Stracci di pensieri colti da un venticello

di

Silvia Muloné


Silvia Muloné - Stracci di pensieri colti da un venticello
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
14x20,5 - pp. 98 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-3359

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In copertina illustrazione dell’autrice


«L’Umanità si definisce tale, non perché costruita da esseri umani, ma da Cuori Umani».

«La morte cancella ma col gesso si può e si deve riscrivere sulla lavagna della vita».

«I pensieri non sono nei pensieri ma negli stracci che diventano pensieri per l’accumulo di essi durante il percorso della nostra vita».

«È la peste del malessere che sta distruggendo oggi l’individuo non più l’incomunicabilità».


Stracci di pensieri colti da un venticello


Non mordicchiare
la vita,
non gustarla
a spicchi:
la vita è una medicina
che s’ingoia INTERA.

un venticello


A Lino

Tu, chiuso nel tuo silenzio
pensi i miei stessi pensieri.
Io, burattino loquace invece
esprimo i tuoi stessi pensieri.
È il nostro legame inscindibile
ad unire gli opposti caratteri.

È una corda d’amore la nostra,
a cui ogni volta che uno dei due
capi si spezza, con rinnovata
forza, continuiamo a fare nodi.
È sempre più sfilacciata …
lo sappiamo… per questo
la cingiamo attorno a noi.

tua moglie


Premessa

C’è, C’è, C’è, o meglio ci sono, ci sono, ci sono. Chi?

C’è chi vive la sua vita nell’incertezza di un aldilà e consuma nella paura di un ignoto futuro, il suo presente senza Senso.

C’è chi vive la sua vita nella certezza di un aldilà e consuma nella fede di un futuro paradisiaco, il suo presente senza Senso.

C’è chi vive la sua vita nella negazione di un aldilà e consuma nell’ateismo, di cui si fa forte, il suo presente senza Senso.

Ci sono coloro che cercano di convincere con logorroiche e veementi incitazioni al pentimento, prima del troppo tardi, molti creduloni che, di fronte al prospetto di previsioni catastrofiche, supportate da eventi naturali a volte troppo frequenti ed inspiegabili, a volte annunciate creando una psicosi generale, finiscono o per essere adescati in questa rete ingannevole, o si suicidano prima del loro tempo. Tanto, pensano, a che serve continuare a vivere se presto la nostra terra si sgretolerà e polvere e fiamme, ghiacci e tempeste meteoritiche la sbricioleranno definitivamente?
Atto di coraggio il suicidio o di vigliacca paura di vivere per cercare di vedere fino in fondo e per quanto sia possibile, se ci sarà veramente una fine?
Ci sono coloro che credono nella sopravvivenza dell’anima sulla macchina corporea, un’anima che s’involerà sotto forma di spirito, così come è nata su una terra fertile e gioiosa, dove lo splendore della natura con gratuita elargizione di frutti e fiori, si fonderà con la purezza dei cuori e ognuno sarà fratello del suo simile.
Ci sono coloro, che, incuranti di un domani, di cui niente ci è dato di sapere, neppure appellandosi ad una probabile statistica, applicano in una forma più paradossale e meno costruttiva di chi, come D’Annunzio, volle fare della sua vita “un’opera d’arte”, “l’aude¯re semper” e cosi pregustano, per poi sperimentarlo, ogni forma di rischio, oppure assumono, per poi diventare dipendenti ogni mistificata miscela perché la realtà allucinogena, creata, appaia loro quella che nella normale realtà dovrebbe essere: accettabile, divertente e soprattutto senza alcun problema o responsabilità.
Ma le loro euforiche risate o meglio i loro “sballi” non potranno mai paragonarsi ad un, forse banale ma certamente sincero, vero, naturale sorriso. Loro dicono: “tanto tutto sarà cliccato e in un momento ci sarà il nulla a dominare sullo schermo umano”.
E così mettono in pratica la loro filosofia di vita, autodistruggendosi e facendo “strike” su tutti quei “birilli umani” che per fatalità si sono trovati a quell’ora, in quel punto preciso nel posto sbagliato ad intralciare il loro particolare cammino.
Poiché tutto è destinato a morire non ha senso per queste vite il ricostruire, anzi loro tendono a demolire materialmente e indistintamente, non potendo distruggere la memoria morale di chi ce l’ha ancora. Eccoli all’opera a ridicolizzare la commemorazione di date, di giorni significativi, di una storia che essendosi per loro spezzata più volte e per varie ragioni, non ha continuità nel presente e quindi non si può definire storia. La storia per loro non esiste, non è “magistra vitae”, non può insegnare nulla; l’uomo per sua natura sceglie, sbaglia, riaggiusta e lo continuerà a fare. Come un bimbo che prima stacca le varie parti del suo giocattolo e poi lo ricompone, a volte a suo piacimento, a volte nell’originaria forma.
Queste vite sogghignano, osservando con pietosa ironia l’altruismo volontario di chi è impegnato anche ad aiutare gli altri suoi simili. Basta per loro un sms di due euro e il dovere e la coscienza sono a posto, possono continuare a riprendere in mano le briglie del loro presente, un vivere all’ora, alla giornata tutt’al più badando che non manchi nulla che non sia ozio, divertimento, piacere, nelle sue svariate forme. Domani? È domani. Quindi non conoscendo nulla di esso meglio vivere bene oggi. Rubare, uccidere, borseggiare, rapinare, tutto diventa possibile, facile e indolore quando non si pensa, quando non si creano degli obiettivi; la vita è un dare e avere materiale.
Per me sono il marciume della nostra società, gli inadeguati interiori; una grande quantità di melma fangosa che di tanto in tanto ci sommerge creando fracasso e scompiglio, distruggendo ed invadendo le vie del nostro vivere quotidiano. Ci vuole solo per loro tanta pazienza e una crescente fiducia per spalarla via o depositarla negli angoli laddove prima o poi il sole l’essiccherà e resteranno solo ornamenti indecorosi per la nostra città di vita.
C’è e ci sono quelli che credono, con ferma convinzione che l’essere umano saprà sempre trovare una soluzione anche se intrappolato dai detriti, dalle tante tegole sovrapposte di problemi.
L’uomo sarà sempre una potente diga pronto a sostenere le infinite insidie e dei suoi simili e di madre natura. E se non resisterà quest’uomo diga? Altri, a flotta e con più sofisticati mezzi arriveranno in soccorso; sono tutti gli illusi di una certezza che li spinge a credere che nulla finirà su questa terra; ci sono anch’io tra questi! Trasformazioni? Certo, tutto, com’è naturale che sia, sarà riciclato; però tutto ritornerà a proliferare, anche se sotto spoglie diverse in una realtà effettuale, dove VITA e MORTE continueranno ad accendersi e spegnersi, dove il pianto, le urla di dolore infesteranno una sponda di aria, mentre le grida gioiose di bimbi, le risate di amici, le emozioni, diromperanno l’altra sponda e frizzanti bollicine s’innalzeranno, senza scoppiare, in un cielo colorato.
Sono consapevole che qualsiasi sia la circostanza, la causa, la mia materia vitale avrà una sua naturale conseguenza finale. Dopo … non lo so!
Nei miei sogni, seguaci di ogni mio passo, ho sempre sperato di diventare, dopo, un venticello impercettibile, in grado però di vedere, pensare, parlare, spiare senza curiosità.
Esso potrà finalmente volare, ascoltare per capire se il suo credere che ogni vita abbia un senso sia valido anche per gli altri perché solo conoscendo stracci di segreti dell’anima dell’umanità, potrà concludere che per molti altri l’Umanità si definisce tale, non perché costruita da esseri umani, ma da Cuori Umani.


