Se Chanto!

di

Umberto Peirone


Umberto Peirone - Se Chanto!
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 200 - Euro 13,00
ISBN 978-88-6587-3328

Libro esaurito

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In copertina: «Monviso con lupo» fotomontaggio di Armando Gedda


In giro c‘è un assassino che adesca le sue vittime su internet, per ucciderle, dopo l’atto sessuale. Una vedova nera al maschile.
Le forze dell’ordine e la Procura di Torino brancolano nel buio, decidono così di rivolgersi a Guillaume Chapel.
Questi, è un ex criminologo della Polizia di Stato, che vive isolato fra le montagne in cui s’è ritirato per sfuggire alle circostanze sfortunate che la vita gli ha riservato, in compagnia di Alberta, una femmina di lupo sfortunata tanto quanto lui, che, suo malgrado viene coinvolto nelle indagini.
La storia si svolge tra il basso Piemonte e la Liguria, territorio nel quale Guillaume si muove a suo agio, alla ricerca del pericoloso assassino, coadiuvato da Cecilia Donnarumma, poliziotta integerrima e dotata di fascino e bellezza fuori dal comune.
Il rapporto tra un ruvido montanaro ed una solare poliziotta mediterarnea, sarà condito da diffidenza e pregiudizi ma, una volta superate le loro barriere mentali, diverrà fondamentale per le indagini e le loro vite.
Sullo sfondo, dapprima sfumato e poi sempre più nitido, il mondo degli occitani, con le loro secolari tradizioni, la loro lingua non codificata, tipica di un popolo senza patria e cancellato dalla storia, per il quale “Se Chanto” è più di un inno patriottico, mentre per l’assassino è diventata il motivo per cui uccidere.
Per catturare il colpevole Guillaume dovrà fare i conti con il suo passato, rivedere i fantasmi da cui era fuggito riparandosi tra le sue amate montagne, e sconfiggerli.
Il tutto in un’avvincente corsa contro il tempo, prima che l’assassino colpisca nuovamente.


RINGRAZIAMENTI

Molte sono le persone che mi hanno aiutato nella stesura del libro. Non posso non iniziare i ringraziamenti dall’avvocato Jan Peire dé Bousquìer, senza il quale il libro non avrebbe mai avuto luce, così come l’associazione Espaci Occitan, nella persona della dottoressa Rosella Pellerino.
Molti altri mi hanno dato un mano: il mio amico Angelo, il Capitano, che mi ha dato preziose informazioni su come le forze dell’ordine ed i Procuratori conducono un’indagine.
Armando Gedda, per le splendide foto ed il fotomontaggio di copertina.
Poi ci sono Rox, Angela, Sergio, Franco, Marina, Paola, Francesca, Antonella, la mia libraia di fiducia Anna e mio cognato Roberto. Tutti loro mi hanno aiutato od ispirato.
Infine voglio ringraziare Paola ed Alessandro: senza di voi, io non sarei nulla.


Se Chanto!


