La bambola di vetro

di

Teresa Di Gaetano


Teresa Di Gaetano - La bambola di vetro
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 110 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6037-295-6

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In copertina Gisella Pipitone, Mannequin, 1968, tecnica mista su cartone

Presentazione dell’opera

In un’intervista rilasciata a La Repubblica delle Donne, lo scrittore olandese Karel Van Loon ha affermato: “Il fatto è che non sappiamo niente della persona che amiamo, ma tendiamo a ricordare le storie passate come le migliori della nostra vita”.
Una buona chiave di lettura per questo romanzo fantasy.
Sembra di essere in un microcosmo delicato e sottile come una ragnatela. Dove i luoghi descritti sono ovattati in una irreale atmosfera.
Tutto ha inizio con un viaggio per cercare quel qualcosa che non si possiede. Un giovane ricerca avventure, ma diventa una pedina della scacchiera che farà muovere l’intrigato gioco della vita di un anziano scrittore.
I loro dialoghi nel presente sono una scusa per raccontare la storia del passato. E, di volta in volta, ramificazioni del passato di ciascun personaggio.
Un punto di non ritorno, verso cui tenere fisso lo sguardo per scoprire il dolore degli uomini di fronte ad eventi più grandi di loro…


La bambola di vetro


Al tempo antico regnava un amore
che non chiedeva finzioni di parole:
era come un girotondo
intorno al mondo

Clément Marot


A mia madre


La bambola di vetro


PRIMA PARTE

1

– Sto a guardare il cielo, mentre la vita caotica riprende a pulsare. I passi della gente che attraversa le strade; il traffico, lento, che imbottiglia le città in immense nuvole di gas grigio. Palazzi con i vetri delle finestre spalancate brillano alla luce del sole. Posso percepirlo. È su di me. Racconta del mondo che si sveglia alla luce di questa nuova giornata, – pensò Reinhold Kyd, un ragazzo di vent’anni, seduto sulla panchina di legno alla stazione di Walbank. – Un uomo che sogna è libero. Ed io l’ho sempre fatto. Ho bramato vivere avventure. Ora sono in un piano obliquo. Metà dentro, metà fuori. Attraversare la vita, superarla, e poi seguire i segnali. Senza confondersi in essi. Ma facendovi parte. Nel silenzio. Nel buio. Darmi un’altra opportunità vuol dire viaggiare nella luce. Scoprirne il colore. Rimanere sospeso. Cosa può dare riverbero alle immagini che attendevo di vedere sullo schermo della mia esistenza?
Si volse. Qualcuno lo stava fissando.
– Sono Samantha. E tu? – disse la ragazzina.
– Reinhold. Viaggio – rispose con semplicità, – cerco avventure. Qual è il problema?
Un treno, lentamente, si mosse.
– Quei ragazzi mi inseguono, – ed indicò dei giovani dall’altra parte.
Prese il sottopassaggio e, in pochi istanti, fu davanti a loro. Poco dopo, ritornato da lei, tutto sorridente e in tono canzonatorio disse:
– Guarda, quei due mi inseguono, – e si mise a ridere. – Quei giovani, mia cara Samantha, sono i tuoi fratelli e vogliono soltanto che ritorni a casa.
– Non posso.
Estrasse dallo zainetto un libro dalla copertina logora. Lo porse a Reinhold e, con voce sommessa, disse:
– Era nella soffitta della casa di campagna dei miei nonni. Narra la storia di persone che vivono in un castello avvolto da nebbie fitte, su di una altura, nei pressi di Wachtershauser, villaggio a mezz’ora da Walbank. Attorniato da montagne chiamate Le solitudini dell’universo; vi abitano delle fanciulle che le custodiscono. Il padrone del castello è il conte di Bergeijk…
Rise e, alzandosi, sbottò:
– Samantha, credi ancora alle… favole?
Dall’altoparlante una voce rauca e metallica annunciò la partenza di un treno. I fratelli di Samantha si avvicinarono. Dopo averli salutati ed essere salito sul treno, vide, affacciandosi, che il capostazione calava la palettina e fischiava a lungo.
Gli sportelli furono chiusi.
– Ecco come far brillare i sogni, – pensò – guardando la vita attraverso un vetro colorato.
Contemplava il paesaggio dal finestrino aperto. Il vento faceva ondeggiare le tendine grigie, provocando un rumore sordo. Seduta di fronte a lui una giapponese. Lo sbattere delle tendine gli diede fastidio.
Non chiudere, per piacere. C‘è uno sgradevole odore di fumo.
Fece quanto chiesto, sorridendo: provava un’innata simpatia per lei.
– Che cosa leggi? – le chiese indicando il libro che teneva in mano.
– Il maestro della betulla di Marisa Volpi. È bello. Prendi. Te lo regalo.
– Oh! No… mi piacciano di più i fumetti. Hai mai sentito parlare di Rieko?, è il mio preferito!
– Mi sembra… che la storia riguardi un ragazzo rapito da una tempesta il quale tenta di far ritorno in Giappone. Durante il viaggio incontra persone strane. Ebbene… è normale che sappia la storia: sono io la “creatrice” di Rieko.
– Tu – balbettò incredulo – sei Shikoku Misaki?
– Sono contenta, ragazzo, che ti piaccia Rieko. Dimmi un po’: come ti chiami?
– Reinhold. Sono andato a Walbank in cerca di avventure.
– Sai, mi stai ispirando un nuovo fumetto… potrei chiamarlo Rey. Aspetta…
La fumettista estrasse da un bauletto, posto vicino alle valigie, block notes e matita; mentre la osservava in silenzio, il paesaggio scorreva monotono: un immenso prato verde, qualche albero sparso qua e là.
Poi disse, mostrandogli il disegno:
– Guarda, questo potrebbe essere Rey, il mio nuovo personaggio.
– Sarebbe bello! – ammise speranzoso. – Dove scendi?
– Wachtershauser: trascorro le vacanze con la mia famiglia. A settembre ritornerò a Tokyo.
Il nome del villaggio gli fece ricordare le parole di Samantha e la storia del castello. Shikoku gli porse il libro, che egli mise dentro lo zaino.
– Stazione di Wachtershauser… – annunziò la voce rauca e metallica dall’altoparlante, quando il treno fu fermo.
La seguì con la coda dell’occhio. Dal finestrino la vide abbracciare il marito e i figli e, poi, sparire nel sottopassaggio.
Gli sembrava che il battito del cuore si fondesse con il fischio della partenza. Prese lo zaino. Sorrise: era felice di essere sceso. Sul marciapiede, vide i vagoni allontanarsi, lasciare il binario vuoto.


