Il fantasma poeta e altre storie

di

Tony Paratore


Tony Paratore - Il fantasma poeta e altre storie
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 70 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6037-9191

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

In copertina e all’interno fotografie di Tony Paratore


Un armonico insieme di suoni e voci.
Le parole di Tony Paratore penetrano nell’anima con semplicità, sgorgano dirette dal cuore, creando delle immagini, delle musiche fino ad ora inascoltate, melodie ancora più preziose perché chiaramente sincere.
Racconti e parole sempre alla ricerca del senso della vita che non può prescindere da Dio, da tutto ciò che è musica, poesia e amicizia.
“La musica scorreva: a volte come un piccolo ruscello, altre come un torrente gonfio dalle piogge invernali. Le note scivolavano, salivano, scendevano, si aggrappavano le une con le altre. Si scambiavano sorrisi, abbracci, si inseguivano, poi si fermavano e, come un signore al bar con il suo caffè, gustavano quella pausa per poi ripartire più brillanti di prima…”
Quando semplicità e bellezza si fondono, ecco che ci si incammina nella strada della vita, dove c’è la certezza di trovare come traguardo Dio.

Daniela Lampasona e Carlo Bramanti


Il fantasma poeta e altre storie


Alla pace fra tutti e per tutti.
Ai miei genitori, e a mia sorella.
A mia moglie e ai nostri figli.
A Carlo, Daniela e Francesco, che mi hanno
ispirato alla scrittura.


Una vecchia casa, simile ad un piccolo castello, costruita anni fa chissà da chi e per quale motivo, era stata ristrutturata da poco ed adibita a bed and breakfast. Stava su uno dei due vulcani spenti da millenni che insieme formavano l’isola. L’altro vulcano, il più alto, era pieno di felci.
Le dieci stanze erano molto comode con bagno interno, e la vista splendida. Da alcune finestre potevi scorgere un piccolo paesino e, lontano in mare, due isole. Una delle quali somigliava molto ad un vulcano. Dal lato opposto in basso, costruite proprio nel cono del vulcano spento, si vedevano poche case e una piccola chiesa, in lontananza altre due isole, una dietro l’altra. Poco vicino al bed and breakfast c’era un belvedere, da cui tanti turisti, puntualmente d’estate, ammiravano il tramonto con quella sensazione di immensità che la vista del mare aperto suggeriva al cuore.
Quando la casa era ancora in rovina, il fantasma girava per le stanze sporche e vuote in preda ad una forte solitudine. Ma usciva, usciva spesso a trovare le sue… “vittime”, quasi sempre donne. A volte il destinatario era un uomo, ma questo era sempre un diverso, un artista. Adesso che la casa era pronta, aspettava qualche turista. Ma a marzo i turisti ancora scarseggiavano.
Verso la fine di marzo scese fino al piccolo paese sotto il belvedere. Vagava senza meta tra quelle poche case cercando qualcuno da spaventare. In verità non ne aveva molta voglia; e quando ci provava con i bambini, senza convinzione, questi ridevano e gli andavano incontro tirandogli qualche giocattolo. Avevano visto fin troppi film e troppi cartoni in quella scatola che chiamavano TV, in cui le immagini si susseguivano ad un ritmo vertiginoso. Anche lui, il fantasma, spesso aveva timore di quelle immagini, ed evitava i posti con quelle orrende scatole. Meno male, si diceva, che al bed and breakfast non c’erano TV.
La verità era che lui non era affatto un fantasma che spaventava la gente. Certo, in principio ci aveva provato, ma non ci trovava nulla di divertente. Per anni il Consiglio dei Padri Fantasmi era stato paziente con lui, inviandolo con missioni di spavento nei castelli della Scozia. Ma invece di fare il suo “lavoro” frequentava le biblioteche leggendo libri.
Alcuni suoi “colleghi” lo deridevano. Altri lo evitavano completamente. Uno solo lo ammirava segretamente, non avendo il coraggio di sfidare il Consiglio. Alla fine, negli anni Cinquanta, avendo il Consiglio dei Padri Fantasmi esaurito la pazienza, era stato esiliato per sempre dai castelli della Scozia. Quale fu la goccia che fece traboccare il vaso? Semplice: aveva scritto alcune poesie. Non delle poesie qualsiasi, ma poesie d’amore.
Un sera, nell’estate del 1951, aveva ricevuto il suo ennesimo incarico ufficiale: spaventare la nipote di un musicista. Niente di più semplice. Ma quando a mezzanotte la vide gli parve così bella coi suoi lunghi capelli castani che si bloccò, e la guardò per un’ora mentre lei dormiva. Era bastato questo a fare uscire dalla sua mente di fantasma una poesia che anche Shakespeare avrebbe elogiato.
Dovrei vedere come si comporta, si disse, per scrivere meglio e con onestà. A nulla valeva una bella, ma perfida donna. Così passò una settimana intera a, se posso dirlo, studiarla. Poi, passò ai fatti.
Per un mese intero, una volta a settimana quando la giovane donna tornava in camera sua, puntualmente trovava una poesia sul suo comodino. Di nascosto la guardava, e vedeva un sorriso sulle sue labbra mentre leggeva. Era quasi riuscito a prendere coraggio per mostrasi a lei quando il Consiglio dei Padri Fantasmi si era riunito nuovamente e dopo alcuni giorni aveva emesso la sentenza: esiliato per sempre. Quindi lo avevano materializzato qui, su un’isola di origine vulcanica, da dove non poteva scappare. Era un rinnegato. Certo si sentiva un poco solo senza i suoi simili, ma in fondo questo non era un male, visto che era libero di curare la sua arte. Questa era la cosa che più gli stava a cuore; era parte del suo essere, simile al bisogno di respirare degli esseri viventi.
Numerose ragazze avevano ricevuto le sue splendide poesie, che sapevano di musica. Le parole scritte sulla carta si trasformavano in musica; una musica che accarezzava, cullava dolcemente chi l’ascoltava. Sull’isola girava voce di un “poeta fantasma”, non perché la gente credeva veramente che si trattasse di un fantasma, ma perché era impossibile per loro coglierlo sul fatto compiuto.
Alcuni coraggiosi si erano appostati con fotocamera digitale alla mano in attesa paziente. Ma, stranamente, si erano sempre addormentati prima dell’evento; e, al risveglio, ecco lì la poesia: sul letto, sul comodino o accanto ai vestiti della donna insieme a dei petali di rosa. Altri, uomini scorretti, si erano presi il merito di alcune poesie nella speranza di assicurarsi l’affetto della diretta interessata, ma erano stati quasi subito scoperti, vista la loro limitata scrittura poetica.

