Racconto premiato di Silvia Marini


Con l’opera «Tempo di luna» si è classificata al 9° posto alla XV Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2011


Questa la motivazione della Giuria: «La storia di un uomo, ormai giunto all’ultima stagione della vita, che continua a fare sempre la stessa passeggiata sul colle tra i cipressi, in attesa del ricordo, in un sogno “ad occhi aperti”, della donna che aveva amato da giovane ma non aveva seguito, tra mancanza di coraggio e rimpianti senza tempo. Come a nascondere un segreto nell’anima pur vivendo finchè il sogno diventa sempre più forte. Le intuizioni-intenzioni di Silvia Marini sono amorevolmente penetranti e narrativamente intense».

Massimo Barile


Tempo di luna

Spesso mi chiedono quale sia il segreto della longevità. Non posso dirlo. Alla soglia del mio primo secolo, posso parlare soltanto del mio segreto.
Ogni giorno, o meglio, ogni sera, con sole, pioggia o vento, cammino, percorro a piedi, appoggiato al bastone, i sette chilometri che mi separano dal luogo che più di ogni altro sento mio… Cammino, con passo ormai incerto, lungo il sentiero pianeggiante che si snoda tra campi di grano ed erba medica, tra fiori sempre più rari, poi il sentiero si fa stretto… io salgo, lungo i fianchi della collina, aspiro il vento e l’aria sempre più fina… sulla sommità del colle raggiungo i cipressi, i miei cipressi, il teatro della mia vita. Mi fermo, riesco ancora a sedermi, penso e guardo la luna, eh sì, la luna!
Salgo ogni giorno e ogni sera- ho detto- ma ho mentito. Nelle notti di luna piena, quando il mondo si fa cupo e inquieto, io resto a valle, chiuso dentro di me, a rincorrere i pensieri che da sempre mi tormentano.
«Perché proprio i cipressi? Perché sempre la stessa passeggiata». Molti mi chiedono.
«Eh no! Questo è il mio segreto».
Stasera una luna araba mi invita a salire, ed io, fedele a me stesso e alla mia follia, comincio la passeggiata.
Conosco i segreti del vento, conosco la vita dei fiori, degli alberi, degli infiniti abitanti del bosco, conosco il variare della vita, la mutevolezza ingannevole del tempo… conosco troppi perché, non comprendo ancora i miei perché.
Il cipresso mi accoglie, tra fronde protettive e avvolgenti, mi chiama, mi invita ad abbandonarmi. Chiudo gli occhi stanchi e penso… in una confusione mistica e sublime il passato diventa presente, il presente si fa futuro, il futuro che non c’è…
Attendo, fino a quando mi rivedo giovane e forte, occhi avidi di vita, braccia bramose di cogliere il mondo intero… ancora il cipresso, il mio cipresso. Chiudo gli occhi ancora più forte, compare Marina… bella, giovane, ridente, la pienezza della vita, a un soffio, a un passo, appena intuita…
L’amavo come si ama da giovani. Lei era tutto ed io nel tutto mi perdevo, goccia nel mare… avido di lei… magia!
Il futuro era lontano, la vita da venire… ma il futuro, un giorno, mi chiamò.
«Guardami» mi disse «abbiamo la vita davanti. Abbiamo tanta forza e tanto amore, ma siamo poveri. Che vita avremo quaggiù. Non sono fatta per la terra. Sono figlia del mondo intero. Il mondo mi chiama».
Mi comunicò il proprio turbamento, l’estraneità alla terra che l’aveva vista bambina, mi parlò dell’America dei sogni, di città immense, di musica e di libertà. Mi parlò delle infinite possibilità che un giovane sveglio e forte come me avrebbe incontrato, laggiù, oltre il mare…
Così ogni giorno e ogni sera il sogno si faceva più concreto, assumeva tratti più realistici e definiti. C’erano parenti, laggiù in America, antiche conoscenze del paese, avevano aperto una pizzeria, facevano affari d’oro… farina, pomodori, olio d’oliva, ingredienti semplici, sapienza antica… facevano impazzire il palato americano, avvezzo da sempre al sapore uniforme della fretta.
«Cercano una cameriera per ora… poi si vedrà. Lo sai riesco a fare ogni cosa, se lo voglio davvero… sono forte, coraggiosa, instancabile. Andiamo. Parti con me!».
Io l’assecondavo.
«Passerà» mi dicevo.
Sono figlio della terra, come lei è figlia dell’aria, del vento, del mare…

Il futuro divenne presente una sera di maggio, quando una luna araba faceva capolino tra i rami del cipresso.
«Partiamo» mi disse «È tutto pronto. Ho dei contatti a Nuova York. Ho il lavoro da cameriera, per cominciare… tra dieci giorni, il 27 maggio, la luna sarà piena, rotonda come il mondo intero… noi partiremo, salperemo dal porto di Genova, incontro alla fortuna! Hai tempo per preparare le tue cose, salutare la tua gente, le tue colline, la tua Toscana, e partire con me, alla conquista della libertà!».
«Ma… così presto? Perché?» balbettai.
«Le buone occasioni non si presentano due volte. Bisogna afferrarle al volo, con mano ferma. O scappano».
La guardai negli occhi. Mi guardò.
«Partirò. Con te o senza te. Ci incontreremo ogni sera, qui, sotto i nostri cipressi, fino alla notte di luna piena. Allora avrai deciso. Se non ci sarai, saprò comprendere. Presentati solo se vorrai partire».
«Ci sarò».
Marina mi guardò dritto negli occhi, con quegli occhi che sapevano leggere, che denudavano l’anima. Mi trafisse. Il piano della mia vita le apparve nitido e chiaro, irrimediabilmente dispiegato.
Capì ma non parlò.

Così, ogni giorno che Dio manda sulla terra, salgo sul colle, mi siedo sotto i miei cipressi, guardo la luna e penso… ogni sera, tranne le notti di luna piena… quando non ho il coraggio di salire… il tremito mi assale, il rimpianto mi serra la gola, mi scuote le vene.
Il rimpianto… non so!
Sono figlio della terra, sulla terra ho vissuto… ho avuto moglie, figli e nipoti, mi hanno voluto bene, ne ho voluto loro… sono molto vecchio ormai, tra poco scenderà la luna, per sempre…
Voglio riposare qui, eternamente vegliato dai cipressi, testimoni del mio amore e della mia viltà.
Voglio riposare qui. Quando la luna piena inonderà le mie ossa con il suo mistero, io finalmente resterò, a contemplare, da vicino, la pienezza che non ho colto.

Silvia Marini



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