CAPITOLO I

Laura Zavatteri ed il suo amante erano chiusi in casa, le tapparelle abbassate per creare un’atmosfera notturna nonostante fosse il primo pomeriggio di una splendida giornata d’inizio giugno, e si stavano baciando appassionatamente, come dei quindicenni, mentre facevano l’amore sul divano della casa appartenente a quest’ultima.
L’uomo era comodamente seduto sul divano, mentre lei, sopra di lui, lo cavalcava a più non posso.
I volgari l’avrebbero chiamata posizione a smorzacandela, ma lui, che si riteneva particolarmente intelligente e raffinato, preferiva chiamarla la posizione dell’Amazzone.
La guardava ansimare di fatica e piacere, mentre pensava a quanto fosse bella… e stupida.
Tutte le donne erano stupide secondo lui, ma questa le batteva tutte quante. Era un’infermiera quarantenne che, dopo essersi concessa negli anni a medici di posizioni sempre più rilevanti, si era innamorata follemente di uno di essi, ed ora stava cercando di dimenticare la storia finita male, innamorandosi di lui.
Non che gli interessasse più di tanto che si fosse innamorata, anzi, la cosa non gli faceva né caldo né freddo.
Era un bell’uomo sui 45 anni e nella sua vita non aveva mai avuto problemi a conquistare una donna, e mai ne avrebbe avuti.
“Ma es mai pousible qu’aquesto badolo sie pa bono a ren encaplinar-se per i ome?” pensò lui nella sua lingua arcaica.
Nel momento in cui Laura giunse all’apice del piacere, si baciarono lungamente, e cambiarono posizione.
Questa volta assunsero quella dell’Antilope. “I villani la chiamerebbero pecorina”, pensò lui.
Ancora una volta si sorprese a guardarla, mentre facevano l’amore. Almeno: lei faceva l’amore, per lui era solo e semplicemente sesso, un puro soddisfare i suoi istinti primordiali.
Era bella, con un viso da ragazzina, lunghi capelli lisci castani, un magnifico fondoschiena, dai glutei sodi come il marmo, un vitino da vespa e le spalle quadrate.
Del resto praticava molto sport e la forma fisica era la sua ossessione; dopo le avventure extraconiugali, ovviamente.
Rispetto ai suoi gusti, Laura aveva seni piccoli, una seconda ad essere generosi, però emanava un fascino animalesco e si muoveva di conseguenza.
A questo pensiero aumentò sensibilmente i movimenti dentro di lei e, quando sentì che Laura stava di nuovo per raggiungere l’orgasmo, fece in modo di godere anche lui.
Sapeva che avere un orgasmo in contemporanea, l’avrebbe fatta impazzire di gioia, facendola sentire più giovane, bella e desiderabile. Ma a lui interessava solamente che impazzisse, che perdesse la ragione.
Ad amplesso finito, restarono per qualche istante in silenzio, quindi Laura appoggiò la testa sul suo petto e disse: «Mio Dio, mi fai veramente impazzire di piacere. Non ho mai conosciuto un uomo come te. E sì che ne ho avuti tanti, ma tu sei decisamente il migliore».
“Te créou bèn!”, pensò di nuovo l’uomo nella sua lingua tuttavia, per ingraziarsela ancora di più, rispose: «Grazie, anche tu sei fantastica».
«Sì, però io non ce la faccio più a vederci così, come due malviventi. Io sono disposta a lasciare mio marito anche oggi se tu me lo chiedi».
«Ne abbiamo già parlato Laura, facciamo le cose con calma. In fondo ci conosciamo solo da pochi mesi».
«Sì ma io sono già stata presa per i fondelli una volta da uno che mi diceva di andarci con calma. Talmente con calma che dopo due anni ho scoperto che oltre a non aver nessuna intenzione di lasciare la moglie, aveva anche un’altra amante, il bastardo».
Aveva voglia di strozzarla anche subito quando faceva così, ed ultimamente succedeva sempre più spesso. Ma non poteva, non ancora. Prima doveva trovare una degna sostituta.
Mentre stava pensando che avrebbe dovuto accelerare la ricerca di una nuova fiamma, le rispose: «Mia dolce Lauretta, la prossima volta che ci incontreremo avrai una bella sorpresa. Devi solo darmi il tempo di preparartela per bene. Dopo, vedrai che le cose saranno sistemate. Per sempre».
Lei non poté far altro che baciarlo con foga, quindi si mise a ridere e saltare in ginocchio sul divano, come una ragazzina dicendogli: «Oh caro, ti amo da morire. Lo so che sono d’innamoramento facile, però credimi, con te è diverso. Tu sei l’uomo della mia vita e se starai con me non ti tradirò mai. Giuro».
«Non fare promesse che non sei sicura di poter mantenere. Magari fra qualche tempo ne incontrerai un altro meglio di me e mi lascerai o mi tratterai come stai facendo con tuo marito», disse l’uomo con falsa modestia.
«Non provare a farmi la morale sai? Come se tu non fossi sposato».
«Oui, vai ben. Adesso devo andare. Mi faccio sentire io via mail o con un sms. Sai, sto iniziando ad amarti anch’io», disse mentendo spudoratamente. Quindi la baciò, si rivestì ed uscì dalla sua casa.