Una mattina di maggio mentre vagava per le stanze ancora vuote del bed and breakfast, sentì delle voci al pian terreno. Una era la voce del padrone di casa, l’altra la voce di una donna. Forse era un’occasione buona per la prossima poesia, si disse. In un lampo fu giù nella sala d’entrata.
La donna gli dava le spalle mentre parlava con il proprietario. Desiderava una stanza con vista sul tramonto. “Certo”, le stava dicendo il proprietario con cortesia, “la stanza numero 7 è tutta sua”, e le passò la chiave. Ringraziandolo, lei si girò verso la scala e quindi verso il fantasma che appena la vide in faccia, permettetemi di dirlo, ammutolì. La somiglianza con la donna scozzese a cui aveva scritto le sue prime poesie era parecchio sorprendente. Era come se l’avesse vista solo ieri, ed ora era qui. Ciò non era possibile considerando che erano passati cinquantanove anni da quella notte.
Subito fu vicino al banco a leggere il registro dove erano segnati tutti i dati dei clienti. Vi lesse il nome e la provenienza: Helen da Dublino, Irlanda. Lasciatemi affermare che un brivido lo attraversò, tutto dal capo ai piedi e viceversa; anche questo evento è dubbio per un fantasma. Certo, si disse contento, poteva essere senza problema di discendenza scozzese. Lesse la data di nascita: 9, marzo, 1980. Fece qualche rapido calcolo. Non esistevano dubbi per la sua mente, non poteva che essere la nipote di quella donna di cui non aveva conosciuto il nome.
Tutto questo lo fece con rapidità straordinaria, poi si girò a guardare lei che saliva le scale. Portava dei pantaloni lunghi e neri, un poco larghi, una camicia bianca a maniche corte, e ai piedi dei sandali scuri in pelle. A tracolla aveva una piccola borsa in pelle, mentre con la mano sinistra portava una valigia nera con le ruote.
Era incuriosito. Rapido si intrufolò nella valigia per scoprirne il contenuto. Vestiti, profumo, matite, penne, un blocco notes ed un computer portatile. La seguì fin dentro la stanza, e la guardò mentre si sdraiava sul letto. Sentì la stanchezza di lei. Passarono pochi minuti, poi la donna si alzò, aprì la valigia, tirò fuori il computer e dirigendosi verso il tavolino ve lo appoggiò e lo accese. Il tavolino era accanto alla finestra da cui lei poteva vedere il paesino in basso e le due isole lontane in quel mare splendido, in quella immensità che sempre le dava un senso di benessere e di appartenenza all’universo. Il fantasma notò questo sentimento.
Lasciata l’incantevole vista lei si sedette di fronte al computer e si preparò a scorrere alcune cartelle. Lui le era vicino e ne leggeva i nomi. Una in particolare lo colpì: Poems by Helen. Anche lei scriveva poesie! Avrebbe voluto leggerle, ma sullo schermo apparve solo una pagina bianca che significava un nuovo documento.
La guardò.
Scriveva. Si alzava e girava per la stanza. A volte si fermava alla finestra, a volte si sedeva sul letto o per terra, poi tornava al computer e scriveva qualche altra parola.
La guardò.
Non era bella sempre, si disse, ma aveva una bellezza che si scopre a poco a poco e negli anni fa incantare sempre di più. Si legò i lunghi capelli castani, e questo, se possibile, donò un altro brivido al nostro poeta fantasma. Uno strano desiderio lo attraversò: in quel momento avrebbe voluto essere in carne ed ossa per poter toccare i suoi lunghi capelli. Si rattristò e uscito dalla stanza girò in lungo e in largo l’isola in preda ad una emozione indefinibile, un qualcosa di impossibile per un fantasma: l’essere vivo.