2

Era già sera quando, dopo aver camminato un bel po’, giunse in aperta campagna. Si immerse nel mare giallo di spighe. Ma, ad un tratto, fu a terra: un grosso cane peloso gli era saltato addosso e ringhiava. Cercò di calmarlo, ammansendolo, invano; poco dopo una torcia gli illuminò il volto.
– Cosa c‘è? – udì provenire dal nulla una voce maschile. – Oh!
Il cane, mugolando, si accucciò ai piedi dell’uomo. Reinhold non lo poteva vedere, accecato com’era dalla luce.
– Chi sei? – gli chiese.
– Mi chiamo Reinhold, – rispose alzandosi.
Voleva vedere in faccia il suo interlocutore, e si discostò di qualche passo. Ma c’era troppo buio. Dalla voce rauca dedusse che era anziano.
– Sono Thomas Seward. Per gli amici Thom. E questo, – continuò indicando la bestiola e illuminandola – è Jolly, il mio cane, un bobtail. Dimmi Rey, se non hai un posto dove dormire, ti ospiterò a casa mia fin quando non troverai una sistemazione adeguata.
Lo seguì e, in breve, si ritrovarono di fronte ad una sorta di granaio. Thomas spinse la malandata porta di legno.
Li accolse una grande sala: un camino, un tavolo di legno, quattro sedie, la libreria, sulle pareti quadri; un vecchio fucile giaceva in un angolo.
Si volse verso l’interlocutore. Lo vide allontanarsi, forse con l’intento di preparagli qualcosa da mangiare. Era, comunque, come aveva intuito: un anziano signore.
Rimase solo nella stanza. Il cane, dopo aver grattato il pavimento e fatto un giro su se stesso, si era disteso a terra.
Un brivido gli percorse la schiena. Gli sembrava di non essere entrato per la prima volta lì. E inoltre si sentiva fissato. Ma di chi era quell’osservare insistente? Forse della fanciulla dai capelli biondi, bella ed irreale come una bambola, raffigurata su di un dipinto sopra il camino.
Thomas, rientrato nella stanza, gli porse subito un piatto di zuppa.
– Chi è? – domandò indicando il quadro.
– La contessina Virginia di Bergeijk.
Mangiava tenendo gli occhi bassi: provava un po’ timore: quello uomo sconosciuto era insolitamente ospitale. Non appena ebbe terminato, Thomas gli chiese come mai era venuto a Wachtershauser. Ed egli rispose secco, sempre senza guardarlo, che cercava avventure.
Il vecchio sorrise e ribatté:
– Perché non leggi?
– Preferisco quelle reali, – ammise sfuggendo ancora lo sguardo. – A Walbank ho incontrato una ragazzina. Mi ha detto che qui c‘è un castello. Lo voleva cercare…
– Ed è vero – lo interruppe, alzandosi in piedi per sparecchiare. – Lo ha, forse, letto in un libro?
Reinhold tacque alcuni istanti, perché stava per dire qualcosa che gli sembrava assurdo poter avere pensato. Ma poi gettò lì la cosa, ritenendola, dopotutto, infondata:
– Non l’avrà scritto mica lei?
– Certo! Si intitola Stelle di vetro. Del resto Latakìa lo aveva predetto: solo una persona leggerà la tua storia ed è proprio per quella che devi scrivere. E… si è avverato. Adesso seguimi, ti condurrò nella tua stanza.
Salirono le scale di legno. In breve furono al piano superiore:
– Puoi dormire qui. Buona notte, – disse congedandosi da lui.
Gettatosi sul letto, prese sonno. Al suo risveglio non si ricordava dove era. Un raggio di luce filtrava dalle imposte rischiarando l’ambiente.
Lì disteso, un po’ smarrito, osservò la semplicità della stanza.
Il tavolo e la sedia erano in fondo, e così anche una pila di libri. Su di una parete un quadro e sotto, ammonticchiati, scatoloni,
l’armadio e uno specchio che penzolava storto. Attigui al letto, una sedia sgangherata, il comodino e una lampada.
Ricordò Samantha, la fumettista incontrata in treno, Thomas Seward… il cane nell’angolo della stanza, vicino al fucile…
L’aria era irrespirabile. Camminando a tentoni verso la luce, giunse alla finestra e si sdraiò a terra, in modo che ferisse gli occhi. Li chiuse.
– Il quadro, Virginia… sembra… la ragazzina conosciuta alla stazione di Walbank…
La similitudine lo fece ridere, mentre rivoli di sudore gli rigavano il volto, come lacrime.
Ripensò alla scuola. Il grande portone scorticato… l’atrio, le aule: tutto giaceva immerso nel silenzio e nella calura estiva. Solo in un angolo dell’atrio qualcosa brillava: una goccia. Sì: la poteva vedere: non riusciva a staccarsi dal rubinetto. Ma era proprio quella l’unica vita?
– Se apro le imposte, forse…
Appoggiò la mano sullo scuro, indeciso sul da farsi.
Avvertì, di nuovo, la sensazione di essere osservato. Ma non vide nessuno. Solo lo stridere insistente delle cicale rompeva il silenzio.
Da quanto tempo viaggiava alla ricerca di avventure? Il giorno che era andato via di casa, pioveva. Il nonno assopito sul divano della sala da pranzo, la pioggia batteva incessante sui vetri della finestra… il giornale aperto sulle ginocchia. Si volse verso la porta rimanendo in attesa… il giornale scivolò a terra, poté udire il fruscio nella stanza.


