Ciao, Prof!

di

Sonia Della Libera


Sonia Della Libera - Ciao, Prof!
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 144 - Euro 12,50
ISBN 978-88-6587-6985

Libro esaurito

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In copertina: illustrazione di Fabio Nardin


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2016


INTRODUZIONE

Devo confessare che prima di leggere il manoscritto mi ero fatto un’idea del tutto diversa di questo libro. Mia nipote me ne aveva parlato al telefono, chiedendomi di cominciare a lavorare a qualche bozzetto per la copertina, che mi sono messo a fare subito, a china, con buona pace della mia famiglia, che si è vista innondare la casa di fogli.

Quando ho finalmente ricevuto il plico, mi sono seduto sul divano e non mi sono rialzato finché non l’ho finito, chiudendo fuori la routine quotidiana, cosa che mi viene facile.

Pagina dopo pagina ho visto prendere vita davanti a me un mondo che non mi aspettavo e ho capito che avevo sbagliato tutto: nei miei bozzetti avevo ritratto i giovani, ma mancava la figura dell’insegnante. In quelli che ho fatto dopo, c’era sempre. Questo libro mi ha fatto capire il ruolo centrale dei docenti, spesso chiamati dalla vita a fare da punto di riferimento per studenti talvolta in aperto conflitto con genitori latitanti o inaffidabili, a loro volta figli di una società liquida che non offre punti fermi e che non hanno saputo cercare un approdo o perseguire un percorso di crescita personale.

Non sapevo che a scuola imparano tutti, piccoli e grandi, in una crescita comune, soprattutto quando si riesce ad impostare un dialogo tra famiglia e scuola, collaborando con mente aperta e fiducia. Raro, ma perché non puntare in alto? Perché non vedere che una scuola è una comunità?

Mentre leggevo mi sono fatto davvero quattro belle risate e alcune scene sono rimaste a farmi compagnia per molto tempo, ma non posso anticiparvi niente. Vi dirò solo una parola: “mummia!”. Capirete.

Spero che questo racconto vi porti dentro il cuore dei protagonisti, a sentire e vibrare con loro, come è accaduto a me. Mi fa sorridere l’idea che mio padre ha fatto la guerra da partigiano e che ora tocca a mia (e sua) nipote mostrare il bene che può unire le persone nelle proprie opere di fantasia, che volentieri illustro con i miei disegni.

Fabio Nardin


Ciao, Prof!


A tutti i miei alunni,
presenti, passati e futuri
e a tutto ciò che abbiamo imparato
insieme


Tra scogli e sassi

Tardo pomeriggio di fine agosto. Qualche nube solitaria si era rubata un piccolo pezzo di cielo, ma si perdeva subito nel vasto orizzonte, delimitato sul fianco sinistro dalla costa istriana.
La baia di Sistiana si era fatta quasi silenziosa dopo il prolungato baccano estivo. Il bar della spiaggia aveva ormai pochi clienti e gran parte delle cabine era stata svuotata. I pochi bagnanti rimasti, impavidi e testardi, erano di casa da anni e si godevano lo scenario in un vociare sommesso, rallegrandosi di essere tra i pochi fortunati a potersi ancora godere quel piccolo paradiso, mentre il resto del mondo era intento a sgobbare altrove. Chissà quanti pomeriggi di sole sarebbero riusciti ancora a rubare prima che si facesse avanti l’autunno?
Per il momento, si poteva ancora fare il bagno e godersi la libertà di volare in quell’acqua blu cobalto, stando però attenti a non incappare in qualche grossa medusa. Dentro quel cielo liquido poeti e sognatori, ma anche comuni mortali, potevano trovare l’immenso, mentre di bracciata in bracciata conquistavano il mare aperto, lasciandosi alle spalle il tran tran della vita. Lì, nel punto di contatto tra terra e cielo, era possibile sentire il pulsare armonioso e leggero della vita, fondendosi con l’acqua, che sapeva abbracciare e sorreggere i nuotatori, permettendo loro di fare scorta di serenità. Un richiamo irresistibile.
Calpestando i sassolini appuntiti che costellavano la spiaggia per guadagnare la riva, nonché lo spazio che si era accaparrata sul suo scoglio preferito, Maite sentì un brivido: a quell’ora la temperatura esterna era ormai bassa, ma non aveva saputo rinunciare ad un ultimo tuffo prima di rientrare a casa. Era affezionata a quel posto poiché le ricordava vagamente la sua Spagna, anche se pubblicamente continuava a sostenere che il Mar Adriatico, rispetto al mare della sua terra, era una bagnarola.

“Varda de sugarte ben, senò te te ciapi qualcosa.”
“Ok, starò attenta. Tu fai un ultimo tuffo?”
“Eh, sì, perché doman non so se rivo vignir. Te vien, doman?”
“No, non so se riesco a venire, domani.”
“Bon, comunque se vedemo ancora, no?”
“Certo, cara.”
“Ciao, allora. Va pian.”

Gaia era una delle ospiti fisse della spiaggia, nonché una nuotatrice esperta. Aveva il fisico di una modella malgrado avesse superato i quaranta e di professione in realtà fosse infermiera, senz’altro per la gioia di molti malati, come le diceva sempre Maite. Entrava in acqua con i suoi immancabili orecchini intarsiati di acqua marina e il suo sorriso inconfondibile, scomparendo all’orizzonte, fluida come un delfino, e tornava a riva dopo un’infinità di tempo con lo sguardo ancor più felice.
La spiaggia non sarebbe stata la stessa, senza di lei. La sua voce acuta si stagliava sul rumore del vento e delle onde, rivelando le sue considerazioni a metà dei bagnanti, che non avendo altro da fare, stavano volentieri in ascolto. Di fatto, quando doveva dire qualcosa di confidenziale, Maite le raccomandava sempre di andarle vicino e di parlare piano, giacché lei, invece, un certo senso del pudore ce l’aveva.

“Si avvicina l’ora fatale…”

Quel pensiero le ronzò in testa per l’ennesima volta, mentre il viso le si contrasse in una smorfia di fastidio misto a rassegnazione. Doveva sbrigarsi. Di asciugare i capelli in tempo ormai non se ne parlava: era tardi. Pazienza. Alla peggio le sarebbe venuto il raffreddore o magari un’influenza, così poteva farsi qualche giorno di malattia in santa pace. Raccolse le sue cose in fretta e si avviò al parcheggio, dove vide da lontano il suo orgoglio: la sua “moto”. In realtà, era uno scooter, ma a lei dei dettagli tecnici poco importava: sapeva soltanto che guidarlo la faceva sentire libera e spensierata. Accese lo scooter soprappensiero e si avviò verso la salita che conduceva alla statale, ascoltando con soddisfazione il ronzio delicato del motore. E fu proprio allora, in quei primi cinquanta metri, che avvenne un imprevedibile fattaccio: una bici spuntò fuori dal nulla e le si parò dinanzi. Maite sterzò in fretta, sibilando un “Madre de Dios”, e in un attimo si ritrovò distesa sull’asfalto.
Blackout. In quei lunghissimi istanti sentì le urla isteriche di una donna che accusava qualcuno di non avere prestato attenzione… Ma con chi ce l’aveva? Certo, non con lei, lei non aveva colpa di nulla… Non osava aprire gli occhi. Di muoversi, neanche a parlarne. Ben presto le voci concitate che sentiva intorno a sé la indussero a socchiudere le palpebre per capire che cosa fosse successo e cosa avesse effettivamente combinato. Toccava.
Ritornando piano piano alla realtà, Maite si ritrovò quasi accerchiata dai numerosi bagnanti e pescatori accorsi sul posto. Dietro a loro emerse un vigile, che la guardò con gentilezza e le chiese se riusciva ad alzarsi. Apparentemen­te, almeno lui non intendeva sgridarla.
Per fortuna, era stato solo un grosso spavento. Sì, la moto era stata danneggiata, ma lei si rimise in piedi in due secondi, aveva ancora occhi, gambe e braccia intatti e colei che guidava la bicicletta stava altrettanto bene. Maite la squadrò: era una ragazzina sui dodici anni dai capelli rosso rame e il viso cosparso di lentiggini, spaventata a morte, ma sana e salva; la sua bici era un catorcio, ma lei non aveva riportato ferite. La madre isterica, invece, riteneva che lo shock l’avrebbe sicuramente segnata per la vita e quindi continuò ad inveire nei confronti di Maite: ora che la guardava negli occhi, ci provava più gusto.

“Ma perché non stai più attenta? Vai in giro a mettere sotto le ragazzine, tu?! Dovrebbero ritirarti la patente!”

Per fortuna, il vigile non era dello stesso avviso e non ne fece segreto: era la ragazzina a dover imparare ad andare in bicicletta e, casomai, a dover essere sorvegliata adeguatamente dai genitori, essendo minorenne. Ci vollero trenta minuti buoni per sedare gli animi ed espletare le formalità, ma alla fine la piccola folla curiosa si disperse e Maite si ritrovò al margine della strada con una moto inservibile, i capelli bagnati, una forte sensazione di freddo addosso e, inspiegabilmente, una fame da lupo. Poiché piangere sarebbe stato liberatorio, ma non certo utile, telefonò a Rosy, che accorse subito in suo aiuto, arrivando con la sua Mini e la musica a tutto volume. Ovviamente, si era portata dietro anche Bianca: il trio era al completo.

“Dai, ti portiamo a bere qualcosa da Gigi e poi ti accompagniamo a casa.”
“Mah… avete visto come sono conciata?! E sapete che giorno è domani?!”
“E chi se lo dimentica?! Ne parli da settimane! Se ti portiamo subito a casa è molto peggio. Da Gigi almeno ci mangiamo un gelato, ci facciamo due risate e poi te ne vai a dormire. Vedrai che se ci mettiamo a raccontare le tue disavventure di oggi, nessuno si accorge che non hai la messa in piega. E poi sono diversi giorni che non passiamo più a salutarlo; si starà chiedendo che ne è stato delle sue migliori clienti.”

Non avendo molta energia, Maite annuì con un mezzo sorriso e salì in macchina. Ma tu guarda cosa doveva capitarle, proprio alla vigilia del giorno fatidico. Avendo potuto, avrebbe voluto fare rewind e stare alla larga dalla spiaggia, almeno quel giorno.
Con rammarico, lasciò la sua amata moto sul ciglio della strada. Era formato cartoccio, ma le mise comunque il lucchetto: il sangue non è acqua. Seduta nel retro della Mini, proprio tra i due sedili anteriori, protetta dalla presenza delle due amiche, guardò la strada dritta innanzi a sé e, prendendo il coraggio a due mani, pensò al nuovo giorno che si avvicinava. Stava per cominciare un nuovo anno scolastico, ma potendo avrebbe chiesto un congedo e si sarebbe dileguata.
Amava lavorare con i ragazzi; anzi, diceva sempre che erano il meglio della società, dotati di una intelligenza intuitiva che li induceva a dare il meglio di sé proprio quando serviva (e te lo aspetteresti di meno), come se i loro angeli custodi gli sussurrassero all’orecchio cosa fare proprio al momento giusto. Le avevano insegnato la spontaneità e nutrivano la sua gioia di vivere. No, non erano loro il problema.
Il punto era che non se la sentiva di affrontare la curiosità degli adulti da cui sarebbe stata circondata e che avrebbero subito notato l’assenza del suo anello di fidanzamento, formulando mille ipotesi e, certamente, tante domande, tutte fuori luogo. Non aveva la forza di affrontare le chiacchiere di corridoio che avrebbe casualmente intercettato, gli sguardi di finta empatia. Era troppo. Stava appena cominciando a gestire il suo dolore, dopo settimane in cui l’aveva annichilita. Aveva perso sei chili in un mese e sul suo corpo si vedeva eccome. Bastava guardarla per capire che era successo qualcosa e lei ne era ben consapevole.
Come si fa ad affrontare il mondo quando si ha dentro un vuoto colossale? Purtroppo, scappare non poteva. Chissà, magari tornare a scuola le avrebbe fatto bene. In fondo, avrebbe ritrovato i ragazzi. Loro l’aspettavano senz’altro a braccia e cuore aperti. Prima di rivederli, però, si sarebbe dovuta sciroppare le lunghe riunioni di inizio anno, spesso inconcludenti, le chiacchiere post vacanziere, la noia di chi è demotivato e la rabbia di chi è irritato da condizioni di lavoro sempre meno serene. Serviva una strategia di sopravvivenza per quelle prime giornate e una maschera da indossare, insieme ad un set di risposte laconiche preconfezionate. Soprattutto, servivano nervi saldi per non crollare. Quelli, però, al momento, non li aveva. Sai Ram1.


1 Espressione usata sia come saluto che per indicare “Sia fatta la Tua volontà”.


[continua]


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