Racconti del cuore (Racconti)

di

Virginia Rizzo


Virginia Rizzo - Racconti del cuore (Racconti)
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 64 - Euro 4,20
ISBN 88-86957-49-1

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

Prefazione

Le donne scrivono. Scrivono tanto, e spesso bene. La folgorante scoperta di questa realtà, oggi potentemente strombazzata come fenomeno di costume e assai meno conosciuta e analizzata nella sua dimensione prettamente letteraria, è in realtà un po’ meno folgorante di quel che sembri. Le donne, infatti, hanno sempre scritto. Almeno quelle che per censo si potevano permettere di distogliere un po’ di tempo ed energie dalle incombenze domestiche per dedicarlo ad attività intellettuali, e che per questo venivano guardate con sospetto e diffidenza. Una donna che scrive? Deve esserci sotto qualcosa. Magari un amante, o qualche rotella in meno. Da quando poi la scolarizzazione di massa ha insegnato a tutti quanto meno a tenere in mano la penna, le donne si sono avventate sulla scrittura con voracità, con la fame secolare di chi trova finalmente uno spazio cui attingere, e a cui dare, in piena autonomia. È ben vero che, a parte poche fortunate, la scrittura resta pur sempre una passione che le donne coltivano in secondo, terzo o quarto tempo. Quando, messi a letto i bambini, organizzata la giornata di domani, preparato pranzi e cene eccetera, riescono a ritagliarsi un momento per sé – momento non disgiunto da sensi di colpa per il rinvio di qualche cosa di domestico o comunque più utile che senz’altro si poteva fare. Dove sarebbero adesso Manzoni, o Dante, se non avessere avuto fedeli e pazienti compagne disposte a sacrificare il loro tempo e la loro forza perché i maestri potessero dedicarsi ai capolavori? Forse si sarebbero anche loro sfiniti dietro case e figli, rimandando a domani o forse a mai il lavoro letterario.
Bene. Questo resta comunque un sentiero minato, che in verità esula dai modesti limiti di una prefazione. D’altro canto vediamo già schiere di addetti ai lavori (maschi) che alzando gli occhi al cielo sospirano: ma benedette donne, se avete qualcosa da dire ditelo senza tante storie.
Ecco qua, allora. Lo diciamo. O meglio, questa volta lo dice Virginia Rizzo, giovane scrittrice meridionale trapiantata al Nord che nella vita fa l’insegnante.
Lo dice sotto il segno della differenza. Cioè: io leggo e interpreto il mondo a partire da me stessa, che sono donna, ossia diversa dall’uomo. Inutile negare questa elementare verità: uomini e donne sono diversi, per cultura e per natura. Non è una pagella, è una constatazione. Che quindi nella scrittura le donne, e la Rizzo non fa eccezione, mettano la loro saggezza, la loro esperienza (fatta anche di quotidiane fatiche, altrimenti come andrebbe avanti il mondo?), il loro peculiare punto di vista, non deve stupire. E che tutto ciò si traduca in invenzioni letterarie poco inclini al descrittivismo e massimamente votate all’introspezione, alla cura del particolare, alla ricerca di empatia col resto del mondo, neanche questo può stupire.
Ritroviamo questi elementi nei “Racconti del cuore”: quindici storie brevi – ma sarebbe meglio dire momenti – nelle quali la paziente penna dell’autrice scava con delicatezza, ma senza pietà, negli istanti cruciali della vita; arabescando un’espressione, lentamente avvolgendo un pensiero, dipanando piano un gesto. Sicché tutto: espressioni, gesti e pensieri, risulta come amplificato, coagulando in sé il senso di una vita intera. Accanto alle donne di Virginia Rizzo, poi, ci sono immancabili gli uomini: talvolta compagni, più spesso antagonisti. Portatori di codici e valori diversi, e perciò spesso generatori di sofferenza. Ma non per colpa loro. Non c‘è qui nessuna presa di posizione di principio a favore delle donne, nessuna crociata sotto la bandiera ambigua della sorellanza. L’essere donna si traduce, nelle figure femminili di questi racconti, in un costante investire su se stesse al fine di poter dare agli altri la parte più ricca e armoniosa di sé. Perché questo è quello che le donne di Virginia Rizzo sanno fare, vogliono fare: amare. Sé e gli altri. Un amore che può passare sotto il segno dell’esclusione, come nel caso di Francesca, rinchiusa in manicomio per la sua denuncia di un legame ipocritamente borghese; sotto il segno della rinuncia “(Bagliori di vita, L’ultima goccia)”, del rifiuto “(Abisso d’amore)” della perdita “(Oltre il silenzio)”, ma anche dell’attesa “(Dubbi e certezze)”, del perdono “(Respiro di terra)”, della riconciliazione “(Pioggia di passato)”. Un amore evocato in tutte le sue complesse sfaccettature privilegiando al posto dei fatti, come si diceva, l’introspezione. Col risultato che la raccolta, nel suo complesso, si offre al lettore con diverse e possibili chiavi di lettura; una delle quali suggerita, ma non imposta, dalla precisa collocazione del primo e ultimo racconto, idealmente collegati tra loro. Come se la diciassettenne piena di speranze de “Il richiamo dell’arte” e la donna matura e delusa di “Abisso d’amore” fossero i due capi di un filo che, richiudendosi su se stesso, contiene i vari e possibili sentieri, più o meno accidentati, che una donna può percorrere seguendo la sua naturale inclinazione ad amare. Spesso orgogliosamente solitarie, le protagoniste di queste storie non parlano molto; la definizione della loro personalità è affidata al dipanarsi dei loro pensieri, che in quanto tali non possono essere pienamente conosciuti. E pertanto la Rizzo li disvela con delicatezza, uno a uno, senza intervenire con giudizi e conclusioni, seminando piuttosto qua e là qualche indicazione affidata alla perizia, alla sensibilità e al gusto del lettore. Ne risulta una scrittura di una sua speciale fluidità, aperta e plasmabile da chi legge. Il quale in tal modo viene chiamato, a sua insaputa, a un ruolo di attore e non solo di spettatore: un ruolo di costruttore di epiloghi e personaggi in un dialogo col testo che si mantiene aperto e costante.
La letteratura fatta dalle donne, con le sue peculiari caratteristiche, non è o non dovrebbe essere un ghetto – o un gineceo: testi come questo mostrano infatti una compiutezza stilistica e un’ampiezza di vedute a cui tutti potrebbero attingere. Per comprendere meglio se stessi, o anche solo per passare una serata in compagnia di un buon libro. La quale ultima cosa, in fondo, ci pare già molto.

Olivia Trioschi


Racconti del cuore (Racconti)

Vorrei del tempo anche per me:
uno spazio per vivere e sognare
senza l’angoscia di ritrovarmi esclusa
da quella parte di immenso
che tanto amo e continuamente cerco.


Il richiamo dell’arte…

Nutrivo da tempo il vivo desiderio di scrivere.
L’idea mi entusiasmava: fermare qualche soffio di vita su anonimi fogli di carta era una sensazione grande alla quale sentivo di non dover rinunciare.
Avrei finalmente creato qualcosa!
Creare: scrivendo.
Sarebbe stato un po’ come evadere, raggiungere un’altra dimensione e non per schivare la realtà, bensì per prenderne coscienza, conquistarla e in silenzio gustarne ogni briciola.
La parola più banale e il più fugace degli attimi sarebbero passati attraverso la magica metamorfosi della fantasia: intima occasione per tuffarmi completamente nel gioco della vita!
Sì, il bisogno sentivo: di scrivere, di comunicare e… finalmente poter liberare ogni mio pensiero.
Era forse una sfida al tempo, lento roditore che senza pietà ingoia porzioni di vita che non gli spettano?
No, non era solo questo: qualcosa d’altro accendeva il mio slancio.
Da sempre avevo cullato una sommessa aspirazione che in varie circostanze mi aveva spinta a misurarmi con la mediocrità a me vicina.
Mi aveva spinta a convincermi di non appartenere a quella sfera di cui, nel parere di tanti, sarebbe stato un bene accontentarmi.
No, non potevo riscoprirmi in tale condizione di precarietà umana ed esistenziale.
Il solo pensiero mi spaventava: minacciava il mio attaccamento alla vita.
Un’esistenza all’ombra dello stesso vivere si sarebbe mutata in un misero vivere a metà.
Per chi scrivere e perché?
Forse per inventare all’infinito la mia stessa vita, tentando di varcare anche la soglia di quelle porte che altrimenti sarebbero rimaste per sempre chiuse in fondo al cuore.
Ciò che più mi affascinava del mondo poetico era la possibilità di mescolare luci ed ombre, chiarezza e mistero.
Realtà e fantasia si sarebbero rincorse sul foglio come onde nell’immensità di un oceano.
…e come, fissando quell’infinità, non si riesce a capire dove un’onda cominci e l’altra finisca, così nell’azzurro dell’inchiostro sarebbe stato difficile intuire il confine tra verità e menzogna.
Compivo diciassette anni il giorno in cui nel mio diario scrissi:

Volerò tra le nubi
da stille sempre
di luce dorate
per sentire sulla pelle
– di sole inebriata! –
del cielo
i suoi colori pastello.

... e nell’abbraccio
della brezza marina
sull’azzurro dell’acqua,
in dolcezza dall’onda baciata,
in coro i gabbiani
– le stelle aspettando! –
al mio anonimo canto
una voce uniranno.

Chi mai si sarebbe interessato alle mie fantasie?
Quei fogli avrebbero umilmente riempito un altro cassetto della mia scrivania.
Eppure non mi arresi dinanzi alla possibilità di intraprendere il mio viaggio: quel viaggio del cuore nell’incanto del sogno, ignorando che, a distanza di anni, sarebbe stata proprio quella passione, segreta e quasi inconscia, a permettermi di ritrovare il contatto con la mia stessa esistenza.


Segreti

Era molto amareggiata: aveva scoperto quanto fosse difficile vivere tra le indiscrezioni della gente, prigioniera dei giudizi altrui.

La forza delle parole
può liberare un cuore
o renderlo schiavo.

Tale pensiero compariva spesso tra i suoi appunti, un po’ anche per rammentare a se stessa che l’arma più efficace da usare contro le devastanti e restrittive barriere imposte dall’esterno era la poesia.
Grazie alle illimitate possibilità che l’inchiostro della fantasia poetica le offriva, lei riusciva ad interpretare il mondo circostante e a difendersene.
La poesia rappresentava per lei uno spazio privato che nessuno poteva violare.
Lì, proprio come un bimbo ancora in grembo, si sentiva al sicuro, forte, protetta.
Lì, dimenticava di essere considerata pazza, emarginata da quella realtà che pure le apparteneva e, al riparo dalle ondate di incomprensione, nel silenzio del cuore tornava ad essere Francesca.
Le avversità riuscivano ad intaccare il suo corpo, ma non lo spirito.
Il suo pensiero volava troppo in alto per essere percosso dalla mano dell’ignoranza e della vile menzogna.
Un anno prima un gruppo di uomini si era appellato all’autorità del podestà per chiedere che “quella donna”, Francesca, venisse allontanata perché di intralcio all’ordine di vita secolare che il tempo stesso aveva suggellato.
«È matta e pericolosa», si sentiva sussurrare alle spalle, perché solo una dissennata avrebbe potuto ribellarsi e respingere quel marito nobile e stimato che lei accusava di turpe adulterio.
…e lui, ignorando i suoi sentimenti, per salvare l’onore, aveva sepolto l’imbarazzante verità dietro le squallide e vuote parole di un certificato che attestava la demenza di Francesca.
Non vi era posto per lei: per una donna che pretendeva di vivere oltre che di esistere, una donna che osava protestare, denunciare e sognare.
La radio aveva intanto annunciato l’entrata in guerra dell’Italia: ancora morte, ancora sangue, ancora dolore!
Se il destino del mondo fosse stato affidato anche all’ingegno e alla creatività delle donne, sui sentieri della storia vi sarebbero state meno tombe e crisantemi e molte più rose profumate e bianche margherite.
Quante volte lo aveva pensato e quante volte, vedendo il sole sparire dietro le colline, Francesca si era detta: “Quel sole domani sorgerà anche per me”.
…e il giorno seguente si era svegliata come sempre nel buio, inciampando e annaspando nel crepitio polveroso di una struggente realtà.
«Ma perché non torni da tuo marito?» chiese all’improvviso Marianna, sciogliendo quel funereo silenzio, «non hai sentito? Siamo in guerra e conviene ricorrere ai ripari finché si ha tempo. Accanto a lui non avrai alcun problema e tu lo sai bene. Chiedigli scusa e torna in quella casa».
Marianna, cresciuta tra le mura del silenzio, aveva una visione molto limitata di sé e della realtà.
Questo dispiaceva a Francesca, perché era convinta che quella donna, come tante altre, avesse invece delle qualità squisite: aveva solo bisogno di scoprirle, uscendo dal guscio in cui era stata relegata.
«E poi cerca di essere concreta» aggiunse ancora Marianna «a cosa serve ciò che scrivi? Se solo tua madre potesse leggere questi tuoi versi…».
«Ne sarebbe orgogliosa» proruppe Francesca «quando mi incitava a leggere, a studiare e ad ascoltare le mille voci del mondo, mi stava insegnando ad essere diversa dalle donne della sua generazione ed è questo il dono più grande che io abbia ricevuto da lei. Ed ogni giorno la sua energia torna a risplendere come gemma tra gli anfratti del mio stanco cuore. Non sono sempre gli uomini, ma le donne rassegnate e fragili come te ad aiutare la perpetuazione di un sistema che recide ogni aspirazione femminile, riducendo all’ubbidienza, alla sottomissione e poi alla guerra».
«Cosa c’entra con tutto ciò la guerra» esclamò Marianna «e poi, cosa dovrei fare? Sovvertire forse le regole di buon costume con il rischio di apparire una donna poco seria o…».
«Una matta» avrebbe voluto aggiungere, ma le sembrò crudele farlo.
«Dovresti solo fermarti ogni tanto ad ascoltarti, imparando a gustare senza paura le sensazioni che nella vita il tuo cuore ti porge. Perché continui a schivarle invece di rincorrerle? Esci da quella gabbia e inébriati di tutto ciò che all’esterno puoi trovare. Impara ad amare un po’ di più te stessa e ad apprezzare le tue potenzialità. Se vuoi anche tu una società libera, inizia a costruire la tua libertà!».
Marianna tacque, mentre dalla strada giungeva, intanto, un canto di bambini che continuavano il loro girotondo, ignari del buio che presto li avrebbe soffocati.
Non era la prima volta che Marianna ascoltava simili discorsi e, doveva ammetterlo, quelle parole la scuotevano.
Anche lei era stanca di subire, di tacere e poi dimenticare.
Francesca poteva aver ragione e forse anche lei valeva molto più di quanto gli altri le lasciassero immaginare.
Doveva solo crederci, crederci con tutta se stessa. Il segreto per vivere e per far sentire anche la propria voce era racchiuso in quella piccola e semplice verità…

Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine