Opere di

Silvia Zanetto


FUORI DAL MURO

Seguimi.
Seguimi, se il tuo sguardo è acqua limpida e il tuo animo ribolle come magma incandescente.
Seguimi.
Il mio passo è sicuro, anche se il cielo è cupo e il cammino ancora incerto.
Non ho più timore, solo una traccia evanescente di quelle paure che mi incatenavano. Prima.
Ancora pochi passi, e mi sarò lasciata tutto alle spalle, qui: fuori dal muro.
Saprai seguirmi?
Non è stato facile creare una breccia. Ogni pietra è sistemata con oculatezza, frutto di calcoli precisi e di equilibri apparentemente incrollabili, ogni grigio tenace blocco costruito pazientemente per anni e mesi e giorni e ore…
Sono pietre più salde del granito, più fredde del marmo: grettezza, convenzioni sociali, perbenismo sazio di maldicenza, pregiudizi inossidabili.
E poi polvere: soffocante, plumbea, letale come quei piccoli doveri quotidiani di cui giorno per giorno mi sfuggiva il senso, nella rassegnazione grigia di chi ha ormai rinunciato al sogno.
Le mie mani? Sono ferite, sì… le mie mani, un tempo bianche e curate, hanno unghie spezzate e sanguinanti.
Avrai il coraggio di seguirmi, di vedere che cosa c’è fuori dal muro?
Non condannarmi perché sono nuda.
Non è per impudicizia, né per vanità, credimi.
E’ che passo dopo passo ho lasciato cadere tutto ciò che non mi occorreva. Non immagini quanti fardelli inutili mi fossi caricata sulle spalle, credendoli indispensabili: convinzioni, consuetudini che mi davano sicurezza, la mia corazza di cinismo che mi preservava dal mondo, illudendomi di esorcizzare la paura.
Ora sono più vulnerabile, sì, ma vedi? Un nuovo bagliore è apparso all’orizzonte, scivola sulla mia pelle e riveste il mio corpo di luce: d’altro non avrò bisogno.
Trovi che nel mio sguardo ci sia anche nostalgia? Che altrimenti non mi sarei voltata indietro?
Non lo nego: Questa dolcezza triste è l’unico fardello di cui non mi voglio liberare. Non fuggo fuori dal muro senza una scia di rimpianto per la vita, seppur banale, che mi sono strappata di dosso: non scorderò le mani di donna che intrecciavano i miei capelli di bambina, o la stanchezza amara dello sguardo di un vecchio seduto in fondo al cortile …
Ma, vedi? Il mio passo è sempre più sicuro.
Ora il bagliore si fa più intenso e una luce rosata scaccia il buio.
Ascolta…
Voglio rivelarti un segreto:
Non c’è il riposo, la pace, fuori dal muro. Quella luce lontana è spumeggiante, incandescente…
Forse è la schiuma del mare: vivo, gonfio di passione e di sfida, il mare che mi travolgerà con le sue onde possenti, per poi lasciarmi riposare, sfatta di sale e di sabbia, spossata, sulla riva.
Forse è lava che ribolle: magma in cui perpetuamente mi fonderò, riaccesa ad ogni istante e rinnovata nell’amore che mi guida.

Sarò acqua.
O sarò fuoco.
E mai più sarò cenere.

Silvia, agosto 2008


DOMANI NIENTE SCUOLA

E ancora una volta una interminabile riunione. Inutile, prevedibile replica di tutte le altre.
Sono vent’anni che sento ridire all’infinito le stesse cose, eppure c’è persino chi prende appunti mentre il vicepreside ripete il suo discorso imparaticcio con l’aria di chi stia davvero dicendo qualcosa.
Li osservo tutti: i volti sono maschere di cartapesta, gli sguardi assenti, i lineamenti in disfacimento rivelano una tristezza apatica che non è più nemmeno rassegnazione.
Mi chiedo se soltanto io avverto questa sensazione, o se anche i colleghi, dietro la loro apparente apatia, percepiscono l’assurdità di questa condizione e recitano la loro parte in un gioco pirandelliano tra l’essere e l’apparire.
Mi prende la voglia di spezzare questo cerchio di ipocrisia, fare qualcosa che nessuno si aspetterebbe mai da me… Io, sempre così educata, precisa, puntuale, ora potrei chiudere gli occhi con i pugni stretti sulle tempie e incominciare a urlare, urlare, urlare sempre più forte, uno strillo acuto e ininterrotto… oppure mettermi a ridere, a sghignazzare sguaiatamente come un’ubriaca, rotolarmi sul tavolo sotto gli occhi esterrefatti dei colleghi. Ridere in faccia al vicepreside tedioso che sembra vivere per la grammatica, ridere della collega piccoletta e troppo truccata con la voce chioccia, ridere delle fotocopie triple e quadruple degli stessi documenti che tutti perdono e che nessuno legge mai. Squassarmi la pancia dalle risate per i mille verbali dei Consigli di Classe che continuiamo a scrivere e che nessuno ha mai letto e controfirmato, sganasciami dalle risate per la collega polemica dal seno straripante, che si veste come avesse vent’anni e venti chili meno…
E’ uno scricchiolio strano che avverto, mentre sono immersa nelle mie fantasticherie. Forse fa parte ancora del sogno: la riunione continua indisturbata e nessuno sembra notare nulla di strano.
Eppure, non mi sto sbagliando. Lo scricchiolamento si fa più minaccioso, e qualche calcinaccio precipita sulle fotocopie inutili, che finalmente qualcuno considera. Il vicepreside interrompe il suo monologo, gli sguardi appannati si fanno desti, poi una luce di paura li anima. Ampie e profonde crepe si aprono ormai nei muri decrepiti. So che dovrei fuggire, ma una strana, folle gioia mi pervade, osservando le colleghe che si accalcano verso l’uscita, completamente immemori delle savie nozioni apprese durante le esercitazioni per la scuola sicura, mentre piove una nuvola di polvere rossastra sui loro vestiti griffati. Non ho fretta di scappare, non ho paura: so che non è un’allucinazione, è una realtà, ma io ne sono sovrana e so che nulla in questo momento mi potrà fare male. E gioisco, inebriata della mia stessa pazzia, vedendo finalmente gli armadietti scassati, i libri ingialliti e le porte sgangherate crollare sepolti dalle macerie. La polvere sovrasta e seppellisce tutto, gli archivi stipati di verifiche ammassate, ammuffite e giallastre, di alunni già laureati e già sposati, polvere polvere polvere sui mobili tarlati e sulla puzza di carta vecchia che toglieva il fiato ogni volta che si entrava in questa specie di tomba che chiamavamo scuola…
Soltanto io sono ancora lì, seduta sulla mia sedia, illesa e perfettamente pulita. E li osservo.
Si sono messi in salvo, tutti. Sgomenti, sporchi, qualcuna ha perso una scarpa, molti tagli perfetti da parrucchiere sono imbiancati dai calcinacci, non hanno più registri né cartelle, ma sono tutti là, sul prato che sembra luminoso per la primavera che esplode, sotto le robinie dai grappoli profumati, smarriti nell’azzurro di queste giornate che non riuscivano a vedere, attraverso i vetri mai lavati del vecchio edificio. Qualcuno ride nervosamente, guardando in faccia il collega, poi l’allegria del naufrago prende il sopravvento e la risata dilaga, finalmente limpida, nell’aria trasparente. E lentamente, l’uno dopo l’altro, prendono la via di casa, frastornati e lieti come ragazzini, grati per quell’improvvisa vacanza.
Domani, niente scuola.



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