La luna nel pozzo

di

Vanni Negro


Vanni Negro - La luna nel pozzo
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14X20,5 - pp. 116 - Euro 12,50
ISBN 978-88-6037-8484

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Prefazione

“La luna nel pozzo” di Vanni Negro è un’antologia comprendente poesie che, nel corso del tempo, sono state avvertite come “occasioni” montaliane, per recuperare i frammenti della memoria, i ricordi e le suggestioni, e poi, fare in modo che vengano passati al vaglio di una indagine conoscitiva, ben più profonda e più completa grazie alle numerose esperienze vissute.
La poesia di Vanni Negro spazia da atmosfere intime ad emozioni che nascono da uno sguardo attento al mondo circostante, passando attraverso le immagini di luoghi conosciuti e le raffigurazioni di personaggi e vicende che hanno contrassegnato il personale cammino.
Vanni Negro, non a caso, parla di un “dialogo con se stesso” e sottolinea con decisione che si può vedere questa silloge come un “diario in versi” dove si possono ritrovare i sogni della gioventù, gli stati d’animo e le visioni che hanno contraddistinto determinati periodi della sua vita, l’universo emozionale che si è alimentato nel tempo.
Pur sapendo bene che i suoi son “versi da decifrare… ambigui/allusivi/tormentati/ermetici”, offerti con passione sincera al “respiro del vento”; versi che richiamano al senso dell’attesa, agli enigmi che tendono agguati, ai passi incerti sul sentiero quando lo sguardo si perde lontano.
Il tempo “scandito” nella vita che fluisce, in quel “vivere pienamente” a cui fa riferimento, cercando sempre di far percepire che le sue “parole vere” tendono ad avvicinarsi al “mistero” racchiuso nelle cose, a fare i conti con il sentimento di “cose perdute”, a scandagliare “le incrinature dell’essere” fino a giungere alla constatazione che v’è sempre “ambiguità in ogni divenire.
Nella vita si deve bere il calice amaro “celato nella dolcezza”: niente possediamo, anche l’amore è un dono, una offerta e, quindi, implica “non aspettarsi nulla in cambio”, ma occorre guardarsi dentro, muoversi tra solitudine e amore, far dissolvere la paura e la nostalgia, constatare il disinganno e superare la delusione.
Il tempo travolge ogni cosa, sgretola le presunte certezze dell’Uomo, corrose da “fantasmi di ricordi/dalle chimere del futuro”: il poeta non ha certezze ma visioni e sogni, e scrive “la relatività del tempo/è il più assoluto dei valori” quasi a “numerare ogni giorno/come una vita a sé stante”.
Il corpo è l’involucro dell’anima, l’uomo segue il ritmo del cuore che pulsa, porta con sé il fardello della coscienza: nella sua limitante finitudine è fragile, può cadere nel baratro della solitudine, può essere soffocato dall’angoscia, dalla voragine immane.
Ecco allora che la poesia deve suscitare l’anima, deve liberare ciò che è “racchiuso nella mente/entro grate infinite di parole”. Le parole diventano simboli che emergono dal tempo, come un tesoro che ritorna alla luce nella dimensione spirituale dove non può essere scalfito, dove il poeta confessa che si può “vivere in silenzio con se stessi/e un ricordo nel cuore…”.

Massimo Barile


L’accento delle parole

Scrivere poesie è per me dialogare con me stesso in una particolare silloge di sensazioni e di pensieri. Pressappoco come scrivere un diario in versi.
Mi sono chiesto spesso che cosa è “poesia”. L’interrogativo non può avere una risposta esauriente. Specialmente nell’epoca moderna in cui esiste accanto ad un’arte poetica tradizionale basata sugli accenti delle parole anche la possibilità di una versificazione “atonale” che ottempera solo a criteri semantici e strutturali. Su per giù la differenza che intercorre tra la “Primavera” del Botticelli ed un ritratto pittorico di Picasso.
Usualmente la poesia si distingue dalla prosa perché è percorsa da un ritmo relativo agli accenti tonici delle parole. La poesia si compone di versi. “Verso” è ciascun rigo della composizione riferito a vari parametri quali l’accentazione (versi piani, tronchi, sdruccioli, ecc.), la presenza o assenza di rime (versi rimati o sciolti), il numero delle sillabe (da due a undici o più). Per quanto concerne l’accentazione ci si riferisce all’armonica disposizione ritmica degli accenti tonici, su cui poggia il criterio della metrica.
È risaputo che la poesia classica latina e greca era di tipo quantitativo (sillabe brevi e lunghe, arsi, cesure). La poesia moderna da essa derivata (lingue neolatine) si è a poco a poco trasformata in poesia di tipo accentuativo. In particolare il ritmo che caratterizza l’armonia del verso italiano è dato dal cadere dell’accento tonico in sedi stabilite di un determinato gruppo numerico di sillabe.
L’analisi delle caratteristiche formali del verso non esaurisce certo la definizione di “poesia”. Al di là del piano puramente metrico, colui che scrive versi deve anche reperire nel lessico della sua lingua “parole” adeguate alle immagini, pensieri ed emozioni che intende suscitare e trasmettere. Tale è di fatto l’intendimento del poetare.
Io non sono di certo un “atonale”. Sono innamorato dell’endecasillabo. A mio parere è il più duttile dei versi. Il lettore si accorgerà di quanto l’apprezzi. Spesso anche in righi spezzati si cela l’armonia del suo ritmo.
Le composizioni che ho qui raccolto sono nate per lo più da occasioni e commozioni sperimentate; altre – specie le ultime di questa raccolta – sono ironici divertimenti ideati per gioco.
Ho scritto e tradotto nel corso della mia vita moltissime poesie. Mi è sempre parso di secondaria importanza che esse fossero o non pubblicate. Le poesie edite diventano oggetti, ma restano stilisticamente quello che sono. Solo poche si mandano a memoria. Anche se a qualcuno potrebbero talora interessare.
Accogliendo la benevola sollecitazione di alcuni amici ho qui raccolto una manciata di versi che a loro dedico nella speranza che trovino il tempo e la pazienza di leggere.

Vanni Negro


La luna nel pozzo

I

Prefazione

Precari come campi di papaveri
appena mossi dalla brezza furono
i miei vent’anni rosseggianti e accesi
di grandi sogni, di macerie e sangue.
Era l’antica favola del tempo
che mi arrovella anche ora a tessere
tele di ragno intorno alla memoria.
Fra chimere e ricordi vaneggiare
pareva infinito gioco anche quando
tra le dita appassiva, esausto e vuoto,
ingerminato fiore. E se qui ed ora
i giorni riconsidero e spero,
rivestendo di versi antichi sogni
il perduto passato ed il futuro
ignoto appassionati riardono.


Chiamavi tempo
il vuoto spazio tra le sfere
che l’orologio scandisce.
Oggi sai che la vita fluisce
ed effimera avvampa
soltanto nell’ora quieta
ove il presente è eterno.


Non voglio sparire nel mare
come bambola di sale
e liquefarmi nell’azzurro.

Un filo mi avvince alla stella,
tenue filo, onde spero
rifulgere d’infinito.


Balcone marino

Sonnecchia il gatto sotto il salice.
Ti crogioli nel tepore del giorno
sul tuo balcone marino
azzurro di mille vele.

Non afferri quest’ora
mutevole scheggia del tempo.

Ieri e domani
nella bacheca del cuore
sono crisalidi trafitte.
Tu vivi soltanto in quest’ora,
azzurro specchio di solarità.


Canzone di Vezzolano

Venite a vezzolarvi a Vezzolano.
Ci sono ulivi nei boschi
e fiori di malvasia;
ne coglieremo una botte stasera
per farci una sbornia di sogni
dinanzi alla vecchia Abbazia.

Carlo Magno è a cavallo:
il vecchio canonico saggio
avvolge le formaggette
con pagine di storia.

Ci sono vacche pezzate
che non hanno più stalle:
berremo sotto i fanali
il loro latte lunare,
per farci una sbornia di sogni
dinanzi alla vecchia Abbazia.

Ci sono cucùli fra i rami
che ora con rauche grida
proclamano il loro reame
bianco-cenere, senza nido.

E Carlo Magno è a cavallo
nelle pagine della storia
intorno alla formaggette.

Alta è la luna sui boschi.
Venite a vezzolarvi a Vezzolano:
con i fiori di ulivo
e i fiori di malvasia
faremo una sbornia di sogni
dinanzi alla vecchia Abbazia.


Nota
Alcuni versi fanno libero riferimento a due fatti:
1. una tradizione incerta fa risalire la fondazione della Abbazia di Vezzolano per volontà ed onere di Carlo Magno scampato in questi luoghi a qualche imprecisato incidente di caccia o malattia;
2. la notizia riferita in una breve memoria del Vernazza (Biblioteca Reale di Torino, Miscellanea, vol. 19/106) secondo la quale “il prete che era in economo” all’Abbazia nel 1743, richiesto da un funzionario ecclesiastico di produrre le antiche scritture, dichiarò testualmente “che ve ne era una guardaroba piena o, come si espresse detto prete, delle lenzuolate di carta pecora, ma che essendo esse scritte in un carattere che non si intendeva e come le bolle che vengono da Roma, egli parte ne diede a donne per avvolgere attorno alle rocche a filare, parte se ne servì a fare turaccioli a bottiglie, parte per avvolgere robiole”. Delle pergamene esistenti non se ne salvò che una del XIII secolo!


Parole

Ho detto parole mute.
Ho detto parole parlate.
La conchiglia del silenzio
nel grembo taciturno
nutre parole parlanti
parole vere, come perle.


Supplica con risposta

Torino, addì 26 gennaio 1707

La povera Maria,
moglie del fu Pietro Micca
di Sagliano Andorno
rappresenta a
Vostra Altezza Reale
che

pendente l’assedio
della presente città,
avendo i nemici francesi
già guadagnato la porta di una mina
con gran disavvantaggio
della cittadella,
il suddetto Pietro Micca
ritrovandosi al servizio di
Vostra Altezza Reale
nella compagnia dei Minadori
fu comandato di portarsi a dare
il fuoco a detta mina
ed egli fecela giocare
con la perdita dell’inimico
e della persona stessa
di detto Pietro Micca,

onde

non avendo di che
potersi sostenere,
attesa la morte
del suddetto marito,
a piedi di
Vostra Altezza Reale
ricorre acciocché,
umilmente considerando
il povero stato
della vedova esponente,
mandare li venghi
tuttociò che a
Vostra Altezza Reale
parerà,
atteso che detto suo marito
lasciato ha
un piccol figlio
di anni due.
Il che spera
dalla clemenza di
Vostra Altezza reale.

Sua Altezza Reale
il Duca Vittorio Amedeo Secondo,
informato della servitù
resa dal marito
della vedova supplicante
manda al Generale del Soldo
di far gioire
alla supplicante vedova suddetta
di due razioni di pane
al giorno
sua vita natural durante.

E Maria vedova supplicante
gioì.

Trasposizione in versi di uno scambio epistolare realmente avvenuto.


I tuoi capelli

a C.

I tuoi capelli
sono l’anima.
Non basta tagliarsi i capelli.
Non basta nemmeno tagliarsi l’anima
e chiuderla nella stanza.

L’amore è un dono
che dai,
non è dono che ricevi.
Devi dare, dare,
dare ancora.
Non aspettarti nulla
per ricevere tutto.

È quello che tu fai.

Non importa nemmeno
di essere capiti:
quello che conta
è vivere,
sentirsi vivere
accanto a se stessi.


Ispirazione

Versi da decifrare,
versi ambigui,
versi astrusi, allusivi,
tormentati,
forse ermetici
o dubbi,
versi celati
come soliloqui:

perché leggerli agli amici?

Meglio dirli al mattino
in ginocchio
dinanzi al tabernacolo:
ti saranno perdonati.


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