CAPITOLO I

IL RISVEGLIO

«Che dormita! Ma dove sono, su una nuvola? e … il mio corpo, le mani, la bocca? … nessuna forma materiale, eppure sento, vedo, parlo, e da lontano provengono mille voci confuse. Allora è vero! Sono diventato un venticello.
Si è avverato il sogno della mia vita precedente, anche se, pur sforzandomi, null’altro torna alla mia mente, né chi fossi, né dove stavo, né chi ho lasciato, né come mi chiamavano … Beh, niente nostalgia anzi; non mi è dato di conoscere il come vivevo e quando, ma posso vedere e sentire come vive e cosa pensa oggi, in un anno che ancora non conosco, l’essere umano, per cui mi devo staccare da questo morbido ammasso di nuvola bianca. È giunta l’ora d vivere il mio nuovo tempo. Ehi, tu, fermati un attimo, per favore, mi senti? Ho bisogno di qualche informazione; ma come sei forte brr … mi provochi perfino freddo, ma capisci ciò che ti sto dicendo? Nessuna sosta, nessuna risposta, va bene ho capito. Non sentirà la mia voce né la gente né alcuna forma vivente. Questo vento impetuoso, è come tanti altri importanti da sempre esistiti e astratti. Io sono di un’altra specie, sono sogno diventato realtà: un venticello.
Gli esseri umani possono sognare e, se credono, cogliere i tanti messaggi lanciati dai propri sogni; io, che non sono sogno, ora posso vedere la vera realtà delle cose, quella del cuore.
Forse è proprio questa che cercavo nella vita precedente e non l’ho trovata o non ho saputo neppure intravedere la Quarta verità, dopo quella dei fatti, della magistratura e dei mass-media.
Dal momento che tra i vari idiomi mi è più familiare quello che tra me e me sto parlando, di certo l’Italia doveva essere la mia patria e se mi esprimo con siffatto linguaggio, deduco che dovevo appartenere agli umani, essere mediamente colto, maschio o femmina? Non importa. Parlando la lingua italiana, sicuramente la mia terra deve trovarsi sotto questa nuvola. La mia terra ho detto?
Che stupido, cominciamo bene! Ormai faccio parte dell’universo e non mi rimane che dare inizio al mio viaggio.
Sarà interessante, doloroso, piacevole ed io cosa potrò fare o cambiare? So già che nessuno saprà niente di me e nessuno potrà mai ascoltare la mia voce; sarò “condannato” a vedere soltanto ciò che mi accade intorno; a riflettere e magari conoscere e scoprire la verità del cuore, quella che nessuno vede, quella che tutti possiedono, anche se convinti che non conti nulla.
Beh! L’importante è che io abbia avuto la possibilità di una nuova vita; sono realtà ormai; è l’alba e non voglio sprecare neppure un minuto di quella che sarà una lunga o infinita giornata, dove luce e notte, riposo e riflessione si alterneranno. Forse, in un momento impreciso diventerò altro o nulla … intanto via … voglio vivermela questa nuova vita».

Così, come un uccellino al suo primo volo ancora incerto sulle tenere zampette e sulle cartilaginee ali, saltando giù dalla nuvola senza una direzione precisa, ignaro di luoghi, persone e soprattutto dei pensieri degli umani, finalmente rasentò la terra e incominciò a percepire i monologhi e i dialoghi della gente di ogni etnia e colore, ed anche se nel mondo ci fosse ancora una sorta di buona volontà, di amore, di senso della vita.
Il venticello si fermerà in ogni dove, origlierà, piangerà lacrime asciutte; gioirà con labbra che non ha; parlerà agli altri con quella voce che c’è nel cuore degli uomini; vedrà lo sporco ed insensato agire che a macchia d’olio, sta ricoprendo la terra; capirà che l’Amore, nella maggior parte dei casi è stato imprigionato da un corpo che gli impedisce di manifestarsi; che gli uomini si vergognano di comunicare con i propri simili per egocentrismo, per paura, per mancanza di tempo materiale.
Tutto come sempre, dall’inizio dei tempi, pur essendo tutto mutato.


CAPITOLO II

A + B = C … D … E …

Il venticello, dopo aver assorbito una notevole quantità di smog emessa da auto che in fila procedono lentamente, come dietro una processione e dopo aver sorvolato campagne brulle e gelate, capisce che è troppo annebbiato per proseguire il suo viaggio e penetra così, attraverso una porta-finestra non del tutto chiusa, dentro una casa per riposare un po’.
Intanto proprio in quella camera, una giovane donna si sveglia, il venticello la sente parlare con sé. Curioso la sbircia per poi guardarla nella sua totalità: è bellissima anche di primo mattino.

«È spuntato un nuovo giorno perché vedo una luce biancastra filtrare dalle fessure della tapparella bucata.
Mi guardo intorno: sono nella mia camera. Dico mia perché tutto ciò che mi circonda parla del mio essere lato A e lato B.
Secondo alcuni sono i lati della mia sdoppiata personalità. Non ho mai voluto credere all’etichetta che qualcuno mi ha affibbiato: disforica! E se anche fosse? Oggigiorno, se proprio vogliamo analizzare il termine disforia, chi non lo è?
Però devo riconoscere che le due lettere matematiche, diverse tra loro non sono mai riuscita ad amalgamarle e, come affermano i matematici farle diventare A + B = A + B.
Testardamente ho sempre ribadito a me stessa che esse sono inscindibili, si sovrappongono l’una l’altra; due facce sì, ma di una stessa moneta di uguale valore, due lati opposti sì, ma di un unico corpo: il mio e quello di ognuno. Qui la matematica non c’entra. È una questione di opinione. Per me A + B = C …
Intanto sento che il caldo tepore notturno avvolge ancora la stanza e il lato A e B del mio corpo sembrano in armonia tra di loro. Il corpo! Ma il corpo non è anima e neppure mente; è semplicemente un insieme di ossa, vertebre e muscoli ricoperti di adipe e di uno strato sottile di epidermide.
Gettando uno sguardo intorno penso però che alla vista altrui tutto ciò che circonda la camera potrebbe farla ritenere disarmonica e, siccome tanti sono fermamente convinti che da come vive una persona nella sua casa e da come si veste quando esce se ne possa dedurre la vera personalità, allora io constato che sono una che mescola sacro e profano, che sono disordinata pur considerandomi ordinata nel mio disordine; che mi vesto non in base al tempo meteorologico ma al mio stato d’animo e che il mio cervello è composto da tante paratie proprio come gli oggetti a sé stanti di questa camera.
Per altri sono incognite lettere A e B. Potrebbero infatti rappresentare qualsiasi numero così come ogni oggetto qui presente mi racconta di storie vissute che altri non conoscono perché non hanno mai provato emozioni che solo io, appunto, riprovo quando il mio sguardo si sofferma su qualsiasi oggetto. In questi ultimi anni mi sono disfatta di molti di essi, non potevo portarli tutti da una casa all’altra (e quante case!!!); li ho rotti per rabbia, li ho abbandonati in cantine, in box, dentro scatoloni ammassati alla rinfusa; perché mi dico: adesso sono cresciuta, non sono più quella di una volta e forse non sono mai stata del tutto quella. E poi non ho più bisogno di quelle cianfrusaglie che potrebbero farmi piangere di nostalgia, ma soprattutto di dolore dal momento che i sogni di bambina, le mie certezze infantili si sono trasformate col tempo in disillusioni concrete e in incertezze sia sul mio presente che su un possibile futuro.
Ora tutto è cambiato, ora ho la mia vita di cui sono la protagonista: ho un lavoro che per il momento mi soddisfa e sì, dico per il momento, perché conosco questo aspetto del mio carattere; tra qualche anno sarà per me ripetitivo e noioso svolgere sempre le stesse mansioni. Ho uno stipendio dignitoso tutto per me, un padre che mi asseconda sempre, che non mi critica, né mi giudica (almeno davanti a me) che mi accompagna ovunque e a qualsiasi ora e sicuramente un giorno saprà anche essere un nonno presente visto che fino alla mia maggiore età era come se non esistesse e poi che dire del mio uomo o compagno di vita o marito futuro? È geloso, possessivo ma tanto dopo le sue esagerate sfuriate (che in fondo guai se non le facesse) è pronto sempre a chinare la testa scorpioncina e a volte velenosa di fronte alle mie robuste corna d’ariete e a volte si prende anche colpe non sue.
Diventa come un gatto che fa le fusa ed io in verità ho bisogno di un gatto e di un cane.
Ho tutto o quasi … quindi A + B = C. Quasi, ho detto quasi e sì perché dentro di me, il mio lato oscuro rifiuta ancora quella C che si forma da A + B. È allora che riemerge la mia cattiveria graffiante verso chi non voglio riconoscere come la persona che mi ha dato alla luce. Mi sforzo di chiamarla Mamma, lo sento che finora è stata la persona più importante della mia vita, a cui si è dedicata senza risparmiarsi, dandomi il troppo di tutto ciò che fosse materiale e morale, ma non riesco ancora a capire perché il più delle volte la sento come nemica.
Non è la classica competitività tra madre e figlia, è qualcosa di più, io scarico su di lei ogni colpa commessa nel mio passato perché la vedevo piangere e soffrire ma non per me; non capivo che ero la sua unica consolazione; non volevo avere la responsabilità di aiutarla; ero e sono consapevole che mi ha dato amore, beni materiali, mi ha sorretto, creduto in me, orgogliosa di me mi ha sempre guidato verso i giusti sentieri. A me interessava vivere una vita felice e che lei mi regalasse i suoi sorrisi che duravano attimi. La mia vita giovanissima era un inferno vivendo in simbiosi con lei. Troppo … troppo … per me una madre non deve dare tutto di sé ai figli perché questi vogliono solo serenità e poi vogliono e devono provare e anche sbagliare per crescere. Una madre deve solo essere un porto sicuro, un punto di riferimento nel momento in cui i figli hanno bisogno.
I figli hanno diritto di vivere la loro vita, sono creature a sé e il ventre delle madri è solo un serbatoio per farli sviluppare e … una volta nati, reciso quel primo cordone ombelicale, dopo essere cresciuti e accuditi, hanno diritto anche a staccare il secondo cordone, quello morale perché non appartengono a nessuna madre, sono i figli di questa nostra terra.
Non è tanto difficile da capire e da accettare, ma molte madri, come la mia, sono ottuse, offuscate dal concetto di amore-appartenenza e la mia, in particolare, è stata troppo ossessionante, guardinga, ispezionante ed io invece di confidarmi con lei, manifestando dolcemente i miei pensieri e magari farla sentire indispensabile, le ho lasciato di proposito molti segnali per farle capire che ne avrei combinate di tutti i colori, che della vita avrei gustato l’amaro e il dolce, il rischio e il proibito, (pensavo che non fossi al centro dei suoi pensieri), ma anche per farla desistere dal seguirmi e di essere il mio grillo parlante.
Ho beffardamente gioito della sua sofferenza, l’ho semplicemente ritenuta una pazza e me ne sono “lavate le mani”; dura come il diamante l’ho lasciata in compagnia della sua solitudine interiore, anzi ho aggravato il suo dolore. Ma lei non ha ancora imparato niente! Non ha compreso che il suo compito era amarmi, assecondarmi e soprattutto non starmi tra i piedi.
Una telefonata, qualche sms, vederci di tanto in tanto ognuno con la sua identità, ognuno vivendo la sua vita, solo questo dovrebbe essere il dovere e il vero amore di una grande madre.
La mia per me, che dire, è stata finora un insetto noioso, un’incombenza alla quale cerco di sottrarmi con scarsi risultati. Ma in futuro so che ci riuscirò!
Per me potrebbe anche non esistere più tanto ciò che dovevo imparare di buono da lei l’ho già assimilato; ciò che di male, litigi, urla, pianti l’ho subiti da una famiglia che, pur dicendole sempre che la rovina della nostra era la sua, mentre lei era la sola che cercava sempre di riaggregarla, è stata troppo sgangherata. I miei genitori: due pianeti diversi tra loro ed io che sono cresciuta in un ambiente familiare (beh devo giustificarmi, come tanti figli, o no?) malsano ne sono rimasta traumatizzata. Ora non sono più un germoglio, ma un albero con i suoi rami, tante foglie e avrò presto, spero, anche i frutti dal momento che le foglie ho l’impressione che stiano diventando di un verde intenso sia sul ramo A che sul B.
So che lei mi ha generato e che una parte di lei sarà sempre in me ed una parte di me sarà sempre lei.
Ogni nuova generazione porta con sé un bagaglio, anche somatico, del passato, ma col passar del tempo i bagagli si logorano. Sono come tutti i morti che dopo circa cinquant’anni, i postumi, o dei semplici becchini, finiscono per racchiudere le rotte e consunte ossa in piccole teche e magari vengono accumulate in una fossa comune per lasciare spazio a “freschi corpi”. Così avviene nel nostro DNA che, combinandosi con altri diversi, man mano finisce col mutare la catena del suo originario ingranaggio e nuove cellule e nuovi anelli, creatisi da intrecci d’amore, d’avventura o da un normale desiderio di maternità, finiscono per sostituire a poco a poco ogni residuo del passato.
Lei è A; io sono B. Se sostituisco le lettere con i numeri, ad esempio 2 + 1, il risultato sarà C, ovvero 3. E se C si addiziona a D, ovvero se 3 + 4, il risultato sarà E, ovvero 7. La base iniziale dov’è? forse nel fatto che A e B sono solo i punti di partenza per ogni dimostrazione matematica.
Troppo complesso … forse è meglio riprendere il discorso precedente; mia madre! Perché la detesto tanto pur amandola infinitamente, perché non voglio condividere, perché non voglio che entri in quella che definisco la mia privacy? Avevo almeno il dovere come figlia di aiutarla e non l’ho voluto fare. Troppe responsabilità mi fanno paura. Ma solo a tratti ci penso e trovo sempre per me una giustificazione. Eppure sono sempre più pentita di averle permesso di essere tra i miei coglioni! Non mi è più di nessun giovamento qua, anzi! Per fortuna io e il mio amato Riccardo stiamo cercando una casa tutta per noi e la nostra futura famiglia. Finalmente spero di avere la mia agognata serenità o meglio la serenità come la intendo io, ora che nel percorso della mia vita ho provato qualsiasi tipo di emozione.
Secondo me mia madre è buona solo a predicare e a razzolare malissimo col suo morboso amore verso i figli non ha goduto delle opportunità che la vita poteva offrirle. Io, in confronto a lei ho esperienza sessuale completa, avendo frequentato luoghi e persone che lei neppure immagina, nonostante la sua maturità e la sua bravura, in certi campi è rimasta una bambina, una pura ingenua che posso giocarmi come voglio; il suo amore è così cieco, totalizzante che la si potrebbe spennare come una gallina, non se ne accorgerebbe o si farebbe spennare e rimanere nuda, al freddo per amore delle persone care. Beh e allora? La colpa è sua, della sua cecità, della sua balordaggine. Chi non ne approfitterebbe? La sua vita è stata un vero fallimento. Ed io non farò certo la sua fine: costruirò con Riccardo la mia famiglia e vivrò serena prima col mio primo figlio che chiamerò Dream, cioè sogno, poi con gli altri che verranno e non farò come lei, pur soffrendo fingerò davanti ai miei figli e sorriderò loro sempre.
Non capirà mai che una perfettina come lei, finirà per morire sola, insoddisfatta, infelice. Io non ne voglio più sapere: il suo amore per me è stato simile alla fiamma dell’Inferno!!! E tu cuore? Zitto, zitto cuore. Voglio che tu taccia e che non mi dica che è lei, sempre lei il vero lato C: una forma di perfezione, di esempio incomparabile, la madre speciale che tanti, anche se per poco, vorrebbero che attraversasse il loro cammino. Io so solo che una madre come lei mi spaventa e non voglio assolutamente assomigliarle. Il suo moto è: “la vita bisogna affrontarla”. Di certo non corrisponde al mio: “la vita è mistero, bisogna scoprirlo e assaporare anche agli aspetti più rischiosi”. Certo non so se il quadro della mia vita sia stato o sarà come un capolavoro leonardesco ma di certo non sarà come una delle tante croste imbrattate su tela di mia madre; per me i suoi quadri sono solo tentativi di sogni appesi alle pareti.
Mi auguro solo che un giorno i miei figli non abbiano la sfortuna di essere traumatizzati da nessuno, e innanzitutto farò in modo che non arrivino a conoscere chi mi ha dato la vita ed userò ogni strategia per allontanarla da me. Qui tutti cambiano meno lei. E ripeto a voce alta al mio lato A: non ho intenzione di rovinare più il resto della mia vita».

[continua]


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