Racconto premiato di Stefano Colnaghi


Con questo racconto è risultato 1° classificato – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011


Questa la motivazione della Giuria: «Un libro ed il destino di un uomo. Il racconto è ammantato da un’atmosfera di sortilegio esistenziale. Tutto è avvolto dal profumo della vita e sottomesso all’artiglio del destino. Certamente interessante la capacità narrativa che fissa tale rapporto».

Massimo Barile


Avete Pedro Paramo?

Il vento fresco di un inverno fin troppo clemente scendeva lungo il Paseo del Prado e si perdeva verso la stazione di Atocha. Le bancarelle dei librai di strada erano aperte, con il loro carico di volumi introvabili, abbandonati nell’oblio e mai cercati da nessuno. I libri invecchiati senza mai essere stati letti erano sistemati alla meglio sui tavoli e nelle improbabili scaffalature, secondo un disordine eterno, caro ai venditori di letture a prezzi scontati.
La gente che passeggiava in quel pomeriggio diafano di una domenica che cascava svogliata nell’ultimo giorno dell’anno, si ingarbugliava negli gli spazi stretti fra le bancarelle. Il profumo d’umidità che scendeva dal Guadarrama s’aggrappava ai muri e alle piante, e saliva dal marciapiede liberando nell’aria gli odori piacevoli degli inverni della Meseta.
Anche dai libri usciva la fragranza di polvere umida e i librai ne erano impregnati fin dentro l’anima, nei vestiti e nelle punte delle dita, ingiallite come il colore delle pagine dei libri che aspettavano da sempre la fine del mondo sulle loro bancarelle. La gente distratta si divincolava nel labirinto di tavoli e scaffali. Mulinava gli occhi fra i testi, a casaccio, con l’incredibile abilità di non memorizzare nemmeno uno dei titoli o dei nomi degli autori che si trovavano sulle copertine.
Lui, invece, un libro lo stava cercando per davvero. Con gli occhi stretti per mettere meglio a fuoco sfogliava il disordine, nella speranza di trovare quel titolo che gli interessava tanto.
Non li toccava, i libri. Era sempre stato schiavo del pudore di toccare qualsiasi cosa non fosse sua. E non aveva la benché minima idea di come potesse essere quel libro. Però se lo immaginava piccolo, di colore scuro. La copertina sobria. Solo il titolo e il nome dell’autore.
Lo desiderava proprio. Tastò per sicurezza, una volta ancora, dentro la tasca dei calzoni per assicurarsi di avere con sé le monete. Sentì il freddo del metallo. Tastò soltanto, non le estrasse, per la vergogna ancestrale di farsi vedere con dei soldi in mano.
Incrociò il suo sguardo timido con quello monotono del giovane libraio. Aveva gli occhi neri, i capelli corti e una barba insignificante, che tentava, senza troppa fortuna, di nascondere i lineamenti di un ragazzo sovrappeso. Aveva il naso borchiato dai ricordi dell’acne e le labbra fini, quasi completamente nascoste dalla peluria scura.
«Avete Pedro Pàramo, di Juan Rulfo?»
Fece uso del plurale, anche se il libraio era uno solo, perché gli parve più cortese. E perché lo aiutava un poco a vincere la timidezza, germogliata nelle paludi degli insuccessi di una vita intera.
«Credo di sì. Aspetti un momento solo.»
Il ragazzo prese a rovistare nel metro quadro di disordine. Lucas lo capì dagli occhi, il libraio non aveva la minima idea di cosa stesse cercando. Tuttavia sperava che la sorte, per una volta almeno, guardasse verso di lui.
«L’abbiamo finito. Mi dispiace.»
Si spostò alla seconda bancarella. I gestori erano due. Una donna anziana, dalla capigliatura gentile, aiutava una ragazza con i riccioli morbidi. La figlia, forse. Più probabilmente la nipote.
Attese il suo turno, perché il gregge della gente era aumentato e in molti gli erano passati avanti senza riguardo. Si rivolse alla signora anziana, gli metteva meno soggezione.
«Avete Pedro Pàramo, di Juan Rulfo?»
La donna dalla capigliatura precisa tradì un’espressione di difficoltà. Lo sguardo un po’ stordito finse di cascare fra il mucchio di libri, ma in fondo chiedeva con urgenza aiuto alla giovane.
«No, non l’abbiamo.»