Ma certo! Che stupido. Immobile in cima al più alto dei due vulcani spenti lasciò da parte la mestizia. Le avrebbe scritto le sue poesie, una al giorno. Si sarebbe manifestato a lei attraverso le sue parole. E questa volta le parole avevano scopo d’essere più stupefacenti che mai. Questo era il piano: mentre lei dormiva avrebbe usato il suo blocco notes e la sua matita per trasferire su carta quello che già aveva dentro.

La mattina dopo la donna, cioè Helen, la chiamerò per nome d’ora in poi, trovò il suo blocco notes aperto sul comodino. Sulla pagina una poesia in lingua inglese. Non ne riconosceva la mano. Non era la sua e lei non era certamente sonnambula. Non si era mai detto di una persona che camminando nel sonno scrivesse poesie.
La lesse senza fretta. Era dedicata a lei, e le sembrava di sentire una musica mentre leggeva quelle parole. Sorrise, non poteva farne a meno, ma si spaventò anche. Le uniche altre persone nel bed and breakfast erano il proprietario con la moglie, e l’unica chiave della sua camera l’aveva lei. Difficilmente lo sconosciuto sarebbe potuto entrare dalle finestre. Il proprietario parlava poco l’inglese, così come Helen parlava l’italiano, e quindi non avrebbe potuto scrivere una poesia talmente scorrevole e bella.
Helen era turbata. Erano passati tre giorni. Tutte le mattine aveva trovato una nuova poesia scritta nel suo blocco notes. Ogni poesia suonava note armoniose, diceva di lei, ma anche le faceva conoscere l’animo dello scrittore. Quest’animo le piaceva e la interessava.
Si informò presso il proprietario e dalla moglie, che masticava l’inglese leggermente meglio del marito, apprese la storiella del poeta fantasma.
Ogni giorno Helen scendeva al mare in auto per un bagno e un poco di sole. Allora il fantasma la seguiva e annotava in sé tutte le parole che avrebbe potuto usare per la prossima poesia. In spiaggia quando un uomo la guardava, provava gelosia, e questo era davvero anomalo per un fantasma morto da oltre cento anni. Meno male si disse, come si ripeteva spesso, che la sua bellezza non appariva subito, ma era da scoprire, altrimenti chissà quanti e come l’avrebbero guardata. In ogni caso, lui, come fantasma, aveva di sicuro molti modi per proteggerla.
I suoi colleghi avrebbero detto, come sicuro, mano sul fuoco, che era totalmente impossibile per un fantasma innamorarsi di una donna viva. Dopo una settimana, però, per lui questa cosa impossibile non esisteva più.

Helen aveva trascritto con cura tutte le sue poesie sul suo portatile, inserendole in una cartella chiamata “Poems by the Ghost writer”: poesie dello scrittore fantasma. Questo lo faceva sorridere. Era anche evidente che lei aspettava con ansia una nuova poesia, infatti aveva prolungato il suo soggiorno di un’altra settimana.
Nella settimana seguente Helen era scesa solo una volta in spiaggia. La mattina, consumata una discreta colazione, restava chiusa in camera a rileggere le poesie del suo ammiratore sconosciuto cercando di scoprire qualcosa in più da quelle parole, dopo pranzo scriveva nel suo portatile e più tardi, verso le cinque del pomeriggio, usciva in auto e passando da un paesino all’altro chiedeva informazioni sul misterioso poeta fantasma. Aveva così incontrato diverse donne, anche esse bersaglio delle poesie. Ma nulla sapevano loro di colui che le aveva scritte. Intanto il fantasma era sempre vicino a lei ed aveva imparato a conoscerla.
Erano passati quattordici giorni dal suo arrivo. Helen aveva ora in mano 13 poesie dell’ignoto poeta. Si alzò molto presto, come sempre, per vedere l’alba. Una nuova e fresca poesia stava sul comodino, come ogni giorno, scritta su una pagina del suo blocco notes. La lesse. Erano le sei circa. Lui era lì, accanto alla finestra, che la guardava indeciso sul da farsi. Lei lesse la poesia più volte. Il suo volto sembrava un poco triste. Visto il sole sorgere tra due isole, si sedette al tavolino e iniziò a scrivere nel suo portatile.
Scrisse una E-Mail.
Traduco qui dall’inglese:

Domenica, 24 maggio, 2009
Ciao mamma. Sono ancora qui. Domani dovrò ripartire. Ho il mio lavoro a Dublino che aspetta. Purtroppo non sono riuscita a scoprire nulla sulla persona che ogni giorno lascia una poesia sul comodino della mia camera. Come farà a prendere il mio blocco notes, scrivere di sana pianta una poesia, e riporre il tutto senza svegliarmi? Che sia davvero un fantasma? Indagando ho incontrato cinque donne di età diversa: anche loro hanno ricevuto poesie, ma solo una a testa. Belle senz’altro, ma quelle in mio possesso hanno una nota in più. Una musica nuova, mai ascoltata. Davvero questa persona è innamorata di me? Ho letto e riletto le sue poesie, e sento che se potessi incontrarlo forse anche io mi innamorerei di lui… ma perché non si mostra a me?
Un abbraccio, Helen.

Il fantasma aveva letto mentre lei scriveva ed ora era tutto un brivido. Quel “…forse anche io mi innamorerei di lui…” gli girava dentro. Se solo potessi seguirla, si disse. Ma sono bloccato qui per sempre come deliberato da quell’ignorante Consiglio dei Padri Fantasmi. Era triste. Non vi era nulla che potesse fare. Nessuna idea che potesse salvarlo dalla solitudine. Forse… ma no… l’avrebbe spaventata certamente se si fosse mostrato. Ma era determinato, deciso, risoluto. Era l’unica cosa che potesse fare e l’avrebbe fatto a… mezzanotte e mezza.

Quasi mezzanotte e mezza.
Lei non dormiva, ma si girava ora da una parte, poi da un’altra. Il fantasma ormai era deciso e quindi si mostrò. Apparve seduto al tavolino, ed era vestito, così come sempre, così come quando nel 1905 aveva avuto quel brutto incidente ed era morto cadendo, mentre era alla guida della carrozza del suo padrone. Purtroppo l’asse posteriore si era spezzato. Avrebbe dovuto controllarlo, ma distratto com’era nella mente da alcuni versi, se ne era scordato. Anche il suo padrone era morto e per questo lui era divenuto un fantasma condannato a permanere sulla Terra.
Si girò e con uno sforzo della mente accese il portatile di lei. Poi si alzò e fece alcuni passi verso il letto. Aveva tutto l’aspetto di un effetto speciale usato in tanti film. I bambini non si sarebbero certo spaventati da quella visione. Helen sentì il bip del portatile e scostando il lenzuolo si alzò lentamente. Intimorita, non guardò subito verso il computer, ma guardò verso il comodino e vide la radiosveglia che segnava la mezzanotte e mezza.
Poi si girò. Se non si spaventò e non gridò quando vide quella figura umana evanescente, frutto di una caduta mortale, fu perché si era abituata all’idea di un poeta fantasma da circa due settimane, e anche perché lo vedeva attraverso le sue poesie. Pensò dapprima ad uno scherzo, ma restò sorpresa quando senti chiaramente l’amore di lui per lei; era come se le poesie che aveva letto giorno dopo giorno avessero preso forma. Si alzò, respirò profondamente e si mosse, non senza incertezze, verso il fantasma, il poeta.
Non credo esista spiegazione logica per quello che accadde in seguito. Era chiaro che sentivano il loro amore reciproco, la loro gioia coadiuvata dalla poesia sincera. Fu forse per questo che l’aspetto di lui, piano piano mutò, perse trasparenza e divenne tangibile, percepibile, corporeo, vivo. L’aspetto di un uomo sui trenta anni vestito d’abiti antichi, ancora laceri e infangati come in quel fatale giorno in cui cadde dalla carrozza.
Fermo! Un momento, direte voi, lettori: questo è davvero fuori portata, inverosimile, strano. Che fantasia audace, che immaginazione, che inventiva romantica. Niente affatto dico io. Forse fu Dio e l’amore stesso, che supera le cose impossibili, a volerlo. Di sicuro fu una cosa senza precedenti. E ancora… se voi foste stati lì come me, la mattina dopo, la gioia avrebbe invaso anche voi vedendo Helen e l’ex fantasma venire fuori dalla porta del bed and breakfast mano nella mano, felici.

Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine