Opere di

Ugo Colla


Caproniana

Mi basterebbero solo tre ore
per arrivare a Laggio di Cadore,
paradiso della mia infanzia.
Da Genova ne impiegavamo sei.
Ma gli anni passano
e le distanze aumentano
anche se ferme, come i disagi,
climatici e stradali
di un mondo impazzito.
E il profumo dell’aria d’ottobre
qui nei parchi di Ferrara,
l’odore inconfondibile
che in certi negozietti
mette insieme i dolci e la frutta
mi fanno ancora sentire
a volte, per un attimo, lassù.

(ottobre 2021)


Repliche

Siamo fogli di giornale che vanno
spinti dal primo vento,
tapparelle tirate giù,
viste da un treno in corsa,
subito dimenticate
da occhi veloci e distratti.
Ogni cosa detta valeva ieri
chi parla oggi non dice più niente.
Sempre vecchio è il mondo
che ci piaceva e ci rendeva sicuri.
Si va verso un turbine, un rombo
temuto, alla fine forse voluto.
Per alcuni un tempo siamo stati luce,
oggi su quella che pure fu una storia
s’addensano strati di polvere
e sulla scena stanchi ci muoviamo
ancora noi vuote, scontate repliche.

(Ugo Colla, 2016)


Ora che sembri tornare bambina (Parlùma piemunteis, moma)

Ho imparato di nuovo a dirti: “Ti voglio bene”,
come quando, nelle foto da bambino,
gioioso e proteso il mio viso
era sempre il tuo sguardo che cercava,
quel tuo candido, largo sorriso
ch‘è stato il mio, prima che io fossi.
(Parlùma piemunteis, moma, c’um piòs tant
a m’avis d’ quand ca iera na masnò…)

Da tempo con te giocavo in difesa,
difesa mia e di altri che amo
e anche tu amavi a quel tuo modo
per me contraddittorio. Mai ho capito
l’involucro tuo che tenne chiuso
delle emozioni il palpitante fiume
che invece deve scorrere ogni giorno
nelle vene a svegliare nuova vita.
(Parlùma piemunteis ansèma, moma,
ca m’avis d’Oic, d la Buiènta, di canlòn
e d la cà anduc t’ei nasìa)

Ma il tempo di voler capire tutto
forse è finito, conta più il cuore.
Ora che sembri tornare bambina
come te con me allora
ti accompagno e seguo i tuoi passi.
Ci sia lieve il cammino che rimane.
(Parlùma piemunteis, moma,
ca m’avis d la Pina c l’era to moma
e l’am vròva ben, adès ti e smìe tita…)

Traduzione della parte in dialetto di Acqui Terme (AL): “Parliamo piemontese, mamma, che mi piace tanto, mi ricordo quando ero un bambino. Parliamo piemontese insieme, mamma, che mi ricordo di Acqui, della Bollente, dei cannelloni e della casa dove sei nata. Parliamo piemontese, mamma, che mi ricordo della Pina che era tua mamma e mi voleva bene, ora le somigli tutta”


Lisbona un anno dopo

Un anno dopo. Leggera nostalgia
d’una Lisbona come fasciata
dalle rosse striature del cielo,
nella mite luce d’ottobre, tornando alla nave,
lasciando una Praça do Comércio dov‘è possibile
sentirsi ancora poeta e fingidor1.
Ho ascoltato non so quanti fado, stamane
passando in quel tratto d’Aurelia dove bastano
le foglie alte d’un albero, due tetti e nel mezzo
un triangolo di mare a riportarti là,
a quello che si vede dal Bairro Alto,
mentre da una casa ancora esce e si spande
nell’aria una voce inconfondibile, Amalia,
quanto il blu degli Azulejos in giardino
e il cantilenare della gente, così simile al nostro.
Poter rivedere tutto meglio,come in ogni luogo
amato insieme, perché senza di te la bellezza,
il colore, la luce, sarebbero opachi,dolce non più
di tanto sarebbe l’ora dolce di Porto e Pastelas.
Di tutto ho bisogno, del tuo entusiasmo
incontenibile, del tuo voler vedere ancora,
che mi ha regalato tanta vita in più,
la bellezza, la memoria che da molti
anni ormai ti devo, gli attimi eterni
dove siamo passati ma ancora,
col cuore, camminiamo.

1 Il riferimento è a Fernando Pessoa: “O poeta è um fingidor” (da“Autopsicografia”)


L’ISOLA DI SMERALDO
(affresco irlandese)

E l’isola di smeraldo finalmente ci accoglie,
sognata da una vita per la sua musica,
ora dolce e nostalgica, ora viva e saltellante
secondo il ritmo delle pipes o una piega del tempo,
per le sue ali di nuvole cangianti
che si schiudono al nostro arrivo.
Un suono d’arpa vola tra colline e rocce
e le addolcisce,rende omaggio alle scogliere di Moher
imponenti signore a regnare
sui troni dell’ Atlantico. Stanno le mucche
adagiate a preannunciare una pioggia
che danzerà presto con l’arcobaleno,
con i riflessi argentei di un lago nel Connemara
o nel Kerry e tante piccole isole verdi
che affiorano. Sogno nobile da ottocento
in carrozza tra laghi di fiaba e maestosi
fusti nel parco di Killarney
che il fogliame variamente dipinto
abbraccia con amore di madre.
Visitando l’antica distilleria, imparando
che whiskey vuol dire “acqua della vita”,
mangiando eggs and bacon, bevendo una Guinness unica,
tra gente mai vista e che non rivedremo,
quasi nessuno sa che viaggiando sul pullman
poco prima, felicemente stanchi,
ci siamo assopiti unendo i nostri volti
che gli anni hanno mutato insieme
ed ho pregato chi mi può ascoltare
di rimanere così, senza troppo chiedere
a questa vita insicura, come in tante
notti irlandesi, non conoscere il nero
della notte ma restare in un blu
che non dà tristezza. See you again, Ireland…


QUANDO RIPENSO A PARMA

Quando ripenso a Parma ricordo
una domenica di sole settembrino
ai giardini della Pilotta, suonava
una fisarmonica e rendeva più francese
una città già di suo parigina
con quella bella, raffinata erre
che hanno ancora molti nel parlare.
Quando ripenso a Parma rivedo
un’ampia, verde distesa, Olmo,
bimbo ribelle con le rane in testa,
il gobbo nella notte a gridare:
“Verdi è morto!”, l’inizio del Novecento.
Quando ripenso a Parma rivedo
la vecchia Berkel rossa all’entrata
dell’osteria, dove un mondo di sapori
e morbidi sensi ci attende e sarà
un dolce, graduale offuscarsi
in un tempo di favola antica.
Ma Parma nasconde un mio dolore
che non si dipana del tutto, è l’amico
che non so pensare morto,troppo allegro,
disposto al sorriso, allo scherzo gentile,
avrei voluto somigliare a lui, io,
più ombroso e complicato,
con quel ligure male di vivere
in agguato ad ogni angolo di strada.
Dovette lasciare una famiglia
ch’era l’immagine di quella luce
che aveva dentro. Ultima residenza
Langhirano, anticamera dell’altra dimensione.
Alla moglie accennò che si, era un bel posto,
con quella lieve saggezza tutta vostra.
“Non siate troppo tristi per me, l’ho avuto
per pochi anni, ma ho avuto tutto!”
Così si allontanò da quella vostra
tipica vita da assaporare
e centellinare fino in fondo,
senza quasi accorgersi che intanto
cala l’ultima nebbia nella sera.


Se ci resta un cammino di nebbia

Ma se sarà così
se a caldi,ambrati, luminosi
sogni subentra già sottile
una pioggia che batte
su antiche porte chiuse,
se ci resta un cammino di nebbia
e alberi spogli e non si vede la fine,
accetterò tutto, starò dritto ancora
attenderò che faccia chiaro e forse
una mano che conosco
anche stavolta mi riporterà a casa
senza chiedermi niente….


Memorabimus

Il calore, il fumo che sale
nell’antico soggiorno, a Natale.
Danza la fiamma e c’era una mamma
stanca ma attenta, stanca e contenta
di preparare, di sfaccendare.
(…erano stelle le scintille,
paesaggi immaginati davanti al caminetto,
tornati dalla messa i bimbi tutti a letto,
profumi sui pigiami – macchie di cioccolata – e sogni nella notte di carta colorata…
…le voci sommesse del primo mattino
poi l’aria calda di ravioli e vino,
nel dopo pranzo uomini tranquilli,
seduti a fumare o allegri in cantina,
le nonne e le zie aiutano in cucina…)

Poi negli anni partenze ed affanni,
lontano li porta la sorte,ancor più lontano la morte.
Oggi un uomo e una donna eleganti
sono scesi dall’auto a guardare…
Il silenzio, il gelo che sale
nel soggiorno deserto, a Natale.



L’UTOPIA DELL’AMORE. CINQUE CANTI SEGRETI D’AMORE E DI SOGNO


1. Canto del principe innamorato d’una sirena.

Tutto mi ha dato il mondo, gloria,
benessere, amore, potere, eppure
in mattini come questo
penso ancora a lei che vive nel mare,
tra le alghe smeraldo,
tra i coralli avorio,
tra le bellezze luce,
lei che mi venne in sogno
trasformata in vera donna
in quella notte che mi cambiò il cuore.
Incantata per mano la portavo
nei miei giardini moreschi,
tra fiori di jakaranda e l’ombra
del maestoso palo borracho.
E mentre albeggia sul mare
e prosegue la mia nave
calma e tranquilla
in apparenza come la mia vita,
ditemi, bianche gioiose schiume,
isole di sogno che sfioro con lo sguardo,
perché così ambiguo è il verbo amare,
che sa indicare tanto fiamma di sensi,
presto cenere, come il vero, completo sentimento,
amore che rinuncia e s’immola,
palpita e non si vede,turbina e non ostenta?
Ditemi perché nessuno può amarla
come io la amo,io che potrò soltanto
amarla da lontano?


2.Canto di chi ama segretamente e in sogno (I)

L’amore che non chiede
è come il passante vestito di grigio
che vedi ogni giorno e non noti
ma lui sa chi sei, ti guarda
e un tumulto nel cuore
lo assale ogni volta.

L’amore che non chiede
si contenta di osservare,pensare,
s’affida al giusto,sano ego
dell’artista, alla nota, al verbo,
al suono, al sogno. E’ amore
racchiuso, represso, oppresso,
un solo segnale e potrebbe
esplodere, urlare, invece
è gentile, educato, riservato,
mai alza la voce, mai sgomita,
che soffra o gioisca, che esulti o fatichi
lo fa da lontano, sempre occulto,
ma non cede, non recede anzi
procede, chiude gli occhi e immagina
così si alimenta, cresce, vive.

A mostrarsi c‘è sempre un motivo
per cui si sente colpevole, così
rinuncia alla luce del sole,
ignorato, sconosciuto al mondo
eppure tanto grande a volte
da poter contenere il mondo.


3.Canto di chi ama segretamente e in sogno (II)

Neppure tu sai dare il giusto nome
a questo sentimento che s’aggiunge
come neve più fresca lenta scende
accanto ad altra, ai lati delle strade
o addormentata placida sui campi.

Così lontana, non può essere che anima
con il volto bellissimo che sai.
Puoi immaginare lei che indaffarata
percorre in auto la città innevata,
silenzioso il tuo sogno la raggiunge,
discreto e segreto l’accompagna.

O immaginarvi a cena questa sera
nel posto più elegante,la gioia
di porgerle la sedia, sentire
il suo grazie, versarle da bere,
vederla ridere, godere il suo profumo
e la vista del suo trucco raffinato.
Bublè in sordina e le parole
che cadono lievi.
E come nel “Museo dell’innocenza”,
di Ohran Pamuk
riuscire di nascosto a conservare
qualcosa che teneva nella mano
anche per brevi istanti.
eppure tu sai dare il giusto nome,
bimbe giocose si inseguono le ore,
potrai per ora chiamarlo folle amore.


4.Canto dell’ufficiale di bordo che sogna sul ponte della nave una lontana amante portoghese

Troviamoci stanotte, calda notte
su una deserta spiaggia dell’Algarve.
La luce d’un fuoco e da una casa lntana
la voce profonda e malinconica
d’un canto di donna e i suoni tremoli
d’una chitarra. E finalmente,
per una sola notte l’ebbrezza
di dimenticare chi ero, chi sono, chi sarò,
la fuligginosa morale che soffoca,
opprime e comprime, la coscienza, il peccato,
tutto portato via da queste dolci onde e il solo peccato
sarebbe sentirsi in peccato, in questa notte, notte di vita.
Mi nascerai dall’acqua, stella caduta,
perla del mare, profumo di fiori
portato da brezza leggera,
per una notte sola non sarò più nessuno,
sarò solo quello che soavemente
avrai preso tra le braccia e cullato
con la canzone del mare…


5. Canto del giovane suddito innamorato della giovane regina.

Regina, sorriso di neve,
persino la nebbia del Nord
è più lieve al tuo passare,
regina che sa far sognare.

Regina, un cuore ragazzo
ti canta stasera parole
che ascoltano il vento e le onde
e inseguono spruzzi di sale.

Lui venne nel tuo giardino,
di nascosto colse una rosa
che tiene per segnalibro
tra pagine belle e segrete
che mai ti ha inviato.

Regina, l’hai visto quel giorno,
gentile e leggera la tua mano,
da lontano l’ha salutato.

Per lui è dolce pensare
che quel tuo sorriso di neve
un giorno lascerà le nebbie
e illuminerà il suo mare,
regina che sa farsi amare.


Diario londinese

(Atterrando ci vennero incontro
infinite campagne di tanti film
di Attemborough e Ivory
preannunciando ricordi
delle brughiere di Constable… )

Dalle profondità della terra
sembrano salire verso il cielo
voci di coro e suoni d’organo in St.Paul.
Voci d’eterna gioventù, entusiasta e ribelle,
nelle chitarre dei metrò che ripropongono
Wild world, Proud Mary, J wish
you were here, sulle strisce pedonali
di Abbey Road, dove anche i giovani d’oggi
fanno foto, sulle tracce di John, Paul,
Ringo e George (la dolcezza di Something nell’aria…).

Gli incanti di memoria: il reparto
alimentari liberty di Harrods, negozi
fioriti e saporiti di Covent Garden,
l’usciere in livrea e tuba
davanti all’Hotel in Piccadilly.
La solennità di Westminster
dove dormono i grandi fratelli maggiori,
Tennyson, Dylan Thomas, Byron
(su tutti domina il ricordo di Shakespeare)
e risuonano ancora le note
di Elton in Candle in the wind.

La turistica estate affollata, chiassosa,
scalza e tatuata interrompe
la finezza d’un concerto per archi
in St. Martin in the fields che conduce
in un luogo d’impossibile sogno.

Le file di single che vanno al lavoro
la mattina presto, ognuno chiuso
nel suo silenzio. Un taxi nero sempre
riporta al tempo tenace, orgoglioso
di Churchill e re Giorgio Sesto.

La preziosità: la sala da ballo
di Buckingham Palace, con regale precisione
addobbata per un banchetto di stato,
nell’antica Torre lo sfavillare di vera
favola dei gioielli della Corona.

La fantasia: la scritta del binario
nove e tre quarti dove posano
allegri ragazzi di tutto il mondo.
E da King Cross viaggiando tra campi
di biondo grano e verdi distese
proprio come se anch’io andassi
con Harry, Ron, Hermione alla scuola di magia,
ti mando un saluto, magica, fiera,
provocante, spettacolare, charming,
ancora e sempre swinging London.

(luglio-agosto 2008)


Ponte dei Mille (1)

Com’eran belle a Ponte dei Mille,
coi loro bimbi per mano o in braccio,
s’agitavano i capelli al vento, al sole,
al profumo di sale nell’aria.

Com’eran belle dopo mesi di attese,
penelopi senza regge, sole ad affrontare
la vita, sedute alle finestre di linde,
modeste casette, alla luce che bastava
per cucire, rammendare, risparmiare.
Sfiorate a volte dalle facili, basse
ironie, spesso rivolte alle donne sole,
non se ne curavano, dritte camminavano
all’ora della spesa o della scuola,
sguardi velati di nostalgia e paura
per chi era lontano (l’eco di quel ventisei
luglio ’56, le foto sui vecchi giornali
dello splendido colosso abbattuto
vicino a New York…)

Belle, nel giorno degli arrivi,
braccia festose verso il cielo,
parlando nell’orecchio ai bambini
insegnavate loro ad amare
quei padri a lungo assenti ma preziosi
in quei pochi Natali a casa,
che salutavano dall’alto, dagli oblò,
mentre scendevano lo scalandrone
(tanti bianchi angeli, ansiosi e gioiosi
sembravan da lontano…)

Com’eravate belle, spose e madri
a Ponte dei Mille! Possa rendervi omaggio
ora, coi capelli grigi, uno di quei bimbi
mentre guarda la foto in bianco e nero
dove orgoglioso mostrava la lettera,
quella azzurra della posta aerea.

Belle, aspettando i vostri amori
che vi portavano la musica del mare,
il profumo del vento e del sale
e la speranza di un futuro migliore.