Gli occhi che apparivano nella cornice dei riccioli biondi erano gentili e condivisero la delusione che Lucas provò nella sua risposta.
Si spinse allora alla terza bancarella. Anche lì attese il suo turno, e oltre. Perché era timido, e perché i maleducati si trovano ovunque.
Stessa domanda. Stessa risposta.
Passò alla quarta. Poi alla quinta. E così via.
«No, non l’abbiamo. L’abbiamo finito.»
Alcuni, i più sinceri, ammisero di non conoscere quel libro. Tanto meno il suo autore.
Arrivò in fondo al mercatino. Lungo il tragitto la speranza di trovare quello che cercava si affievoliva come il moccio di una candela troppo vecchia.
In tutta la sua vita, la fortuna si era ben guardata di passare dalle sue parti, ed anche stavolta, un normale pomeriggio di un tiepido ultimo dell’anno, non si volle occupare di lui. Nemmeno per fargli trovare un libro in versione economica.
Ormai era arrivato all’ultima bancarella. Oltre c’era solo Plaza Emperador Calos V, e più in là la stazione di Atocha. Il gestore era un uomo piacevole. Fisico solido. Mani benevole, dalle dita lunghe. Baffi color cenere, ben curati. E una berretta nera da pescatore.
«Pedro Pàramo?»
Non usò verbi per accorciare il più possibile il fastidio di una domanda dalla risposta scontata.
«Certo.»
La rassegnazione era tale che non riuscì nemmeno a stupirsi, ma prese miccia una inquietudine inaspettata.
L’uomo con la berretta da pescatore passava velocemente le dita sulle spalle dei libri sistemati al secondo piano dello scaffale. Era il ripiano di quelli da sei euro e cinquanta.
Nello stesso tempo, alla stessa velocità, con la medesima pressione delle dita e uguale sensibilità, Lucas tastava le monete che Padre Miguel Angel gli aveva infilato nella tasca dei calzoni.
Le contò e le ricontò, sempre senza estrarle dalla tasca, mentre l’uomo dal baffo gentile gli mostrò davanti agli occhi il libro. Era nero. Sulla copertina soltanto il titolo e il nome dell’autore.
Il mondo si sarebbe dovuto fermare in quell’istante. Gli avrebbe dovuto concedere il tempo di vincere le sue inquietudini eterne. Ma il tempo non si ferma. Mai.
«Grazie, magari passo domani.»
Fu l’unica frase che gli riuscì di imbastire in quel momento a suo modo sventurato. Era attanagliato dall’incertezza che quella manciata di tondini metallici non fosse sufficiente per raggiungere i sei euro e cinquanta. Aveva vergogna ad estrarli per contarli. Aveva pudore ad usare quei soldi per comprarsi un libro. Padre Miguel Angel glieli aveva messi in tasca perché si comprasse qualcosa da mangiare, oppure un paio di calze nuove. Non certo per un libro. Pensava.
Era gentile Padre Miguel Angel, della parrocchia del Jesus de Medinaceli. Fisico da muratore, faccia da carcerato, dalla mascella spigolosa e con la barba malfatta, ma con due occhi da Santo. Lucas voleva bene a quel giovane frate che si prendeva cura dei barboni. Poteva avere l’età di suo figlio, al massimo un paio d’anni in più.
Con lui si confidava spesso, ma non gli aveva mai parlato della sua famiglia, che aveva abbandonato una notte infausta. Se n’era andato, con i soli vestiti che aveva addosso, per il troppo amore che nutriva per loro. Per non trascinarli nella miseria in cui l’aveva spinto la malasorte. La solita sorte bastarda che lo perseguitava da sempre.
Non gli aveva mai parlato di suo figlio. Quel figlio che non voleva dimenticare, ma che sperava si dimenticasse di lui e non vivesse nella vergogna di avere un padre che si era allontanato per non fargli vedere che era finito come un barbone.
Passava ogni settimana alla parrocchia del Jesus de Medinaceli, nella speranza di trovare in fondo alle sue preghiere un dono, uno qualsiasi, di Padre Miguel Angel. Questi non glielo fece mai mancare, e quando non aveva proprio nulla da dargli, gli donava le sue parole di conforto. Mai banali. Mai scontate. Mai troppe.
Quella domenica mattina di fine anno gli aveva donato un paio di calzoni. Lucas se li era infilati subito. Nell’abbracciarsi per salutarsi, il frate gli aveva lasciato scivolare dentro la tasca una manciata di monete. Lucas aveva avvertito il freddo del metallo, e una volta ancora si era sforzato di non piangere, ingoiando la vergogna di accettare l’elemosina. Perciò, d’un tratto gli parve un peccato capitale spendere quei soldi, dal peso quasi insostenibile, per comprare un libro.
Rimase davanti alla faccia benevola del libraio con la frase detta a mezz’aria, e il libro a qualche palmo da lui, sulla traiettoria sbilenca del suo rifiuto.
«Lo prendo io.»
Un uomo, proprio dietro a Lucas, si propose per l’acquisto, allungando la mano per scambiare il libro con i sei euro e cinquanta.
Gli sguardi dei tre uomini s’incrociarono nel limbo di un attimo strano. Sguardi che non si erano mai incontrati prima. Sguardi differenti. Dio solo sa quanto Lucas avrebbe voluto leggerlo, quel libro.
Armando era venuto a Madrid per trascorrere il capodanno. Lui e sua moglie lasciarono il Paseo del Prado ed entrarono nel Parque del Buen Retiro. Si sedettero sulle panchine vicino al laghetto. C’erano artisti di strada che disegnavano caricature a pagamento, musici che suonavano strumenti improbabili e c’erano ragazzi con i pattini.
Seduto sulla panchina, a favore di sole, Armando cominciò a leggere quel libretto che aveva acquistato quasi per caso. Non ci fosse stato quell’uomo, forse non gli sarebbe nemmeno venuta l’idea di comprarlo.
Rimase su quella panchina per ore, avvinghiato alle pagine, incastrato fra le righe, preso per il collo dalla malinconia dei personaggi.
Al calare del sole non aveva ancora finito, ma non demorse. Seguitò la lettura sotto un lampione, avvicinando il libro fin quasi sotto il mento.
Lucas si diresse verso Puerta del Sol, dove già fervevano le prime avvisaglie della festa. Portava con sé la consapevolezza che un altro giorno era quasi trascorso, che un altro anno stava per terminare, che un inverno così caldo non lo si era mai visto e che in tasca teneva una manciata di monete fredde. Scese lungo Calle de Alcalà, in una traversa trovò l’ultimo negozio aperto. Tolse la ferraglia che giaceva dentro la tasca e la contò, stavolta per davvero. Erano sei euro e cinquanta.
Li spese per una pagnotta con jamon serrano. Dopo tutto era l’ultimo dell’anno e si poteva concedere quel miserabile lusso. Era già buio e un altro anno se ne stava andando. E un altro carico di incertezze e di malinconia già bussava alla porta.
Percorse Calle de Alcalà fin quasi in fondo. Scelse un punto qualsiasi sul marciapiede. Tolse dalla borsa l’eterna striscia di cartone. Gli si inginocchiò sopra, con il capo chino e la mano tesa.
Nel momento in cui gli parve che non passasse nessuno, estrasse la pagnotta e la divorò. Piegato su se stesso, con la testa rivolta in basso, quasi si vergognasse a farsi vedere mentre mangiava.
La mezzanotte era trascorsa da non molto. Un uomo dal cappotto nero e con i guanti in pelle, accompagnato da una donna impellicciata, aveva lasciato Puerta del Sol per fare ritorno al suo albergo.
La frescura della notte gli pizzicava il naso, mentre percorreva Calle de Alcalà. Passò accanto all’uomo accovacciato con la mano tesa. Avvertì un’inusuale fragranza che lo consigliò di fermarsi. Tolse dal portafoglio una banconota e gliela allungò.
Lucas alzò lo sguardo verso l’uomo dal cappotto nero. Gli dedicò i suoi occhi sinceri, il suo sorriso appena accennato, il suo sguardo pieno di limpida dignità.
«Grazie. Buon anno e tanta fortuna a lei e alla signora.»
L’uomo proseguì un paio di passi. Il suo sguardo fu catturato da un luccichio sul marciapiede. Si chinò e raccolse quella che poi era solo una moneta da un centesimo. Comprese subito che quello sarebbe diventato il suo portafortuna per tutta la vita, regalatogli dall’augurio sincero di un barbone, la notte di capodanno.
Soltanto allora si ricordò di quegli occhi grandi.
Tornò indietro e si avvicinò al mendicante dalla testa china e con la mano tesa. Tastò dentro la tasca del cappotto. Estrasse un piccolo libro e glielo appoggiò sul palmo.
Lucas alzò appena gli occhi.
«Pedro Pàramo.»
E pianse.

Stefano Colnaghi



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