3

Raccolse un libro da terra per osservare la vecchia e sdrucita copertina rossa. Doveva essere lì da molto tempo, giacché sul pavimento era rimasta una stampa di bianca polvere.
La prima pagina recava la seguente scritta:

A Virginia, contessina di Bergeijk

Lesse ancora, voltando pagina:

Virginia cara,
bq. forse starai pensando che sono il solito eccentrico: è vero. Chiedo perdono per il male compiuto: era necessario. Adoro il tuo profumo e, se un giorno me lo permetterai, lo legherò ad una stella e la chiamerò“Virginia”, proprio come te. Oh! Non ti crucciar! Sono consapevole che vuoi essere unica, ma è impossibile… perché sei egoista e superba, bella, sì, come una bambola, ma crudele alla stessa stregua di come il Destino è stato nei miei confronti: la Morte ha rapito Cecilia! Provo piacere nel vederti raccapricciata. Poiché non hai mai avuto chi ti ha amato, allora sono stato magnanimo ed ho deciso di concedertelo… è un giovane. Vi amerete, solo che non puoi parlare. Ti amerà lo stesso! Presto lascerò questa terra. Quando leggerai questa mia, sarò già a danzare con Cecilia sulle stelle ed in particolare su di una che si chiama “Virginia”...

Gschnitzer Kott

Continuò a leggere:

I fatti narrati sono di mia invenzione. L’unica verità, Virginia, la protagonista, ora continua a vivere, ma in modo diverso. È una bambola di vetro. Una bellissima fanciulla, figlia del conte di Bergeijk. Trascorreva felice la sua giov…