Il killer adesso era seduto alla sua scrivania, fisso davanti al suo portatile. Stava navigando in rete alla ricerca della sua prossima preda.
La caccia! Dio come amava la caccia! Questa era la parte della sua vita che gli piaceva di più.
Trovare una donna, doveva essere rigorosamente sposata e con figli, iniziare a fare la sua conoscenza on line, corteggiarla a distanza fino al momento dell’incontro, del corteggiamento vero e proprio, i pranzi, le cene, i regali e poi, finalmente, il sesso.
Il suo problema, se di problema si potesse parlare, era che ad un certo punto del rapporto iniziava ad annoiarsi, a non sopportare più le lamentele, i piagnistei e lo stupido modo di comportarsi di quelle donne, di quelle fedifraghe che non trovavano niente di meglio da fare, per combattere la routine dei loro noiosissimi matrimoni, che tradire i propri mariti con un uomo vero, un uomo che le faceva sentire ancora belle, giovani, desiderabili.
Così, quando il suo limite di sopportazione era arrivato, proprio come la mantide religiosa divora il proprio partner durante l’accoppiamento, lui dava il meglio di sé un’ultima volta, accoppiandosi con loro e uccidendole mentre l’amplesso si compìva.
Come non ritenerlo una persona gentile: poneva fine alle loro miserrime vite, mentre erano all’apice dell’orgasmo, così se ne andavano felici e contente.
Ma ora no, ora non era alle prese con la parte noiosa delle sue frequentazioni. Adesso veniva il bello.
La sua tattica di caccia era semplice ed efficace: si iscriveva con dei nicknames piuttosto fantasiosi a numerosi siti di incontri e relazioni extraconiugali, quindi lanciava una ricerca dedicata solo a donne sposate, meglio ancora se con figli.
Sì, perché se voleva frequentare donne nubili, non aveva che l’imbarazzo della scelta. Ufficio, bar, supermercato, negozi vari. Ovunque andasse il suo bell’aspetto, il suo portamento ed il suo charme, colpivano sempre nel segno. Soprattutto sul lavoro.
Del resto era un uomo in una posizione molto elevata ed il potere, si sa, attira le donne più delle mosche sul miele.
Aveva avuto nel tempo numerose avventure con colleghe o sottoposte, come piaceva a lui chiamarle, anche se non era bello dirglielo, ed in questo periodo si stava sbattendo saltuariamente una bella brunetta ventottenne che pur essendo fidanzata, per fare carriera non disdegnava concedergli le sue grazie.
Il bello della situazione era che, a sua insaputa, aveva una relazione anche con la sorella ventitreenne che la stolta gli aveva presentato ad una festa. Erano come due gocce d’acqua sennonché la sorellina aveva lunghi capelli castani chiari e non si concedeva a lui per elemosinare un avanzamento di carriera, ma solo perché era un gran bell’uomo che, a sentir lei, la soddisfaceva come nessun altro.
Certo che se la sorella più grande l’avesse saputo, avrebbe anche potuto cavargli gli occhi, ma lui aveva l’abilità di muoversi senza farsi scoprire.
Tuttavia tutte queste avventure non gli davano soddisfazione, erano solo divertimento puro.
No, ciò che gli faceva salire l’adrenalina ai livelli di guardia, era fare innamorare donne sposate, e con figli.
Anche qui le sue conquiste erano state parecchie negli anni, e spesso le sue prede erano anche più ciniche di lui, quindi lo usavano come lui usava loro, così, visto che queste ultime gli somigliavano molto, le lasciava vivere. Uccideva solo quelle che s’innamoravano follemente di lui.
Chissà perché? Un giorno o l’altro avrebbe dovuto chiederlo ad uno strizzacervelli veramente bravo, un luminare in quella materia.
Smanettando tra le pagine dei vari siti cui era iscritto, stava vagliando le risposte alle avances che lui aveva fatto a suo tempo. Perché la parte più efficace della sua tecnica di caccia, era quella di selezionare e riselezionare: lanciata la ricerca su un sito, entrava nel profilo fornito dalle donne iscritte, e scartava quelle che avevano caratteristiche fisiche che non gli piacevano o quelle che cercavano qualcosa di diverso da ciò che cercava lui: una relazione senza impegno. Quindi, di un centinaio di candidate in tutto il Nord Ovest italiano, non ne restavano che una decina. Fatto questo inviava dei messaggi alle sue potenziali prede. Questi messaggi dovevano essere carini, simpatici, ma soprattutto singolari. Per questo era importante studiare a fondo quanto le donne pubblicavano: il messaggio iniziale, le caratteristiche fisiche, gli hobbies, ecc. Era fondamentale che ad ogni preda fosse inviato un messaggio personalizzato, unico e dedicato, altrimenti nessuna di loro, trovando il messaggio poco interessante, avrebbe risposto.
Ad un tratto un colpo di fulmine. ECCOLA!!! Finalmente l’aveva trovata e lei aveva risposto.
Dall’annuncio sul sito era una trentaseienne di Torino, bionda, occhi verdi, altezza 1,65 m., peso 55 kg, con un figlio (o una figlia, chissà). Era perfetta. La risposta era anche simpatica e denotava interesse per quanto lui le aveva scritto, e poi gli erano sempre piaciute le bionde.
Ora veniva il bello e, tutto preso dall’eccitazione della conquista, sentì il suo membro indurirsi.
Adesso non doveva fare altro che chattare un po’ con lei e riuscire a farsi dare il suo indirizzo mail, dopodiché poteva lanciare Jesper 5.0, un virus che aveva comprato qualche tempo prima da un suo amico hacker.
Grazie al virus poteva entrare nel PC della sua preda, leggerle le mail, andare sui suoi profili nei social networks. Insomma: poteva sapere tutto di lei, leggere nella sua vita.
In questo modo era ancora più facile conquistarla, sapere cosa veramente le piaceva e cosa no, leggere la corrispondenza con le amiche, le cose più intime e recondite che le persone scrivono nascoste dietro la tastiera di un computer, tutte cose che vis à vis, non avrebbero mai avuto il coraggio di confessare.
Tutto questo era necessario soprattutto prima che s’incontrassero di persona; dopo, era tutto in discesa.
Inoltre Jesper 5.0 era anche uno strumento utile per infettare i PC delle forze dell’ordine, perché era un virus “pandemico”, ovvero in grado di espandersi a tutti i contatti della rubrica presenti nella casella di posta elettronica. Quindi aveva provveduto ad inviare delle false lettere pubblicitarie alle caselle di posta pubbliche delle varie forze dell’ordine e dei tribunali. Qualsiasi investigatore fosse entrato in contatto con una di queste caselle, avrebbe attirato Jesper 5.0 anche nella sua casella ed in tutte quelle che comunicavano con essa.
Lui teneva sempre d’occhio chi poteva porre fine alla sua magnifica vita.


CAPITOLO II

Al terzo piano del Palazzo di Giustizia “Bruno Caccia” di Torino, il Pubblico Ministero, dott. Paolo Manassero, un valsusino dalla testa dura, ma di grande intelligenza ed onestà, era in riunione con il suo capo, il Procuratore Capo della Repubblica, dott. Luigi Berlinghieri, un veterano della Magistratura che era stato al vertice di alcune tra le più importanti indagini degli ultimi 40 anni, dal terrorismo alla criminalità organizzata.
«Buongiorno Capo, ho chiesto di poterla vedere perché ho paura di cadere in un ginepraio e mi serve la sua esperienza».
«Ma certo dottor Manassero, sa che mi fa sempre piacere condividere i problemi con i miei Sostituti».
«Il fatto è che mi sa tanto che ci troviamo di fronte ad un assassino seriale».
«Ohibò, Manassero, mi dica, mi dica».
«Come lei ben sa, ero il Pubblico Ministero di turno quando, circa 20 giorni fa, è stato scoperto il cadavere di una donna in un appartamento di via Boves, nel quartiere San Paolo. La donna, Alessandra Caputo, una dirigente d’azienda di 38 anni, coniugata con un figlio, è stata rinvenuta il 21 maggio scorso, riversa in posizione prona sul letto, completamente nuda».
«Ricordo qualcosa, omicidio per asfissia, se non sbaglio».
«Questo era vero in un primo tempo, ma ora non più».
«Come sarebbe a dire?»
«La prima ipotesi sulla causa della morte è stata quella dell’asfissia, anche per gli evidenti segni di una legatura rinvenuti sul collo della vittima. Ora però, sono arrivati i referti dell’autopsia e la causa della morte è la rottura dell’osso ioide, con slogatura della terza vertebra cervicale».
«Quindi l’assassino le ha spezzato il collo, in buona sostanza».
«Sissignore, ma anche se questa sembra una brutta notizia, al peggio non c’è mai fine: è la terza donna uccisa in questo modo negli ultimi mesi».
«Cosa?» ribatté il Procuratore Capo letteralmente sgomento. «Come sarebbe a dire la terza?»
«A quanto pare ce ne sono altre due uccise con lo stesso modus operandi: Antonella Rebagliati, ritrovata cadavere a Genova nel novembre dello scorso anno ed Isabella Momberto, rinvenuta a marzo di quest’anno ad Asti».
«E siamo assolutamente sicuri che il modus operandi e la causa della morte, siano identiche?»
«Sì, signor Procuratore. Ho già sentito i miei omologhi di Genova ed Asti e siamo tutti e tre concordi nel dire che sono gli stessi. Mi dispiace dirglielo signore, ma abbiamo un serial killer che va in giro a spezzare il collo a donne sposate».
«Erano sposate tutt’e tre?»
«Sì, ed in tutti e tre i casi siamo praticamente certi che i mariti non c’entrino nulla. Le altre due indagini sono già più avanti, visti i tempi trascorsi dai delitti, ma anche nel caso Caputo, qui a Torino, siamo quasi certi che il marito sia innocente. Signore, le ho chiesto di venire perché vorrei fare intervenire gli esperti dell’Unità Analisi Crimini Violenti».
«DEVE, farli intervenire, Manassero, sono i migliori esperti in circolazione nel campo. Abbiamo già qualche pista, qualcosa su cui lavorare?»
«Nossignore, niente di niente, neanche a Genova o Asti. Nessuno di noi sa che pesci pigliare».
Il Procuratore adesso era veramente preoccupato: non succedeva spesso, anzi non succedeva praticamente quasi mai, che in Italia ci fosse un assassino seriale. L’ultimo era stato probabilmente il “Mostro di Firenze”, anche se in realtà non era da solo, ma una banda di pazzi maniaci e violenti, probabilmente manipolati da qualche mente superiore. Nel pensare a quel caso giudiziario, ebbe un’illuminazione improvvisa: «Senta Manassero, mi è venuta un’idea. Io ho lavorato per molti anni con il miglior criminologo italiano vivente, Guillaume Chapel, che qualche anno fa si è ritirato a vita privata per problemi personali. In un caso di questo genere, sono sicuro che nessuno meglio di lui, possa darci una mano».
«Signore, non voglio contraddirla, anche perché sono io che le ho chiesto aiuto, e conosco di fama il dottor Chapel, ma le sembra il caso di fare intervenire un civile in un caso come questo?»
«Guardi Manassero, in un caso come questo farei intervenire anche il Diavolo in persona se ci fosse d’aiuto. Mi creda, Chapel sarà anche fuori dal giro, fuori dagli schemi ed un po’ strano, ma non esiste in questa penisola persona più adatta di lui a darci una mano. Lei mi ha chiesto aiuto ed opinione, ed io glieli sto dando, ma la decisione spetta a lei».
«Ma come pensa di coinvolgere Chapel, nessuno sa dove diavolo si sia nascosto da oltre dieci anni».
«Abbia fiducia in me Manassero. Se è ancora su questa terra lo troverò. Un altro tipo di discorso sarà convincerlo a darci una mano, perché sono quasi sicuro che potrebbe rifiutare, ma in questo caso mi servirà un po’ di tempo per elaborare un piano. Allora dottor Manassero, mi permette di convocarlo?»
«Sono nelle sue mani capo. Senta: mentre lei si occupa di trovare e convincere Chapel, io mi occuperò di fare intervenire l’U.A.C.V.»
I due Magistrati si salutarono ed il dottor Berlinghieri fece ritorno nel suo ufficio. Strano come pochi minuti possano cambiare l’umore di una giornata. Quella mattina, come faceva sempre nella bella stagione, pur essendo sotto scorta visti i suoi passati di Magistrato impegnato contro i peggiori criminali della storia patria, era arrivato, come d’abitudine, in ufficio molto presto, verso le 7,30, per non perdersi il piacere di fare una bella passeggiata dalla sua casa nel quartiere della Crocetta, fino al suo ufficio a Palazzo di Giustizia.
A quell’ora le temperature della primavera che, volgendo ormai ad un’estate, che si preannunciava torrida, erano ancora sopportabili, e un po’ di moto non gli faceva di certo male alla salute alla sua età, inoltre la giornata gradevole e limpida l’aveva messo di buon umore.
Adesso però, il suo umore era virato al brutto. Una situazione come quella che il Sostituto Procuratore Manassero gli aveva appena confezionato, era una brutta gatta da pelare.
Giunto quindi in ufficio, telefonò immediatamente al Questore di Torino, un poliziotto di grande bravura ed esperienza che era appena stato promosso in quella carica. Diede a quest’ultimo ogni informazione in suo possesso su Guillaume Chapel, che anche il Questore conosceva per averci lavorato insieme in passato, gli chiese di fare il possibile per rintracciarlo, trovandone l’indirizzo di casa e, tramite la Polizia Postale, anche quello della casella di posta elettronica, sempre che ne avesse una.

Giullaume Chapel era stato un valido criminologo della Polizia di Stato. Laureato in psicologia all’Università di Torino, aveva subito intrapreso la carriera di Polizia, dove si era specializzato in criminologia, la sua passione.
Molti anni prima Guillaume aveva scelto di allontanarsi da tutto e da tutti. Aveva ottenuto in concessione ad un prezzo ragionevole dal Demanio dello Stato, alcuni ettari di terra e di bosco nel vallone di Soustra, nell’alta Valle Varaita.
La casa che si era costruito, quasi interamente con le proprie mani, in legno e grandi tegole di pietra (le lose in occitano, tipiche lastre di pietra levigate presenti in vallata, ricavate dalla pietra scistosa), distava almeno un’ora di cammino dalla strada del colle dell’Agnello.
Nel punto in cui il sentiero del vallone sfociava nella strada del colle, c’era una serie di baite di margari con i quali intratteneva dei rapporti di buon vicinato, se così si potesse dire, data la distanza tra le loro proprietà, visto che la collaborazione era essenziale per la vita in alta montagna.
Dopo numerosi tentativi di coltivare ortaggi andati a vuoto vista l’altitudine e la scarsa fertilità dei terreni, alcuni anni prima, rifacendosi alle tradizioni della sua terra e del suo popolo, Guillaume aveva intrapreso, inizialmente quasi per gioco, l’attività di coltivatore di erbe officinali. Da sempre i valligiani, soprattutto gli anziani, usavano curare le malattie più comuni con le erbe che crescevano spontaneamente in vallata.
La sua fortuna era data dalla posizione della sua proprietà: sulla riva destra del Torrente che dava il nome al Vallone, il terreno era erboso (del resto la zona era da sempre adibita a pascolo montano per le mucche e le pecore) calcareo, privo di alberi e ben esposto al sole, così egli ci poteva coltivare Timo, Arnica, Achillea, Genziana e Genepy, mentre sul versante opposto della valle, quasi completamente ricoperto di alberi e vegetazione, si limitava alla raccolta delle erbe che meglio crescevano nell’umido, come la Cetraria islandica, un lichene che cresceva in zona. Inoltre, vista la presenza di pini cembri, estraeva la resina da questi ultimi, che era molto utilizzata per la cura di traumi e dolori muscolari.
Così si era messo in contatto con un’azienda della bassa Valle che ritirava e lavorava le erbe da lui prodotte, per rivenderle all’industria farmaceutica o ai produttori di liquori.
Ora, dopo quasi undici anni, quello che era nato come un passatempo, era diventata un’attività imprenditoriale di discreto successo ma soprattutto per lui, di grande soddisfazione.
Nel tempo si era premunito di recintare la sua tenuta, non tanto per impedire a qualcuno di entrarci, del resto a parte gli sciatori-alpinisti d’inverno e gli escursionisti a piedi d’estate, chi mai sarebbe potuto passare da quelle parti?
No, Guillaume aveva recintato la sua proprietà, quando qualche anno addietro, passeggiando nei boschi aveva trovato una femmina di lupo con la zampa posteriore imprigionata in una trappola da bracconiere.
Le lame della trappola le avevano quasi completamente reciso la zampa sotto il ginocchio. Vedendola in quello stato, debole e sofferente, egli aveva deciso, rischiando anche di farsi mordere dalla lupa che avendo i capezzoli piuttosto pronunciati, evidentemente stava allattando o aveva appena finito di nutrire i suoi cuccioli, di aiutarla.
La prese quindi con sé, la portò a casa e la curò, andando a cercare su internet le cure necessarie e di tanto in tanto, telefonando ad un amico veterinario per farsi aiutare.
Quando la lupa, che lui chiamò Alberta si fu ripresa, Guillaume aveva avuto l’intenzione di rimetterla in libertà, facendola tornare nel mondo selvatico da cui proveniva ma, visto che a quanto pare ella non ne voleva sapere di allontanarsi da lui, aveva quindi provveduto a recintare la proprietà per evitare che Alberta scappasse e creasse guai agli allevatori della zona.
Ora, qualcuno potrebbe chiedersi: ma come fa uno a vivere in un posto completamente isolato, a più di un’ora di cammino dall’ultimo centro abitato, ed avere internet?
Beh, qui l’ingegno dell’uomo ha la sua parte. Guillaume da buon montanaro, era sempre stato un ecologista convinto. Non così intransigente da non volere il progresso, ma non così ottuso da non vedere quanto gli esseri umani stessero distruggendo il nostro pianeta.
Così, aiutato da amici competenti, aveva costruito la sua casa con intercapedini di materiale isolante vegetale, anziché chimico, aveva utilizzato un’intera campata del suo tetto per posare pannelli solari fotovoltaici utili alla produzione sia di elettricità che al riscaldamento dell’acqua, aveva fatto installare un accumulatore di energia, in modo da averne anche in assenza di sole.
Tuttavia l’energia prodotta dalle celle fotovoltaiche a volte non bastava, per cui su una collinetta dietro casa, aveva installato una piccola pala eolica per sfruttare il vento che nel vallone soffiava a volte impetuoso.
Inoltre aveva fatto piazzare una piccola turbina per sfruttare una cascata d’acqua a qualche distanza dalla sua casa. Questa però produceva energia solo da maggio a novembre, se andava bene, poi la cascata ghiacciava e addio energia idrica.
Infine si offrì come “cavia” ad alcuni studenti del Politecnico di Torino, che stavano mettendo a punto un apparecchio per la ricezione di internet senza fili a bassa frequenza.
Quale posto migliore per testarlo di casa sua? Se funzionava lì, in un luogo completamente chiuso da una corona di montagne alte, poteva funzionare dappertutto.
Tutto ciò gli permetteva di non restare completamente isolato dal mondo, passando qualche ora della sua giornata a navigare in rete. Il resto del tempo era scandito dalla coltivazione delle sue preziose erbe officinali, dalla raccolta dei funghi, dal baratto di una parte di quanto produceva o raccoglieva e di cui non si cibava, con uova e formaggi, e da lunghe camminate su e giù per le montagne. Adorava camminare sui pendii scoscesi delle sue montagne.
Del resto come avrebbe mai potuto tenere mucche, capre, pecore o galline con Alberta nei paraggi?
In quell’assolato mattino d’inizio giugno, dopo aver sbrigato alcune faccende casalinghe, uscì di casa riempiendo il suo grosso zaino delle erbe, fiori e piante raccolte il giorno precedente. In estate infatti, aveva un appuntamento quotidiano con un incaricato della ditta cui forniva le erbe e, visto che quest’ultimo non poteva arrivare con il suo furgone alla casa di Guillaume, egli scendeva fino alla strada del colle per portare il raccolto.
Si avviò a passo deciso verso il cancello che delimitava la sua proprietà, d’un tratto si trovò Alberta seduta a prendere il sole su una grande pietra, da lei adorata, perché le permetteva di sedersi in posizione elevata rispetto al terreno.
«Chaou Berto. Cha que vanne findi à la vìò dij marghìes. J anaré touto la matinà» (Devo andare fino alla strada e dai margari. Ci metterò tutta la mattina) le disse nella sua lingua madre.
La lupa lo guardò come se avesse capito. Tuttavia i suoi occhi gialli non smettevano di fissare Guillaume; sembrava quasi implorarlo.
«Lo so che vorresti venire, ma non ti posso portare. Laggiù è pieno di capre, pecore e galline, ed i miei amici non sarebbero mica tanto d’accordo se tu gliene mangiassi qualcuna. Mentre io sono via, vai a caccia di leprotti o marmotte. Ma prometto di portarti un bel regalo al mio ritorno».
Alberta lo fissò ancora per un istante quindi, dando prova di tutta l’intelligenza che gli animali posseggono, e quelli selvatici ancora di più, scese dalla grande pietra e si avviò trotterellando nel bosco.

Il Procuratore Berlinghieri non stava più nella pelle; aveva un gran bisogno delle informazioni su Chapel e queste non arrivavano. Giunto ormai all’ora di pranzo, si stava apprestando a scendere al suo bar preferito per un veloce pasto, quando squillò il telefono. Tirò un sospiro di sollievo nell’udire il Questore che gli stava snocciolando le informazioni che gli interessavano. Fece quindi il giro della scrivania e si risedette dietro ad essa, rimandando il pranzo. Aveva cose molto più urgenti da fare. Si mise quindi al computer e scrisse:

Da: procuratore@procura.torino.gov
A: guillaume.chapel@email.com
«Egregio dottor Chapel,
spero che leggendo le poche righe che le sto mandando, sia contento di sapere che un vecchio amico e collega di mille battaglie contro il crimine, trovandosi in difficoltà nella soluzione di un caso particolarmente difficile, si sia ricordato del miglior criminologo che il nostro paese abbia mai avuto.
Bando alle lusinghe: sono in difficoltà Chapel!!
Questa mattina, uno dei miei Sostituti, il dottor Manassero mi ha informato della possibile presenza di un assassino seriale, che potrebbe avere già ucciso tre donne a Genova, Asti e Torino, ma soprattutto che non abbiamo lo straccio di una prova.
Ora, so che lei si è volutamente tirato fuori dal giro, e ne conosco il motivo, cui solo a pensarci, mi rattrista ancora, però vorrei che lei ci desse una mano nella ricerca di prove, di indizi che ci permettano di mettere le mani su un assassino che potrebbe aver ucciso tre giovani madri di famiglia.
Resterò quindi tutto il giorno nel mio ufficio, fino alla tarda serata, nell’attesa di una risposta affermativa da parte sua, perché il suo intuito, ci è più che mai necessario qui, a Torino.

F.to – Luigi Berlinghieri
Procuratore Capo della Repubblica – Torino»

Lesse e rilesse quanto aveva scritto, prima di inviarlo. Non aveva usato tanti giri di parole: con quell’uomo non ce n’era bisogno. Odiava gli ipocriti, i lecchini ed era esageratamente pratico: «il massimo risultato con il minimo sforzo», diceva sempre a tutti. Ora, riletto il tutto, schiacciò il pulsante d’invio e sperò in una risposta entro la giornata. Sarebbe stata una dura battaglia di nervi.

Guillaume, ritornato a casa a metà pomeriggio, si premurò di mantenere la promessa fatta ad Alberta: un’intera coscia di pecora, che era riuscito a mercanteggiare da un suo amico allevatore.
Del resto aveva minacciato quest’ultimo, ovviamente scherzando, dicendogli che se non gli regalava un bel pezzo di pecora morta, la prossima volta avrebbe portato con sé Alberta, così magari se ne sarebbe presa una intera. E viva.
Il segreto patto tra il montanaro e la lupa era che lui non andava a disturbarla, cercando di scoprire la sua tana, quella in cui portava le sue prede ed il cibo. In cambio lei si accontentava del cibo che gli procurava, salvo qualche rara caccia in proprio a mini-lepri, marmotte o a qualche sfortunato capriolo o camoscio che si avventurava entro i confini della proprietà. Inoltre gli era di compagnia, per quanto un lupo potesse esserlo.
Così Guillaume lasciò il regalo per Alberta sulla grande pietra dove era seduta quella mattina alla sua partenza, ed emise un fischio acuto per richiamare l’attenzione dell’animale.
Sapeva che era nei paraggi, nascosta da qualche parte. Lo era sempre, ogni singola volta in cui tornava a casa. L’incredibile olfatto del lupo le permetteva di annusare il suo arrivo con almeno mezz’ora d’anticipo.
Entrato in casa, si premurò di preparare qualcosa da mangiare anche per lui, quindi, come faceva ogni giorno, dato che era un abitudinario, accese il PC e controllò la sua posta elettronica. Rimase di stucco: un messaggio dal Procuratore Capo della Repubblica di Torino. Cosa poteva mai volere da lui un uomo di quell’importanza?
Lesse il messaggio con attenzione e non poté fare a meno di sorridere per il modo in cui il Procuratore era stato franco e sincero. “Dovete essere proprio messi male per rivolgervi a me”, pensò. Quindi si sedette davanti al PC e digitò:

Da: guillaume.chapel@email.com
A: procuratore@procura.torino.gov
«Gentile dottor Berlinghieri,
leggo con piacere quanto da lei scritto in mattinata, tuttavia, nonostante l’interesse che hanno suscitato in me le sue parole, non ho alcuna intenzione di lasciare la tranquillità della mia casa, ed il mio lavoro di agricoltore, per immergermi nel caos della grande città.
Per cui mi perdonerà se rifiuto il suo invito. Sono assolutamente convinto che Ella disponga dei mezzi e degli uomini per risolvere un caso tanto intricato, senza l’aiuto di un vecchio servitore dello Stato, quale ero io, tanto più che sono ormai fuori dal giro da quasi undici anni, le tecniche d’investigazione sono cambiate ed io non sarei più in grado di dare alcun aiuto, né a lei, né tantomeno ai suoi uomini.
Sono sicuro che nelle prossime settimane, scorrendo i siti internet dedicati alle informazioni, leggerò della cattura di un pericoloso assassino, e che il merito sarà attribuito a Lei ed alla sua squadra.
Colgo l’occasione per salutarLa e ringraziarLa di tanta fiducia.

Guillaume Chapel»

Con queste parole rispose al Procuratore Capo. In un primo momento si era quasi interessato alla cosa: il vecchio istinto di poliziotto a volte era più forte della ferrea volontà con cui si era autoescluso dal mondo civilizzato, poi però, la sua determinazione, quella che gli aveva permesso di continuare a vivere nonostante ciò che era successo, era emersa, ed aveva rifiutato l’offerta, anche se sapeva che il Procuratore non avrebbe mollato tanto facilmente.
Infatti solo pochi minuti dopo la sua risposta, un nuovo messaggio arrivò alla sua casella:

Da: procuratore@procura.torino.gov
A: guillaume.chapel@email.com
«Chapel!!!, Non mi costringa a mandare i miei uomini ad arrestarla (una scusa per trattenerla almeno 48 ore la troverei in pochi minuti), o peggio ancora a venire fin lassù, a casa sua, a prenderla di persona con la forza.
Non volevo mettere per iscritto certe cose, ma lei mi ci costringe: le tre donne sono state uccise con rottura dell’osso ioide e slogatura della terza vertebra cervicale. Le dice niente?
Io sono sicuro di sì. Lei può essersi volontariamente allontanato dal mondo, ma la sua mente non può aver dimenticato il caso di Maria Cinthya Alcantara de Sousa. L’ultimo caso a cui lei lavorò con me, che era ormai in via di soluzione, ma dopo il suo incidente e la sua dipartita dalla Polizia, è rimasto un caso insoluto, e mi tormenta continuamente.
Perciò adesso alzi le chiappe e dovunque lei sia, salti in auto e venga a Torino, prima che perda la pazienza sul serio. Venga a finire il lavoro per cui il buon Dio l’ha predestinata.

F.to – Luigi Berlinghieri
Procuratore Capo della Repubblica – Torino»

[continua]


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