(1) Stazione marittima storica genovese


Portofino deserta

Lo desideravi da tempo ma è inutile
andarci di domenica, quando si impiegano
due ore e poi, giunti là, non si cammina,
non si apprezza nulla, si sente solo vociare.
Così ieri sera, 18 dicembre, ore 21, ora morta,
siamo saliti in auto, anche la nostra ragazza
ci ha seguiti ed è bello io penso
quando vuole ancora condividere con noi
un incanto, un’emozione.
Eccolo l’imbuto, il collo di bottiglia
tutto curve più famoso del mondo,
la strada che da Santa conduce a Portofìno,
senza macchine,senza nessuno, incredibile.
Passano i quattro e cinque stelle
di Santa Margherita e San Michele
coi loro nomi gloriosi d’un tempo,
Metropòle, Excelsior, Continental…
Passa la chiesa del Divo Martino (per Vip),
si arriva al posteggio e non c‘è nessuno.
Ci siamo noi tre, sembra di cominciare
a sognare, sembrano finte anche
le boutique di Armani, Vuitton, Paul Shark,
chiuse, illuminate, in mezzo alle case
variopinte, modeste in apparenza, di pescatori,
(già un miliardo a finestra vent’anni fa…)
Ed ecco il mare che trema al vento invernale,
parla, saluta, è contento perché lo si può
finalmente ascoltare, guardando tutte le case
illuminate, come in quell’attimo di spot
che ci piaceva tanto. Noi tre, nella pace inattesa,
ma sono fuggiti tutti dal celebrato borgo?
Forse sì ma era l’unico modo
di fargli ritrovare la sua antica,
marinara genesi, stasera potrebbe
persino tornare a guizzare allegro
il vecchio delfino che gli diede il nome
(Portum delphini). Vi bacio entrambe,
dolce vedervi sorridere in questo vero
miracolo di silenzio…


Spesso il poeta è solo

Spesso il poeta è solo,
chitarra nella sera,
quando si canta in compagnia
e le più belle canzoni sono sempre
quelle taciute, riposte nell’antico
cassetto della memoria,
mai sono quelle che tutti sanno
e vengono ritmate con le mani.

Spesso il poeta è solo
viandante ignoto anche a se stesso,
anche fra tante risate e grida
che scivolano su calici di vino,
sempre in alto, sempre pieni.

Spesso il poeta è solo
fra ricordi appesi a rami di pino
come tra i canneti l’airone cinerino.

Spesso il poeta è solo
tra suonerie impazzite,
quando parla e riparla la gente
e riempie solo l’aria del suo niente,
quando non sa cosa dire,
non ricorda mai un numero,un prezzo,
una misura se non va a rileggere

ma sa la carezza del vento,
il tremore dell’erba, ciò che dietro
le parole scritte vive e vibra,
le note, i sospiri, i sorrisi
che fanno fremere, l’incanto
d’una cima ammirata al mattino,
la pagina ancora da scrivere
che attende domani.


Neve sul mare

Neve sul mare
mare che vibra
in lenta danza
rude vento canta.
Mare dove brillano
gocciolano,scendono
come in un pianto
raggi d’un sole
che non conosce notte.
Distese di rocce
lunghe di nebbie
d’eterni silenzi
di solitari voli.
Contorni d’isole
come sagome oscure
d’oscuri Troll.
Forse
è l’inizio del mondo
forse
è la fine del tempo.

(Capo Nord, 18 giugno 2007)


Ballo lento, nessuno come te

Ballo lento, te ne sei andato
fra le aranciate e le crostate
delle prime feste in casa,
tra le luci della vecchia discoteca
quando si facevano meno violente,
il mixage ti annunciava, magia
dell’attimo e si andava a chiedere
un ballo, batticuore nascosto,
un po’ come all’esame.
Preferiscono i giovani oggi
quattro ore dello stesso tam-tam
ma solo tu ci sapevi portare
il profumo, la calda voce,
il respiro di lei, di quella
che più ci piaceva,
i suoi movimenti lenti, aderenti
a noi, felici e turbati. Grazie
Mister Slow per i tanti baci osati,
amori da te favoriti, anche
fra i meno intraprendenti
(chissà se sarebbero sbocciati…)
Ma noi ti incontreremo ancora
nelle orchestrine dei grandi alberghi
o delle navi da crociera, che ne so,
balleremo in Piazza San Marco
con violino, piano e basso
dei Caffè Florian e Quadri,
pur di ritrovarti, gentile come un fiore
donato, discreto come un amico
che sa ascoltare, ballo lento,
dissolto nel tempo…

(...suona un pianoforte nella sera,
“Are you lonesome tonight” di Elvis,
vieni, è la nostra e che i ragazzi
sorridano pure…)


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