Opere di

Silvia Goi


Frammento Ariostesco

Dormimmo dentro il Nido sopra il Tiglio
Tutto di Piume Pepe d’Ippogrifo

Avemmo un figlio di Biondo Capiglio

Scendemmo dal Rifugio glifo a glifo
Per ritrovarci nella Luce Pura
De’ suoi cammin selvaggi, alla Radura…


Dove abita oggi il
vago dorato luccichio
degli ori vecchi omerici?
Un tempo il mattino delle isole
Lo vide al limitare del giorno.

Era, quello, il tempo dei velieri
Delle polene poppute e degli stucchi
Mentre i mostri chiudevano gli occhi rutilanti
Sul fondo del buio-ceruleo mare.

Dove brillava il ciuffo d’oro alla maniglia
Nella capanna delle due sorelle?

Busserò alle case che conosco
Risalendo fino alla radura,
là dove erano i funghi (l’altr’anno era piovuto)
e giaceva abbandonato tra gli aconiti
il corno dorato del fanciullo.

Oggi sul tetto della mia muschiosa
Magione nelle selve lo cogliemmo
Scintilla del mattino, l’abetaia
Risuonava di voci nell’aria
I suoni al freddo
Ci punsero il cuore all’alba.


Io e te nel campo dei ranuncoli
ronzavano a quota 1000 millimetri
mentre l’aria che era densa di pulviscoli
ci faceva tossire e ci stordiva.

Ci bagnammo le ali fino all’osso
nelle acque paludose sotto i salici.

Non svegliamoci presto per favore
mentre il sole è ancora alto sulle erbe

Sopra i fiori ove piegammo i ginocchi
ci fermiamo nell’aria sulle ali

– Le libellule appese su quei rami
aprono i molteplici grandi occhi.


Self- confiance

All’interno del castello di Pavia
nei saloni dell’ala occidentale
mi intrattenevo con i commensali
pensando in realtà, com’è naturale, a Lisawetha.

Si era nella tarda estate 1596.

Da alcuni oggetti particolari
mi pareva di poterla ravvisare
e di essere anzi incoraggiato
a farlo, da chi avevo accanto nel banchetto.

- Non è escluso che ai dissidenti capitasse
di venire individuati proprio in questo modo –

Proprio per questo dopo i convenevoli
Pensai, per fuggire la folla,
di provare a ritirarmi nella stanze.

Uscendo io, il capotavola disse – un po’ discosto,
rivolto al prete del contiguo posto:
“Lei officia in assenza, padre”.

Seccato a morte dall’invadenza
con la quale sgomitando erano me,
su quale fosse in realtà il nostro status di ospiti
fui indotto lungamente a meditare.


A proposito di Brecht

Ho cercato tra le parole degli altri
le nostre
Ma nessuna poteva sostituire le nostre.

E un po’ mi rammarico che siano
pane, patate, tavolo, così
a sentirle, banali
perché a conoscerle, invece, le patate
sono tutte uguali.


Quadro: Prato: Monet a Vetheuil

Svegliato lungamente nel mattino
dal pazzo gridare degli usignoli
dalla pieve
il mio più vecchio occhio io sgorgai
fitto, com’era, di papaveri.


Hygelac

per prima cosa
senza far tintinnare l’armatura
scostare attentamente
con la lama
secoli di parole in nero

– con Accortezza, chè la Bestia
veglia ancora, sopita dopopranzo tra le righe,
con un sole occhio chiuso.

I Signori delle Parole,
la governano?
Chi, di volta in volta,
le possiede?

A chi, ubbidiscono? Nell’insieme,
è meglio andarci cauti.

Non dico, sia impossibile acchiapparle,
resistendo alle ustioni.

Chi ci ha provato sa
tenerla nel camino tra le ceneri.
Ivi balugina
in forma di salamandra,
e lampeggia saettando chi la lega.



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