Lo chiuse di colpo scetticamente. Aprì la porta, urtando la lampada che, per alcuni istanti, oscillò prima di trovare l’equilibrio. Scese, in fretta, i gradini.
– Chi è Gschnitzer Kott? – chiese mostrando il libro.
– Uhm… il barone di Horgan… personalità complessa, – disse Thomas tirando qualche boccata di fumo dalla pipa – non si sa che fine abbia fatto. È scomparso nel nulla!
Reinhold aggiunse incalzante:
– Nella prefazione dice che l’ha scritto dedicandolo a Virginia, contessina di Bergeijk.
Tirò una boccata di fumo, mentre Jolly sbadigliava pigramente.
– In realtà, come puoi vedere tu stesso, la prefazione è scritta a mano ed anche la dedica. Osserva la grafia: ordinata, chiara: è sempre uguale. Un uomo abile nel dominare i propri sentimenti! Osserva, inoltre, la data in alto, – continuò calmo, tra una boccata e l’altra di fumo. – È cancellata, non dal tempo, ma con le dita. Mi domando perché il barone di Horgan l’abbia prima annotata e, poi, si sia, come dire, pentito, pensando di cancellarla.
Aveva ragione: la data era occultata da una macchia.
– Come ti dicevo, – aggiunse – se sfogli le pagine, vedrai che solo il nome della protagonista è stato sostituito con quello della contessina.
Si accorse che il nome “Virginia” era stato aggiunto da una grafia chiara ed ordinata: la stessa della prefazione.
– In effetti, il barone di Horgan aveva una particolare passione per la letteratura, – continuò – possiedo libri che appartenevano alla sua copiosa libreria.
Jolly, sollevato il muso soltanto, seguì i movimenti del padrone, mentre prendeva un piccolo libro dallo scaffale e lo porgeva al suo interlocutore.
– Osserva la pagina, in alto e a destra, in particolare le iniziali: “G. K. Barone di H.”.“G.” sta per Gschnitzer, “K.” Kott, “Barone di H.” barone di Horgan. Ma guarda pure i caratteri di queste iniziali e confrontali con quelli del libro che hai trovato. Sono diseguali. Ebbene, ciò fa presupporre tre cose: o questa prefazione non è stata scritta da lui, o questi libri erano di qualcun altro che si dilettava, forse, ad annotarne il nome, o, ancora, chi li regalava al barone li firmava, affinché appartenessero a lui. C‘è da dire una cosa al riguardo: comparando le scritture si nota che i caratteri di queste iniziali cercano di imitare quelli della prefazione.
– E allora? – domandò, guardandolo incuriosito.
Thomas posò la pipa sul tavolo. Estrasse dal taschino della salopette un pacchetto. Con estrema voluttà mise in bocca una piccola massa di tabacco.
– Sono irreali… in ogni caso sono giunto ad una conclusione…
– Crede, dunque, che la stessa persona abbia scritto la prefazione e le iniziali e, nello stesso tempo, abbia cercato di far sembrare differenti le scritture? Ma qual è il motivo?
Thomas, rispose, masticando:
– Se è come penso, suppongo che l’autore di questa calligrafia voleva nascondere la sua identità, sicuramente…
– La sua identità, – ripeté sottovoce Reinhold, come a sé stesso.
– E perché e da chi voleva nasconderla? Doveva avere una grande padronanza dei sentimenti… – continuò nei suoi ragionamenti l’anziano scrittore. – Osserva, Rey, infine. Questo libro è l’unico che riporta una così dettagliata e lucida dichiarazione di intenti. Nella raccolta di cento poesie, invece, ci sono solo le iniziali e una breve annotazione.
Prese il libro per sfogliarlo.
– Nota, – aggiunse – lì è alle prime pagine, qui alla fine, quasi volesse che nessuno ne fosse a conoscenza.
Lesse le poche righe scritte sulla copertina, in basso e a sinistra:

“era tutto quello che avevo pensato nella mia mente”

– Un mistero. È una raccolta di cento poesie… come si può scoprire il suo pensiero? La stessa grafia si ritrova in questa collana di cui fa parte il piccolo libro di poesie. In tutto sono dodici, ognuno recante una breve annotazione sulla copertina finale. Tranne l’ultimo, in cui la scritta è in basso a destra, e notevolmente rimpicciolita.
In Reinhold la sensazione di disagio, anziché diminuire, aumentava: il quadro della contessina rendeva quella storia sinistra e inquietante.
– Che strano, – pensò, appoggiando i gomiti sul tavolo ed osservando la pipa abbandonata e spenta, vicino al portacenere di vetro sporco – è come se, in un certo qual senso, avessi già vissuto questa storia. Tutto è nuovo e, nello stesso tempo, antico nella memoria.
Obbiettò, quindi, senza crederci:
– Non sta fantasticando su un po’ troppo?
– Il barone di Horgan è realmente vissuto. Nascondeva un segreto, ne sono sicuro, e voglio scoprirlo.
– Non credo a queste favole! – ebbe il coraggio di dirgli.
– E allora perché mi hai chiesto chi era Gschnitzer Kott?
Tacque per un istante, poi rispose:
– Ho letto la prefazione, e mi sembrava che fosse presente… vicino a me. Le sue parole sono così umane: fanno trasparire dolore, sgomento e angoscia.

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