisa e catalogata la merce: cibo, stoffe, oggetti in legno e vetro, utensili e recipienti leggeri…
Il salone principale era affrescato, anch’esso, con gli dei dell’Olimpo, intervallati da qualche cherubino e da qualche animale (volatili per la maggior parte).
Un grande oggetto in metallo, formato anche da una composizione di piccoli prismi di vetro intagliati ed uniti tra loro a comporre una campana, era aperto e fissato nel soffitto per illuminare, con il candelabro inserito nel suo interno, il centro del salone stesso; ed altri candelabri, più piccoli e semplici (quattro per lato), completavano l’illuminazione di questa importante zona dell’abitazione che aveva anche un pavimento in pietra chiara ed alcune sedie in legno per i musici che accoglievano gli ospiti con le loro melodie.
Il salone, tramite un’altra porta interna e diretta a quella d’ingresso ed un altro disimpegno, si collegava alla sala da pranzo (al centro, nel retro della villa) dove c’era una tavola rotonda in legno chiaro con diverse sedie, in legno anch’esse, porcellane e ceramiche in mostra sul mobilio elegante e capiente per piatti, posate ed altro ancora.
Al soffitto era appeso il capiente candelabro con il relativo decoro in vetro.
Tutte le finestre delle sale avevano, ai lati, delle tende in tessuto rosso raccolte con dei lacci ed appese in alto tramite anelli scorrevoli su sostegni in legno, questi ultimi fissati, sulle estremità, negli infissi in metallo delle pareti laterali.
La sala da pranzo, tramite un’altra porta, dava su una piccola scalinata all’esterno, laddove, dopo una piccola porzione di terreno fiorita, primeggiavano due pescherie, squadrate e con delle bellissime ninfee con fiori gialli, bianchi e rosa al loro interno.
Attorno a questa porzione di terreno ce ne erano altre dove erano presenti piante aromatiche ed ornamentali.
All’orizzonte c’era la cancellata posteriore semplice rispetto a quella principale che terminava molto più alta e con punte affilate.
Entrambe le cancellate erano composte da incroci di metallo che si innalzavano con diversa lunghezza e tipologia verso l’alto e che si aprivano nel mezzo.
Il muro di cinta, uniforme su tutto il perimetro della villa, era alto ed aveva merlature simili a quelle dei castelli medioevali.
Erano presenti anche due barchesse laterali, in linea con la villa, non molto lunghe e semplici nella loro composizione: tetto triangolare come la villa e diverse colonne a sorreggerne le strutture portanti.
Esse avevano la funzione di deposito degli attrezzi agricoli e di stalla per i cavalli.
Il viale di ingresso dell’abitazione, ricoperto da ghiaino e delimitato da verdi siepi, divideva in due il giardino di fronte e portava alla scalinata; in questo giardino erano presenti diverse piante, soprattutto rose e alberi di magnolie.

Era una mattinata di quel periodo quando Messer Marcher aprì gli occhi.
Era disteso sul comodo letto a baldacchino, con tendine e copriletto rossi su lenzuola e guanciali bianchi ed aveva vicina, girata di schiena, la moglie.
I bei capelli castano lunghi e arricciati di lei coprivano anche un po’ le lenzuola.
Stava ancora dormendo, come probabilmente anche le loro due figlie nella stanza vicina.
Lui iniziò a pensare cosa fare nell’arco della giornata e subito si vide partecipe ad una battuta di caccia nei campi e fossati vicini: anatre e fagiani erano le prede più ambite.
In quel momento il respiro lungo della moglie si fermò per un attimo e lei si risvegliò, girandosi poi verso il marito.
Accorgendosi che era sveglio, di seguito, lo baciò su una guancia e lo abbracciò.
Lui le rispose con un altro piccolo bacio, girandosi poi sull’altro lato del letto per mettersi seduto, dicendo in seguito che andava a caccia.
Chiamò, tramite il suono di una campanella, la dama di compagnia che lo aiutò a lavarsi e a vestirsi.
Questa fece poi chiamare lo stalliere per far preparare il cavallo nero del messere.
Marcher, una volta vestito e preparato del tutto, aprì lo sportello di un mobiletto segreto in legno scuro dove teneva il suo fucile e in una sacca i pallettoni e la polvere da sparo.
Si armò ed uscì dal salone principale, dirigendosi poi verso la barchessa di destra dove lo attendevano i suoi servitori che chinarono il capo al suo passaggio, consegnando poi, a lui, lo stallone pronto.
Messer Marcher era un uomo alto con barba e capelli bruni arricciati, robusto e fiero e non dava l’impressione di essere un mercante di tessuti, nemmeno un lavorante delle stoffe, sembrava di più un lavoratore della terra.
Infatti si trovava spesso in difficoltà in occasione di feste e ricevimenti nel vestirsi con abiti prettamente nobiliari e nel farsi dare e tenere distribuita sul viso un po’ di polvere bianca per sbiancare il suo volto dalla carnagione olivastra dove, ogni tanto, faceva capolino più di qualche ruga, nonostante avesse superato da poco i quarantatré anni.
L’abito che indossava in quel momento rispecchiava tutti questi aspetti: era un abito scuro con pantaloni aderenti come l’epoca stabiliva per i nobiluomini, coperti con dell’altra stoffa scura nella parte superiore, completato poi da una giacca dove primeggiavano dei lucenti bottoni argentati che avevano come effigi quattro piccole ellissi che si univano al centro, in prossimità di un piccolo cerchio.
Questa giacca aveva anche, a ridosso del risvolto dei polsini, due gemelli lucidi, sempre argentati come la fibbia della cintura che chiudeva la giacca stessa.
La cintura aveva tonalità più chiara, come il bavero bianco piegato più volte sulle spalle, frontalmente e anche sul retro.
Quest’ultimo elemento di decoro, come gli accessori in argento, lo differenziavano dai popolani ma, comunque, quell’abito rimaneva ad uso esclusivo per la caccia.
Per queste e per altre occasioni il messere aveva i suoi fidi collaboratori, tra i quali, soprattutto, un uomo all’incirca della sua età, un tuttofare, al quale era anche concesso di abitare, con la famiglia, nello scantinato della villa.
La moglie di quest’ultimo, infatti, era la donna che lo aiutava nella preparazione e la sistemazione degli abiti, nella pulizia personale e nella cucina per tutti.
Per tutti questi compiti, tra i quali quello di seguire anche le figlie del nobiluomo, questa donna si avvaleva dell’aiuto della figlia e di altre aiutanti.
Anche il servitore aveva capelli, occhi e barba sullo scuro ma, a differenza di Marcher, la sua barba sembrava paradossalmente più curata anche se aveva un’avanzata calvizie sul capo ed era decisamente più magro del nobile veneziano.
Non era, comunque, un uomo debole ma bensì forte tanto quanto il giovane figlio che sempre lo aiutava nei servigi al loro benefattore.
Avevano dei poveri abiti scuri di stoffa adatta alla stagione e delle scarpe sporche di fango, non belle e curate come quelle con la piccola fibbia argentata del messere.
Il figlio aveva più o meno gli stessi connotati fisici del padre, con la differenza di avere diversi capelli di media lunghezza, riccioluti, un accenno di barba ed una postura più eretta data dalla sua giovane età.
Erano accompagnati da due stallieri che avevano in precedenza preparato, assieme a loro, i cinque cavalli per la battuta di caccia: solo il cavallo di Messer Marcher era diverso dagli altri, era più poderoso e forte oltre che ad essere diverso per il colore, gli altri erano dei comuni ronzini marroni con delle selle sgualcite e sgangherate in groppa, non come quella perfetta e lucente del loro padrone: una sella nera fatta di materiale di prima scelta per l’epoca con dei terminali di stoffa rossi ricamati.
Anche in quello il padrone si doveva distinguere dai comuni plebei, anche se il tutto, per la verità, non si notava tantissimo.
Dopo esser salito sul suo destriero sotto la barchessa di destra, Marcher segnò veloce il percorso agli altri compagni di caccia che gli servivano principalmente per il recupero veloce delle prede e per il passaggio rapido dei pallettoni per il fucile.
In un attimo il messere fu nel retro della villa e vide i mezzadri intenti a curare le piante ornamentali e da frutto del suo brolo.
Poi vide quelli addetti alla lavorazione dei campi secchi, oltre le sue peschiere e oltre al cancello posteriore fino al canale di irrigazione che passava a circa 900 metri dalla sua abitazione. In quel momento lo atraversarono su un ponticello di legno al trotto dei loro cavalli.
I suoi terreni, infatti, si estendevano anche un po’ oltre al fiumiciattolo.
Naturalmente, al suo passaggio, tutti interruppero per un attimo le loro attività per fare un piccolo inchino (tranne coloro che in velocità aprirono il cancello).
Lui, quella mattina, non li guardò più di tanto, contrariamente ad altri giorni quando si fermava anche a dialogare, in quel momento aveva fretta di raggiungere la zona di caccia.
Stava già vedendo diversi uccelli ma, quel giorno, preferiva prede più grosse: voleva almeno una decina di anatre e poi avrebbe deciso se sparare a qualche preda in più ma non avrebbe perso tanto tempo, infatti voleva parlare alla moglie del fatto di avere da tempo in mente di organizzare un ricevimento, per lo più di affari, con uomini del suo rango e, durante il quale, intavolare progetti futuri anche per i suoi possedimenti, cercando di sfruttare al meglio tutte le risorse sia dei possedimenti in campagna che di quelli a Venezia.
Si sarebbe limitato ad una decina o dozzina di capi di selvaggina anche perché nella ghiacciaia, scavata per lo più nel terreno adiacente alla barchessa di sinistra, all’ombra di tre grandi magnolie, ne aveva ancora degli altri abbattuti il giorno prima.
Nello scantinato della villa erano conservati, per lo più, i frutti e gli ortaggi provenienti dalle coltivazioni dei campi vicini, oltre ad esserci anche l’abitazione del servitore di fiducia e della sua famiglia ed il rifugio dormitorio di qualche altro mezzadro scelto dal padrone, questi ultimi senza famiglia.
Dopo aver attraversato diversi campi nelle zone non lavorate si fermarono tutti in prossimità di un altro piccolo canale di irrigazione, legando i cavalli agli alberi vicini.
Si stesero a terra: naturalmente Marcher aveva sotto il suo corpo un grosso mantello ricamato con i simboli del suo casato, anche in queste piccole cose doveva differenziarsi dai plebei ma, per quanto la quiete ed il silenzio furono assoluti, in quel momento non passò alcun animale tranne qualche altro piccolo volatile, sempre presente ma non nelle mire del padrone.
L’attesa si prolungò per circa mezz’ora fino a quando un’incauta anatra, con piumaggio marrone, sorvolò il canale.
Il messere preparò il fucile e con un cenno si fece passare i pallettoni.
Non appena l’arma fu carica si sentì lo sparo che, però, non ebbe conseguenze positive.
Tutti si rattristarono dell’accaduto anche perché se Marcher si arrabbiava con qualcuno di loro poi, per quella persona o anche per qualche altra, ci potevano essere giorni di lavoro intensi.
Ma non fu così.
Si spostarono in un’altra zona sempre nelle vicinanze del canale: ne seguirono lateralmente il percorso fino ad un altro ampio terreno con più alberi vicini.
Si stesero nuovamente a terra ma non ci furono movimenti per diverso tempo fino a quando il messere, per un attimo, si appisolò, pensando ai suoi affari a Venezia e a chi invitare per l’importante incontro in villa, quando fece capolino, nei paraggi, un grosso fagiano dalle piume variopinte, sulle quali primeggiavano le tonalità blu e marroni.
L’animale si avvicinò all’acqua per bere e quello fu il momento giusto per armare il fucile e fare fuoco.
Colpo secco e l’animale cadde tra la riva e l’acqua nel tripudio generale.
Gli aiutanti si affrettarono a recuperare la preda che aveva, in quel momento, salvato l’esito della giornata e della caccia, anche perché a questo fagiano seguirono altre sette anatre, tutte dal piumaggio più o meno simile della precedente.
Al ritorno il patrizio veneziano si fermò nei suoi campi vicini a vedere per bene lo stato di coltivazione ormai prossimo alla raccolta del grano.
Si preoccupò di notare soprattutto se i terreni fossero sufficientemente irrigati e, sotto questo aspetto, si informò con i lavoratori se servivano ulteriori recipienti, altri carretti e qualche altro bracciante da impiegare in quelle mansioni piuttosto che altre.
I lavoratori dei campi assecondavano spesso il loro signore dicendo che andava tutto bene e che non c’era bisogno d’altro, massimo qualche volta richiedevano qualche utensile e qualche grosso recipiente ma raramente chiedevano un aiuto, anche perché gli stallieri che erano con lui non amavano certo il duro lavoro dei campi e quindi, in quel caso, ci sarebbe comunque stata una guerra fra poveri, anche perché erano proprio gli stallieri a godere, di tanto in tanto, di qualche favore del nobile che si traduceva in cibo e vesti.
Loro stessi per mantenere lo status quo magari assecondavano, a loro volta, i contadini in qualche richiesta e il tutto si manteneva e regolava così.
C’era stato un po’ di scarto nel grano ma alla fine questo era stato ancora ininfluente: molto spesso i prodotti della terra che venivano, durante la loro crescita, eliminati per difetto, sarebbero stati rivisti attentamente poi dai poveri lavoratori su benestare del signore e così si sprecava molto poco.

In breve tempo tutti i partecipanti alla battuta di caccia raggiunsero la barchessa adibita a stalla ed il servitore più importante di Messer Marcher avvisò del loro ritorno.
Il figlio di quest’uomo portò la selvaggina in ghiacciaia e la sua donna condusse il messere alla stanza adibita alla pulizia personale (ricavata da una porzione di sala e da un disimpegno), ben preparata prima, anche con il cambio di abiti.
La nobile signora poi raggiunse il marito, pulito e preparato, lo abbracciò baciandolo sulle labbra chiedendogli successivamente dell’esito della caccia.
Lui nel risponderle le parlò anche dell’importante ricevimento di divertimento e di affari che aveva già mentalmente organizzato, avendo intenzione di invitare anche personalità importanti che era solito incontrare per lavoro a Venezia: aveva qualcosa di interessante da far vedere, sperando nei potenziali ricavi che questa o queste cose potessero portargli.
Lui comunque, rendendosi conto della ovvia sorpresa della moglie, per non contrariarla molto le diede ampia libertà di scelta riguardo ad altri possibili invitati, menzionando come esempio alcune persone, tutte più o meno importanti, prese in considerazione talvolta per simpatia e talvolta per la loro importanza ed influenza anche sulle alte cariche del patriziato veneziano.
La moglie di Messer Marcher era abbastanza giovane: carini erano i lineamenti del suo viso uniforme, belli i capelli lunghi che lei amava mostrare al posto delle finte ed odiose parrucche bianche ancora in uso per la nobiltà, molto belli i suoi occhi azzurri ed il suo bianco sorriso tra le sue labbra sottili. La media statura e la sua corporatura snella ne completavano l’aspetto fisico.
La coppia aveva due bambine pressoché identiche anche se differivano di qualche anno, erano comunque nell’età della fanciullezza: avevano entrambe i capelli castani e gli occhi ed il viso dolce della madre; dal padre, probabilmente, avevano ereditato il carattere deciso, visto che non era semplice tenerle a bada.
In quel momento, dopo il succulento pranzo preparato dalla donna del servitore con le sue aiutanti, Marcher e la moglie si ritirarono nella loro camera da letto ed iniziarono a compilare la lista degli invitati al ricevimento.
Le bambine, in quel secondo momento, si trovavano proprio con la donna tuttofare sopra citata.
Quest’ultima, nel frattempo, era passata dalla cucina all’affidamento delle bambine, cercando di insegnare loro qualche mansione di casa nell’attesa dell’arrivo di qualche dotto signore, incaricato dai genitori, per la loro istruzione.
Per il ricevimento servivano arazzi di stoffa con il simbolo familiare, oggetti in vetro, soprattutto bicchieri e ceramiche varie, non solo piatti e qualche lavorato in tessuto per omaggiare i vari invitati, oltre che l’ingaggio di alcuni artisti e musici da schierare nel salone nobile della villa, ciascuno con il suo preciso compito.
E così fu.
Arrivò il caldo giorno prefissato per questo evento ed il tutto ebbe così inizio.
Arrivarono tutti i vari invitati con le loro grandi e veloci carrozze nere con più o meno cavalli o più o meno decorazioni a seconda della loro varia importanza in società.
Tutti arrivarono con i loro servitori appresso, minimo quattro per famiglia, con abiti e doni importanti per l’occasione.
Le signore facevano sfoggio delle loro gonne a campana e delle loro camicette, delle loro parrucche, dei loro visi più o meno truccati e, soprattutto, dei loro gioielli e delle loro collane lavorate con i preziosi più belli in commercio all’epoca.
Quasi tutte calzavano degli zoccoli alti utilizzati per lo più per comodità e per slanciare la loro figura, questi ultimi naturalmente ben decorati ed accessoriati, accompagnati bene alle calze bianche che avvolgevano i loro piedi.
Anche i signori erano fieri e orgogliosi man mano che venivano annunciati assieme alle consorti nel salone nobiliare, ciascuno di loro con camicie bianche e giacche che potevano essere di colore giallo o nero in tinta con i pantaloni che arrivavano non molto oltre al ginocchio, lasciando visibili le calze bianche e lunghe tipiche dei nobili, calze che finivano all’interno di scarpe bellissime, comode e ben lavorate, ciascuna con una cinghietta che si legava ad una fibbia d’argento che si adattava al collo del piede per essere calzate al meglio.
Anche gli uomini avevano la parrucca come era di consuetudine per la nobiltà, alcuni la portavano fieri mentre altri, come Marcher, la portavano in modo riluttante, però era comunque un obbligo.
Tutti gli ospiti prima, dopo e durante il loro annuncio furono allietati dai suoni dei musici e dai versi dei poeti talvolta tristi e talvolta allegri e fieri nel contesto ambientale ideale per esprimere la propria arte.
Dopo qualche ora trascorsa per lo più a parlare di argomenti leggeri, tutti gli invitati raggiunsero la tavola imbandita nel salone adiacente a quello nobile.
C’era ogni ben di dio nei vassoi delle pietanze: zuppe, selvaggina, verdura ed altro ancora nelle fruttiere, poi c’erano tanti recipienti e calici vari per il vino e per l’acqua ed inoltre tanti piatti decorati con belle cornicette blu.
Tutti mangiarono abbondantemente ed i musici continuavano a suonare ininterrottamente.
Probabilmente questi ultimi avrebbero poi cenato con i servitori in modo sicuramente più umile.
Ad un tratto, dopo aver parlato di caccia, Messer Marcher si avvicinò ad un nobile funzionario e ad un concorrente, comunque amico, commerciante anche lui di stoffe e preziosi nei vari paesi e porti della Serenissima e parlò a loro del suo ambizioso ma insidioso progetto di commerciare prodotti in Medio Oriente, insidioso per la presenza delle navi turche e di quelle dei pirati, cercando di raggiungere sempre più popoli interessati ai suoi prodotti e materiali, tra i quali uno in particolare che sarebbe stata la sorpresa della serata, incrementando guadagni e reciproci scambi.
Il tutto naturalmente si sarebbe sviluppato per tappe, senza mettere troppo in pericolo le navi ma, comunque, cercando di spostare ancora i commerci della Serenissima nelle zone orientali e meridionali dopo le varie battute d’arresto nelle zone più ad occidente.
Naturalmente servivano bravissimi marinai guerrieri, qualche cannone e qualche fucile per tenere la situazione sotto controllo il più possibile.
Il progetto, una volta visti degli esempi dei materiali da commerciare, interessò moltissimo al funzionario del doge e anche all’altro nobile mercante che promise a Marcher aiuti in uomini, materiali e mezzi, il tutto logicamente in ottica di spartizione dei ricavi e con le sollecitudini di partire il prima possibile per evitare la navigazione nella brutta stagione, con i rischi connessi anche alle condizioni del mare.
Anche agli altri commensali arrivò la notizia ed improvvisamente tutti fecero un grande applauso ed un brindisi al coraggioso padrone di casa.
Il pomeriggio di tutti fu allietato dalle passeggiate nel brolo e nella zona delle piante aromatiche dove ognuno sentì i meravigliosi profumi.
Anche i figli delle varie coppie ebbero modo di divertirsi rincorrendosi, scherzando, negli ampi giardini, sempre comunque controllati dai servitori di fiducia dei vari nobili.
Fu una giornata positiva dove tutti si divertirono e mangiarono tranquilli e sicuri, anche perché i primi assaggi delle varie pietanze erano stati destinati ai cani da caccia, proprio per evitare avvelenamenti o il servire piatti deteriorati.
C’era quindi anche questa precauzione in più.
Gli artisti ed i musici furono molto apprezzati come la giornata serena in generale.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine