Al di là dei sogni… il mare - Raccolta di nove racconti

di

Vita Minore


Vita Minore - Al di là dei sogni… il mare - Raccolta di nove racconti
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 132 - Euro 12,00
ISBN 9791259511812

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In copertina «Young lonely beautiful woman drifting on a boat above clouds. Dreamy screensaver» © pathdoc – stock.adobe.com


Prefazione

Vita Minore propone una interessante raccolta di nove brevi racconti eterogenei, ma sempre collegati tra loro da un sottile filo sotterraneo che percorre l’intera raccolta.
La visione narrativa risulta decisamente coinvolgente e, in alcuni racconti, la sua parola si fa commovente quando racconta l’amore immenso di una madre per il figlio e, ancora, quando narra una storia d’amore intensamente vissuta e fortemente perseguita dalla protagonista d’un racconto.
Durante il processo narrativo si evidenzia, in modo chiaro e preciso, la grande capacità di “raccontare” da parte di Vita Minore che, con pochi tratti, riesce a rendere perfettamente la profonda sostanza, pervasa di sensibilità estrema e sentimenti autentici, della sua intenzione narrativa.
Il primo racconto regala il titolo alla raccolta, “Al di là dei sogni… il mare”, e narra la vicenda di una donna che “sogna ad occhi aperti” ed è libera di scegliere ciò che desidera, entusiasta di essere vicino al mare dove lei si “sente a casa”: nascerà un inaspettato viaggio nella mente dove, infine, si ritroverà a “danzare felice”, anche se avvertirà chiaramente di essere, ormai, ritornata alla realtà.
Nel secondo racconto, “Nulla di eccezionale…è solo un amico”, viene raccontata la storia d’amore tra Erica e Samuele che, dopo un inizio con qualche diffidenza da parte di lei che aveva percepito nello sguardo di Samuele un senso di superiorità ed una sorta di distacco, aveva visto un totale cambiamento da parte dell’uomo che cominciava a “guardarla con occhi diversi”, dopo che si erano rincontrati per uno strano gioco del destino.
Alla fine, si illuminerà il loro grande amore che diventerà sigillo della storia narrata.
Un altro racconto da segnalare è sicuramente quello intitolato, “Tristezza”, che narra la vicenda di un ragazzo il quale, alla morte della madre, riceve una vecchia scatola che gli ha lasciato l’adorata mamma: contiene semplicemente delle lettere, un album di foto ed alcuni oggetti.
Dopo aver letto le vecchie lettere si rende conto che l’attuale domestica è la sua vera madre e che, in passato, s’era offerta come madre surrogata per regalare un figlio alla donna che sarebbe diventata, poi, la madre del protagonista.
In un primo momento il ragazzo è attanagliato da una forte perplessità ed un senso di smarrimento, ma, poco dopo, si renderà perfettamente conto che, ormai da tempo, nel profondo del suo cuore, aveva percepito chiaramente che la domestica era la sua vera madre, seppur non aveva ancora il coraggio di accettare tale verità: un caloroso e amorevole abbraccio suggellerà il loro immenso affetto.
In conclusione si può ben affermare che la parola di Vita Minore, come sempre, va dritta al cuore, penetra le zone più celate dell’animo umano ed esalta i sentimenti autentici, offrendo le sue storie “intense” che rendono fedelmente la sincera intenzione narrativa: le rappresentazioni offerte vengono sottoposte al vaglio del suo sguardo attento, costantemente proteso a fissare le personalità e gli stati d’animo dei vari personaggi attraverso un continuo scandaglio che evidenzia ed esalta la sua capacità narrativa.

Massimo Barile


Al di là dei sogni… il mare - Raccolta di nove racconti


Al di là dei sogni… il mare

Me ne stavo seduta tranquillamente sul dondolo della veranda, quando un delizioso aroma di caffè sconvolse piacevolmente la mia mente. Da lì a poco Veronica, la mia amica, arrivò con un vassoio e due tazzine fumanti.
«Il caffè è pronto!» mi disse, e insieme terminiamo di sorseggiarlo parlando allegramente.
Poi lei rientra portandosi via il vassoio, mentre io rimango seduta sul dondolo, a cullare i miei pensieri.
Dalla radio accesa una canzone dello zecchino d’oro, Volevo un gatto nero, sprigiona le sue note raggiungendomi, e in un attimo la mia fantasia vola lontano…

…Mi metto in testa il largo cappello e mi guardo allo specchio.
Il fiocco è una meraviglia. Mi osservo compiaciuta ed esco con passo felpato fuori in strada. Sto bene, mi sento padrona del luogo e passeggiando mi guardo intorno estasiata.
Volti insignificanti camminano senza vedermi, ed io con fare sicuro avanzo impavida in mezzo a loro.
Un treno fischia in lontananza, corro per raggiungerlo e lo prendo al volo. Entro, mi tolgo il cappello mentre una folta chioma di lunghi capelli mi si adagia sulle spalle.
Ops, la musica è finita e Veronica ritorna a far sentire la sua voce: «Esco a fare la spesa, vuoi qualcosa?»
«No, fai tu, mi fido di te» rispondo.
«Ok, ciao, torno presto» e subito dopo sento il rumore della chiave che gira nella toppa.
Ora sono sola in casa e affondo la testa nel morbido cuscino adagiato sul dondolo pronta ad assaporare quel momento fatto di silenzio tutto per me.
Dalla radio rimasta accesa vibrano nell’aria le note di un flauto, e quel suono ha il potere magico di muovere il tempo.
Sogno ad occhi aperti. Luoghi lontani mi attendono. Ho una valigia fra le mani, dove sono diretta?
Ho davanti la libertà di scegliere fra mille strade a me sconosciute. Basta imboccarne una e il primo passo è fatto.
Lentamente mi muovo, indecisa su che direzione prendere. Il vento mi scompiglia i capelli, lo uso come scusa. Non riesco a muovermi, la valigia è troppo pesante, non voglio intraprendere questo viaggio, qualcosa mi frena.
Automobili mi sfrecciano davanti, ecco un’altra scusa per non prendere una decisione.
Un sole accecante mi si para davanti all’orizzonte; mi ribello. Non voglio avanzare, sto bene, dove sono! Non voglio altre avventure, voglio solo vivere il momento presente, “il mio presente” che è quello di non prendere nessuna decisione, restare ferma, immobile, nella mia posizione. Fortunatamente la musica è finita, apro gli occhi e mi accorgo di essermi intristita.
«Buongiorno Sonia, come stai oggi?»
La voce arriva dalla siepe del mio vicino di casa. È appena tornato dal lavoro e come al solito il suo primo pensiero è venirmi a salutare.
«Ciao Stefano, bene. Mi sono appisolata ascoltando la radio nell’attesa che Veronica torni a casa, è andata a fare la spesa. Tu come stai? Com’è andata al lavoro?»
«Oh come al solito, il capo ha sempre ragione! Ti lascio, vado a farmi una doccia, se hai bisogno, chiamami.»
E prima ancora che potessi commentare, lui sparisce al di là dalla siepe e dopo qualche minuto lo sento cantare sotto la doccia.
È un tipo simpatico, ma a volte vorrei che al posto della siepe ci fosse un muro alto qualche metro. Non sempre sono dell’umore giusto per intrattenermi con lui.
Lo ascolto cantare sotto la doccia e la sua presenza discreta mi rassicura, pur non volendo.
Torno ad appoggiarmi sul dondolo e socchiudo gli occhi mentre ascolto il suo canticchiare.
Una scalinata mi si para davanti. Indecisa se salire o no, tentenno ancora un po’; poi penso allo splendido panorama che lassù mi attende e la mia pigrizia svanisce.
Salgo canticchiando per allontanare la stanchezza e così facendo i gradini volano ed in un attimo, mi trovo in cima alla scalinata.
Riprendo fiato prima di immergermi nel nuovo paesaggio.
Un’esplosione di colori mi si para davanti: alberi e fiori mai visti intorno a me rallegrano la vista.
Qualche passo e il paesaggio cattura la mia attenzione. Ora sono immersa nel suo splendore. Altre persone hanno avuto la mia stessa idea e ora sono accampati felici all’ombra di qualche albero.
Cerco il mio che non trovo. Non ho voglia di cercare ancora, troppa gente intorno m’infastidisce. Torno giù e faccio le scale di corsa.
Non canto stavolta, mi sfugge solo un sospiro di sollievo per alleggerire la tensione mentre scendo dall’ultimo gradino.
Un rumore improvviso interrompe i miei pensieri e mi riporta alla realtà. È Veronica che rientra.
Si affaccia sulla veranda spostando la tenda.
«Sono tornata, tutto bene qui?»
«Sì, tranquilla tutto ok.»
La voce di Stefano ci raggiunge, parla con qualcuno al telefono.
«È tornato dal lavoro?» mi chiede Veronica indicando nella sua direzione.
«Già, un’altra giornata è volata.»
Faccio quel commento tanto per dire qualcosa, ma anche per non farle capire che il mio umore è cambiato da quando lei è uscita.
«Metto a posto la spesa e dopo vengo a farti compagnia.»
Le faccio un cenno di saluto con la mano e lei sparisce all’interno della casa.
Torna dopo circa mezz’ora e vedendo che io tengo gli occhi chiusi pensa che stia dormendo, quindi non dice una parola. Silenziosamente si sdraia sul lettino che di solito usiamo per prendere il sole ed inizia a leggere un libro.
La sento trafficare intorno a me, ma di proposito lascio che anche lei abbia il suo momento di riposo facendo io finta di dormire.
Stefano dal suo appartamento aveva acceso la televisione, e come al solito il volume troppo alto invade il mio campo.
Non gliel’ho mai detto perché penso che anche lui abbia il diritto di fare ciò che vuole intorno al suo spazio vitale dopo una giornata di duro lavoro. Tanto più che non è poi così fastidioso quel chiacchiericcio televisivo; per cui io continuo indisturbata il mio viaggio nella fantasia.
…È pomeriggio, scendo dal treno e m’incammino; ho nostalgia di questo luogo, mi piace.
Sento una musica in lontananza e vado in quella direzione.
Entro in un bar, un jukebox è acceso ed una coppia balla languidamente abbracciata.
Mi guardo intorno, mi sento fuori luogo. Esco dal locale e m’incammino, vado verso il mare.
Qui mi sento a casa. Il mare calmo ed imponente è lì davanti a me, mi siedo sulla sabbia e l’ascolto parlare. Passano le ore e “lui” ancora parla, brontola.
Una sciarpa svolazza fino ai miei piedi trasportata dal vento. È morbida e profumata e interrompe i miei pensieri.
La raccolgo, mi guardo intorno, non c’è nessuno. Mi alzo e m’incammino di nuovo. Sento il mare che mi chiama, ma non l’ascolto. Gli do le spalle, vorrei voltarmi per salutarlo, ma non voglio che veda la mia tristezza, perciò allungo il passo.
Questa nostalgia non mi lascia. Che cosa mi prende? Voglio uscire da questo tempo che si è fermato. Cammino trascinandomi dietro la sciarpa e la sua morbidezza mi fa compagnia. Un’auto si ferma a pochi passi da me, rallento il mio vagabondare, una voce squillante di donna mi travolge gioiosamente.
«Grazie, ha trovato la mia sciarpa! Non speravo più di riuscire a trovarla, mi è volata via dal finestrino, grazie, grazie, grazie!»
Me la sfila dalle mani senza darmi il tempo di rispondere, sale in macchina e riparte.
Guardo l’auto che si allontana velocemente, impossibile raggiungerla.
Sento un fruscio e apro gli occhi: è Veronica che si accinge a rientrare in casa.
«Scusami, ti ho svegliata, mi spiace.»
«No Veronica tranquilla, non dormivo, ero sovrappensiero.»
«Io rientro, preparo la cena, ti chiamo quando è pronto.»
«Grazie Veronica, rimango ancora un po’ e ti raggiungo.»
La sento trafficare in cucina, è una brava cuoca; anche stasera sono sicura mi stupirà con i suoi manicaretti.
Mi alzo un po’ indolenzita dal lungo riposo e piego il plaid.
Raccolgo le mie cose e rientro.
Un delizioso profumino mi accoglie; Veronica è già ai fornelli, la raggiungo.
«Preparo la tavola?» le chiedo.
Si gira e mi fa cenno di sì sorridendomi.
Metto la tovaglia, i bicchieri e tutto ciò che può esserci utile durante la nostra cena.
Entrambe non amiamo alzarci dal tavolo per qualcosa che manca intanto che mangiamo, per cui teniamo un carrello con oggetti vari vicino a noi per evitare questo disagio.
Quando ho finito, mi guardo intorno; è tutto perfetto, proprio come piace a noi.
«Veronica ho finito, ti serve aiuto?» Le chiedo.
«No Sonia, ho quasi finito, grazie.»
So che non ama vedermi girare intorno a lei intanto che cucina, per cui ho imparato a tenermi alla larga, oserei dire, con immenso piacere, poiché non amo cucinare, ma una mano se me lo chiede gliela do volentieri.
Vado in camera e per far passare il tempo sfoglio una rivista.
Dalla finestra mi arriva un suono lieve. La apro, sono curiosa, voglio capire da dove arriva quella musica; mi sembra di conoscerla, ma in un primo momento non riesco a ricordarne il titolo.
Poi le note salgono e ricordo: “Notturno” di F. Chopin.
Mi perdo fra le sue note e volo alto anch’io.

…Delle tende svolazzano al vento in una camera fredda elegantemente arredata. Mi piace guardarle, sono così leggere che il vento non fa nessuna fatica a smuoverle.
Mi sento al sicuro in questa stanza, ma è troppo fredda e lucida, asettica.
Voglio andarmene, ma non mi muovo, continuo a guardare le tende svolazzare. Un grammofono suona una musica classica che riempie la stanza ed io, seduta su una poltrona, chiudo gli occhi e mi lascio trasportare da quelle note. Voglio stare lì, immobile, a danzare insieme a quelle tende. Poi una voce: «Sonia vieni, è pronto» ed il sogno svanisce.
Dopo cena, ognuna di noi si ritira nella propria stanza augurandoci la buona notte, libere di gestire il nostro tempo come ognuna di noi desidera.
Di solito mi attardo a guardare la televisione se ne vale la pena; altre volte mi piace scrivere al computer, oppure navigare su internet alla ricerca di una notizia interessante che non trovo. Altre volte passo il tempo su Facebook, quando la noia mi assale. Il più delle volte leggo, leggo tanto. Alle prime luci dell’alba sono ancora sveglia e mi obbligo a spegnere la luce ed andare a dormire. Ma il sonno tarda ad arrivare ed a quel punto mi metto a pensare. Sono sempre sul punto di partire con la fantasia, mi basta poco, un cenno, una parola e prendo il via.
Alcuni oggetti appoggiati sulla scrivania mi fanno compagnia in caso di bisogno: un fazzoletto, una penna e la tastiera del computer in bella vista, pronta a compiere il miracolo delle parole. Quando lavoro, metto sempre una musica di sottofondo che duri a lungo, senza interrompersi sul più bello, rompendo così la magia del viaggio; poi, quando infine sono pronta, scrivo. Volo e raggiungo il mare che è l’unico posto che mi sa calmare.
Le note di “The marriage of Figaro” entrano dalla finestra lasciata aperta di proposito.
Una giravolta su me stessa e sono in viaggio.

…La strada è assolata ed io saltello allegramente su una gamba e poi sull’altra, corricchiando come facevo da bambina. Poi prendo la rincorsa e vado per le strade alla rinfusa. Non ho una meta, mi sto obbligando ad andare. Sento freddo, sono insoddisfatta, nessun pensiero mi accompagna. Mi fermo, torno a saltellare su una gamba e poi sull’altra. Mi annoio, mi siedo su un muretto, intorno non c’è un alito di vita, tutti sono chiusi dentro le loro case. Le finestre sono scaldate dal sole, gli alberi sono immobili, un cane gironzola annusando gli angoli e i cespugli; poi mi viene vicino e sposta il suo sguardo annoiato su di me. Lo guardo, ho timore della sua reazione, non amo i cani perché mi fanno paura. Non li conosco, amo di più i gatti perché so come pensano e mi avvicino a loro senza problemi. Con i cani no, sto sempre in guardia.
Rimango appollaiata sul muretto in attesa di qualcuno, o qualcosa che venga a salvarmi.
Bussano magicamente alla porta. Apro come in trans, sento di essere ancora seduta sul muretto.
«Scusami Sonia, ma sei tu che hai il volume così alto? Non riesco a dormire.»
«No Veronica, senti? Viene da fuori, qualcuno che non riesce a dormire e cerca compagnia.»
«Ok, vado, metterò la testa sotto il cuscino, scusami Sonia.»
Si ritira assonnata nella sua camera, mentre “Il lago dei cigni” attraversa l’atmosfera e mi raggiunge.
Mi piace questo suono; mi spiace per Veronica, ma a me non disturba questa musica che arriva dal nulla. Mi avvio in bagno e lascio scorrere l’acqua, un bel bagno caldo forse mi aiuterà a dormire. Mi siedo sul bordo mentre la vasca comincia a riempirsi e quello sciacquettio mi rapisce. Sono di nuovo in viaggio.

…È estate, ed un grande lago mi accoglie.
Emergo dall’acqua inspirando a pieni polmoni, sono rimasta a lungo sott’acqua e ora sento il bisogno di respirare.
I lunghi capelli accompagnano il mio gesto esplodendo di gioia alla luce del sole, sparpagliando intorno a me gocce luminose che vanno a raggiungere le altre rimaste nel lago. Mi guardo intorno, l’aria fuori è calda e il giorno è luminoso. Faccio fatica a uscire dal lago perché il mio vestito è appesantito dall’acqua e rallenta i miei movimenti.
A fatica raggiungo la riva e mi lascio cadere sulla piccola spiaggia. Lascio che il sole faccia la sua parte, asciugandomi.
La musica rallenta, il tempo si ferma e qualcosa solletica i miei piedi scalzi.
Guardo in basso e ciò che vedo mi spaventa.
La vasca è piena e l’acqua trabocca a terra bagnandomi i piedi.
Mi sono distratta! Preoccupata, afferro un grosso asciugamano e lo appoggio velocemente a terra nell’intento di rimediare al disastro appena compiuto.
Fortunatamente ero lì, pronta a intervenire, altrimenti chissà che disastro; meglio non pensarci, ormai ho risolto.
Abbasso il livello dell’acqua della vasca, affinché possa immergermi senza causare altri danni.
Quando ho finito di lavarmi, mi metto l’accappatoio e riordino il bagno. Poi prendo il phon e mi asciugo i capelli.
Dalla finestra socchiusa mi arriva la voce di Annalisa Scarrone. Canta: “Una finestra tra le stelle”.
…L’aria calda del phon mi sorprende in spiaggia: sono stesa al sole sotto l’ombrellone, il vento muove la stoffa ondulata, mi piace stare lì a guardarla.
Sento che il mare calmo mi protegge, è un luogo a me familiare. Sono serena, ho tanta gente intorno, ognuno è steso al sole in cerca di pace.
Un granchio cammina sulla sabbia e mi raggiunge. Lo accarezzo con lo sguardo ma non lo tocco, per non spaventarlo.
La musica è finita, ma non il tempo; veloce lo afferro, non voglio che svanisca il sogno. Perdo qualche secondo lottando fra sogno e realtà fino a quando un tunnel illuminato è lì, in attesa che io lo attraversi.
Gli alberi intorno ondeggiano al vento, sono pronta.
Mi dirigo verso il tunnel ed entro. Guardo il soffitto, è umido; mi ricorda la galleria del mio paese. Anche questo per me è un luogo familiare e m’incammino. Quando arrivo al di là del tunnel un paesaggio bellissimo mi si para davanti. È come se mi affacciassi alla vita, respiro a pieni polmoni mentre osservo in lontananza il mare.
Tutto intorno la vegetazione è rigogliosa, rimango estasiata a guardare l’orizzonte.
Improvvisamente il sogno svanisce perché l’aria calda del phon, che ancora tengo in mano, mi brucia il braccio.
Lo spengo e vado a letto; è meglio non correre altri rischi per stanotte.

La sveglia suona, è già mattina! L’odore del caffè, scivolato via dalla cucina, mi raggiunge, segno che Veronica come al solito mi ha preceduta. Lei è mattiniera, io dormigliona!
La raggiungo, desiderando di tornarmene a letto ancora per un po’, ma mi sforzo di non cedere alla pigrizia.
«Buongiorno dormigliona… il caffè è pronto!»
Sbadigliando a più non posso, faccio un cenno di saluto con la mano, mi avvicino al tavolo e mi siedo.
Come al solito, la tavola apparecchiata è uno splendore: c’è una colazione degna di una regina, e noi lo siamo!
Ci sentiamo proprio due regine, sedute davanti a quella tavola imbandita a festa, e il profumo di brioche nell’aria, ha il potere di svegliarmi e darmi un tono. Finalmente rispondo al suo saluto.
«Buongiorno Veronica, come stai? Sei riuscita poi a dormire?»
«Ci ho messo un po’ a prendere sonno; poi fortunatamente mi sono addormentata fino a stamani. Che mania che ha la gente di alzare il volume senza preoccuparsi di disturbare i vicini!»
Non rispondo, con la scusa che ho la bocca piena. Non voglio contrariarla dicendole che a me quella musica non infastidiva, perciò mi ficco in bocca un pezzo di brioches e le sorrido con gli occhi.
Dopo colazione torno in camera per finire di vestirmi.
Un altro giorno mi aspetta, ma oggi non vado di fretta: è domenica.
La musica fuori continua imperterrita intanto che correggo l’ultimo mio scritto. Le note de “I trionfi del barocco” mi accompagnano, “La follia” è il brano principale ed il mio viaggio ricomincia…

…Un filo sottile è sospeso nell’aria. Lo guardo, non m’importa dove incomincia e dove va a finire, mi piace ammirarlo.
Il cielo è limpido, sento un fremere di muscoli che m’invogliano a danzare e i miei piedi si muovono in un tip tap frenetico.
Ballo sulle punte e la mia anima raggiunge quel filo. Vi passeggio sopra piroettando come fosse una danza.
Sento le mie gambe leggere, le foglie fremono seguendo l’armonia delle note.
La musica mi accompagna e mi fa avanzare leggiadra sul filo.
Ora non c’è più il filo, mi ritrovo in piedi sulla dura e solida terra. Mi guardo intorno. Improvvisamente le note salgono ed io mi lancio in una corsa ribelle, come fossi un puledro in corsa, con la chioma al vento. La verde e sconfinata vallata è lì davanti a me, mi fermo ad ammirarla. Sento dei campanelli, mi guardo intorno in un volteggiare frenetico, i piedi danzano e il mio corpo leggero accompagna quel ritmo.
Il cuore, immobile, guarda quel danzare per poi rallentare. Le mani ora si muovono come se suonassi un pianoforte e la musica riempie la stanza; poi rallenta e si ferma. Un ultimo sguardo al cielo e ritorno sul filo bianco. Avanzo piano, il mio corpo ora si è appesantito, vibra il filo per mantenermi in bilico ed infine sono arrivata al punto di partenza.
Scendo, guardo l’orologio, il mio viaggio è finito, ma subito riprende perché il lago dei cigni inizia a sciorinare le sue note morbide. Ed io m’immedesimo in quella danza.
…Ora sono un cigno. Un salto smisurato e sono in volo sulla vasta campagna. C’è una distesa arida laggiù ed il profumo di fieno mi raggiunge, nonostante il volo alto. Il mio lungo collo gira su sé stesso orientando il volo.
Il caldo dell’estate è piacevole quassù. Le mie piume bianche vibrano al vento ancora per un poco, poi mi poso su un ramo; osservo il piano erboso, riprendo il volo e torno indietro.
Il mio corpo riprende a vibrare ed infine cado; non riesco più a volare, cado, cado, cadooo.
Piano, sempre più dolce, il volo rallenta e ruzzolo sul prato. Vorrei riprendere il volo, ma il mio corpo, ora rigido, rimane immobile. Lo ascolto e mi sdraio sull’erba morbida, aspettando un raggio di sole che venga a scaldarmi, ma l’afa estiva m’impedisce di sognare e la musica infine tace.
I miei vicini hanno voglia di far festa a quanto pare; la musica non smette di “danzare”. Chiudo la finestra per impedire al suono di entrare, ma mi arriva lo stesso. La “Madama Butterfly” di Puccini disturba il mio lavoro ed io riprendo il volo.

…Sento urlare, gente che arriva da ogni parte, il cuore sobbalza nel petto. Il corpo non sa se avanzare o andare a nascondersi, vacilla in cerca di un appiglio che gli dia il via. E poi mi lancio in una corsa a perdifiato, insensibile ai sassolini che mi torturano i piedi scalzi. Mi fermo in fondo alla via, trovo un incrocio, dove vado? Perché sono qui? Sento freddo, non è il mio ambiente. Mi guardo indietro sperando di trovare una soluzione che non c’è e quelle voci mi raggiungono anche qui. Mi tappo le orecchie con le mani, non voglio sentire ed esse si allontanano. Passa un uomo, mi guarda sospettoso; anche lui si chiede che ci faccio a questo incrocio, sola e spaesata. È un uomo d’altri tempi, un rude contadino che ritorna a casa. Abbasso lo sguardo imbarazzata e spero in una voce amica che non arriva. Mi sento un animale in gabbia.
Di nuovo le voci mi raggiungono ed io riprendo a correre, ma stavolta ritorno indietro, raggiungo quelle voci e tolgo il telo che le separa da me.
Un gruppo di donne sul palco sta provando lo spettacolo per quella sera. Vedendomi s’interrompono e mi guardano accigliate “le ho disturbate?”
Richiudo il telo per non infastidirle e me ne vado. Ora sono più serena. Apro gli occhi, guardo l’orologio e sorrido, finalmente sono sveglia.
Ritorno alla realtà, mentre il mio animo danza felice, ma sono certa che non passerà molto tempo prima che io riprenda il volo.

[continua]


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