Opere di

Virginia Rizzo

Con questo racconto ha vinto il sesto premio all’edizione 2007 del Premio Il Club dei Poeti


«Al quinto piano fra terra e cielo»

Accostando la tenda, in quella mattina illuminata dal sole, vide la Madonnina del Santuario stagliarsi regalmente sul cielo della sua città.
I mercanti erano già pronti con le loro bancarelle. Il brusio, giù in strada, creava un coro festoso che la raggiungeva sino al quinto piano.
Come ogni sabato mattina, era stata svegliata dal trambusto del mercato che ora – doveva ammetterlo! – non la disturbava più.
In passato aveva provato a odiare il risveglio del sabato, soprattutto in estate quando, con le finestre aperte, le voci giungevano troppo chiare sino a lei.
Ora le sembravano quasi una ninnananna. Quel brulicare di vita risuonava piacevole come delicato battito di pioggia sui vetri.
Lasciando scivolare tra le dita quel drappo ancora odoroso di fresco, avvertì nelle cellule una strana sensazione: il suo spirito era leggero come farfalla, ma gli arti si trascinavano con la pesantezza di una stanca tartaruga sotto un voluminoso carapace. Cominciavano a tradirla anche le ginocchia, le sentiva cedere ad ogni passo.
Si spostò verso l’altra finestra e, sul cornicione del terrazzo di fronte, vide un gatto intento a guardare nel vuoto, come per seguire i movimenti confusi di quelle pennellate di gente che si stendevano lungo la strada. Ricordò quando anche lei, con fierezza, scrutava la sua vita dall’alto e si divertiva a scegliere le pedine da muovere.
Aveva sempre adorato la vista che dalla finestra del suo attico si apriva allo sguardo.
Da un angolo della casa – il suo preferito – riusciva a vedere anche i monti, perdendosi nell’emozione che quello scorcio di paradiso le procurava.
Poteva controllare la natura e misurare il tempo, osservando – da pittore impressionista – i colori delle stagioni nelle diverse ore del giorno. Come pixel sullo schermo di un computer, la mutevole quantità di gocce di luce fissava il paesaggio, rendendolo più o meno nitido e sempre unico.
Raggiunse lentamente il letto. Quel male la stava divorando. Tutti, intorno a lei, affettavano disinvoltura, ma lei sapeva esattamente verso quale abisso si stesse dirigendo. Le volevano bene, per questo li lasciava recitare ed erano commoventi nella capacità che mostravano di camuffare la paura.
Desideravano saperla serena e lei concedeva loro di vivere in quella puerile illusione.
Aveva sempre detestato le bugie, ma &endash; non poteva negarlo! – adesso tornavano comode, aiutavano a convivere con gli ormai inevitabili momenti di insostenibile angoscia.
Certo, mai si sarebbe aspettata di lasciarsi inghiottire in quel modo. Ogni tanto la rabbia affiorava, le toglieva il respiro sino a spingerla al pensiero di dare un taglio, mettere a tacere il telefono e restare da sola, sola come sempre aveva scelto di essere nella vita.
Ma… avrebbero tutti frainteso: non si trovavano come lei a un passo dall’ultimo tramonto.
Seduta sul letto, aprì a fatica il cassetto più basso del comodino, senza sapere esattamente cosa cercare.
Desiderava rovistare tra i ricordi per avere la certezza di esserne ancora padrona.
Restavano ormai solo briciole, ma lei voleva sentirle una per una sotto i polpastrelli delle dita.
Le capitò tra le mani un Rosario. Da quanto tempo era lì in attesa di qualcuno che lo cercasse?
Lo strinse nel pugno, ricordando le parole che spesso si era ripetuta. Non le sembrava giusto volgere gli occhi al cielo adesso. Non sarebbe stato onesto da parte sua, perché per anni non si era mai interessata a Dio. Cosa avrebbe pensato di lei, vedendola implorare il Suo aiuto da disperata? Ci teneva a dimostrargli almeno un po’ di umile dignità, non voleva approfittare della Sua benevolenza. Chissà quanta altra gente più meritevole aveva da aiutare!
Ma non era forse la sua sofferenza già silenziosa preghiera?
E la sua immensa voglia di vivere non era un quotidiano grazie per tutto ciò che sino a quel momento aveva avuto?
Quel dolore, vissuto con serena tristezza, non aveva sapore di dono?
Riaprì la mano e per qualche istante rimase a guardare quella Croce.
Provò un pizzico di invidia per chi, senza porsi domande, riusciva a non dubitare della Sua misericordia.
Nel cassetto scorse una foto. Era lei su una moto, al mare. I capelli dorati, scompigliati dal vento, erano fili di luce sul suo viso abbronzato. Sorrideva, maliziosamente compiaciuta dello sguardo ammirato di chi era dietro l’obiettivo. Bel ragazzo. Ricordava i suoi occhi, il suo profumo, il sapore di sale sulla pelle, le labbra calde sulle sue.
Una storia intensa eppure finita.
Anche il suo tempo volgeva alla fine, era ormai partito il cronometro che cadenzava ogni suo respiro, ogni battito, movimento, pensiero. Non era più lei la regista. Lei era solo un burattino pensante dietro un sipario che stava per chiudersi. E quando anche l’ultima luce si sarebbe spenta, impaziente avrebbe atteso che qualcuno la aiutasse a capire. Perché? Continuava a chiedersi guardando la Madonnina del Santuario.
Nel giro di poche ore la gente che riempiva le strade della zona sarebbe stata risucchiata da altre incombenze. I rivenditori, delusi o soddisfatti, avrebbero smontato i loro baldacchini e lei, dall’alto, sarebbe rimasta ad ascoltare come l’ordine lentamente si ricomponesse.
La solita signora del “last minute” si sarebbe aperta un varco in quel subbuglio per scegliere al volo, tra quanto rimasto sul banco del fruttivendolo, qualcosa da acquistare. Si sarebbe poi allontanata con passo concitato per raggiungere, chissà, forse i figli, forse un compagno.
«Fermati», avrebbe avuto voglia di gridarle, «apri il sacchetto, osserva quei frutti; quando arrivi a casa siediti e guarda negli occhi i tuoi figli».
Per lei, lassù al quinto piano, non c’era più bisogno di correre, almeno non in quel senso.
E poi con quella corazza addosso non ne sarebbe stata più capace.
Vide la sua vita come un treno senza ritorno. Tutte le volte che era rimasto fermo sui binari, l’attesa l’aveva infastidita.
Quando aveva ripreso a muoversi, lei aveva sognato di arrivare ovunque.
Ora che quel treno correva all’impazzata, poteva solo pensare alla pesante valigia, traboccante di “non detto” e di “non fatto”, rimasta su una delle panchine, giù in stazione.
Per un attimo si immaginò in strada tra la confusione, sentì nelle narici il profumo di fiori che si mescolava all’aroma di torrone. Lei preferiva quello bianco.
Da qualche parte aveva letto che quel mercato sarebbe stato trasferito. Quell’angolo di città avrebbe perso vivacità nei suoni e nei colori. Le strade sarebbero diventate mute, i sabati silenziosi.
Anche quelle scene sarebbero sparite dietro un sipario.
Il Rosario le era rimasto tra le mani.
Erano ancora belle quelle mani. Andò a cercare la sua penna e il vecchio quaderno – forse un po’ annoiato! – in cui da sempre raccoglieva i suoi pensieri.
La Madonnina era lì e spiccava ancora più raggiante.
Intanto quel Rosario… sì, perché no… poteva anche tenerlo in tasca.

Virginia Rizzo


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