Il bollitore d’oro

di

Vanessa Cimiero


Vanessa Cimiero - Il bollitore d’oro
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 32 - Euro 5,00
ISBN 978-88-6037-7173

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In copertina: fotografia di Vanessa Cimiero


Questa opera è risultata finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2008.


Nell’inverno del 2007 ho trovato il mio bollitore d’oro. Tutti ne possediamo uno senza saperlo.
L’ho trovato nelle mie memorie, in quei frammenti che mi son rimasti dell’infanzia, quell’inesauribile stagione di sensazioni e di immagini che costruiscono la nostra identità di esseri umani. Mi sono accorta di possedere questa identità solo dopo aver attraversato le mie colonne d’Ercole, rischiando di perdere tutto ciò che di “oro” c’era in me. Ho forzato i confini. Ho abbandonato i territori noti per cercare i confini dell’ignoto e ho trovato l’amara consapevolezza dei limiti umani. Da allora tengo sempre questo invisibile “bollitore” acceso nel ricordo di una spedizione verso l’impossibile Età dell’Oro.

Vanessa Cimiero
Genova, 6 Novembre 2008


Il bollitore d’oro


A Rita, alla mamma, a Daniele.


Alassio

Il ghigno dei pini ondeggia nell’aria
una sacrestia occhieggia sul promontorio scosceso.
Si adagia con grazia il vuoto del mare
dentro le case d’inverno come chele appassite d’abisso.

le luci son specchi in cui m’accorgo dell’esistenza

[dei sogni.

Il mare rotola nel borgo bussando lievemente,
col suo vuoto silenzioso, si consuma alle porte.
Un cantar di ghirlande e un fischio di ricci attaccati allo

[stipite

le vite socchiuse, dentro il mare si specchiano,
e nelle finestre bianche rochi scivolano i sogni prima

[dell’alba.


Divorzio d’inverno

Di notte sommersa negli angiporti
dentro precari letti tra mari e dragoni imperiali
si rabbuia la sera
in mezzo a foreste di minareti
ammutoliti dall’odio dei mari in tempesta
frenati dall’odore rancido delle petroliere,
giunte a dolci promontori
profumati di vergine resina.
Sogno l’amore importuno
che mi battezzi nell’acqua limpida
scaldata dal sole di mezzanotte
e il dolore appassito
tra i legni di barche
in cui riposano soffrendo
le grida continue dell’abisso
lontano egoista.


I roseti del Teatro Donizetti

Fuori dal teatro color porfido
guardi davanti a te,
non t’accorgi che t’osservo,
attore in un sogno di sconosciuta.

Il cigno furioso e la musa di marmo bisbigliano nella notte
La pioggia accomuna le orme sull’asfalto
e il cielo digrigna i denti ai sogni.


Il Sogno

La violenza della pioggia di Gennaio
ci costrinse al buio scintillante dei salotti
tra damaschi, samovar, libri di botanica e anatomia
il profumo del tuo talco impregnava
l’aria satura di sudore nel salone ove ricevevi
attorno a tavoli d’ambra.
Ridevi serena senza quel trillìo nervoso nella voce,
le mani lente che si levano lievi,
sfoggiavi quella sera un’acconciatura ondulata
intrecciata in filamenti perlacei,
corniole e piume leggere come il tuo sguardo antico.
Nell’ombra pesante della lunga stagione di clausura e

[pioggia

appoggiavi la fronte contro il flaconcino di vetro marrone,

[bellezza dolente

muta e oscura
nella mia mano lasciavi cadere
un soffice dono
mio codice d’uomo.


L’amore di Gennaio

Passa spedita la voce del sol levante
attorno al mio sentire divenuto sì sottile
simile ad un fiore di macramè
che nel tempo non appassisce la sua purezza artificiale
appoggiato al comò biedermeier

Da quel lontano giorno di giovinezza sprecata
queruli ridevano i corvi sulle altane
e il mare si sollevava davanti ai silenziosi balconi.


I narcisi di Maria Rita

Donne giacciono tra prati di narcisi
dormono immerse in un soave profumo d’irrealtà
che la notte nasconde dietro sipari azzurri
crani e gioielli brillano con limpida pace
come narcisi che si piegano alle pallide mattine

[d’ingenua bellezza.

Col sonno ancora nel cuore
percorrono le tremula linea di luce attorno al mare.
Vanno via con i narcisi tra i capelli
cantando e lanciando le braccia alla mordida sera.

Nell’aria diffusa di lillà rosa
echeggia salmodiando il cuculo,
si abbraccia il bimbo l’ava che riposa
il suo occhio denso di cataratta non ode
la sua carezza profumata di biscotto
che riversa sulla docile madre un’ombra di amarezza,
sono le parole eterne della valle
ripartizioni della mensa divina
che si aprono dentro il riserbo di ossute calle

I sentieri battuti dalle raggere dei soffioni
e dalle tumescenze degli iris
son piagati dal dilagare delle stagioni

Dentro stagni imbevuti di giochi
seduto su un tavolo il bimbo sogna
piangendo i dolori dei piccoli fuochi.
Rosee escrescenze morbide
impauriscono la gioia negli occhi
dell’innocenza che cresce dentro gabbie sordide.
Si modula persuaso lo scuro lamento della sera
nel silente letto dove la piccola madre
si addormenta nella solitudine vera.


Seta Bianca

Le tue gote di seta bianca,
plissettata sotto le mie mani lontane
mi rivestivano di velluti color vinaccia
e delle sacre scritture della tua vita,
ogni giorno accetto che tu cambi
perché ti seguirò giocando
coi tuoi lunghi capelli
finissima seta che mi porta in cielo.

La sera riposa sulla mia tavola,
volti tempestati di frivoli racconti
si raccolgono attorno alla notte gravida d’indolenti veglie.

Quando il sole nutre le violacciocche di luce
i mandorli si addormentano nel tepore del crepuscolo
attorno ad un vecchio tavolo ancora sincero di farina
indugiamo nell’amore recitando preghiere di fiori
e la speranza sconosciuta alla morte.


Epilogo. Mare.

Il mare che canto è una memoria d’abisso
un barbaglio di sole che si allontana
nel suono del gabbiano affamato

Il mare che canto non ha correnti,
è silenzio del sorriso notturno che logora il mattino
è la bocca infernale della libertà,
l’ombra che si oppone alla parola
e sfida le soglie del caduco
Mare inusitato, tomba di confini,
mute nostalgiche colonne d’Ercole
immemori e note.

Il mare che canto è l’incavo della mano
dentro la sabbia tiepida del tramonto;
lo scheletro calcareo dell’alfabeto umano.

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