Racconto premiato di Silvana Licari


Con questo racconto è risultata 11^ classificata nella XX Edizione del Premio Letterario Marguerite Yourcenar 2012 – Sezione narrativa


Questa la motivazione della Giuria: «Racconto profondamente sentito dall’Autore che narra la storia con profonda umanità. Ritroviamo la vicenda esistenziale di una donna che, ad un certo punto della sua vita, decide di aprire una locanda in riva al lago. Sarà proprio questa “scelta di vita” che le farà incontrare Albert, figura misteriosa solo all’apparenza. Alla fine, si rivelerà l’amore della sua vita. Il dominio del destino e l’amore come “incontro di due solitudini”». Massimo Barile


La casa di mattoni rossi

Nella nostra vita occorre, a volte, cambiare il percorso che avevamo intrapreso.
Nonostante ciò provochi un primo senso di smarrimento, si scopre piano piano la tempra per la conquista di una scelta di vita migliore.
Forse anche la sofferenza vissuta prima, sopportata nel migliore dei modi, aumenta il grado di comprensione verso gli altri, con i quali ne consegue una buona intesa che, senza alcuno sforzo, ci migliora.
Così, se soltanto il giorno prima degli avvenimenti di questo racconto mi avessero domandato le previsioni circa il mio vivere futuro, avrei risposto di essere sicura di voler proseguire la stessa vita che mi aveva portato a trasferirmi in quel luogo per aprire una locanda in riva al lago.
Anni prima quella scelta era stata fatta con la dovuta prudenza delle decisioni importanti ma anche con la scusa di fuggire dalla grande città verso paesi più a misura d’uomo.
In seguito non me ne ero pentita, malgrado il peso del trasloco e di intraprendere ritmi di vita e di lavoro completamente nuovi.
Poi, superati i primi mesi di assestamento fisico e morale, mi sentii pronta per una diversa avventura e pronta ad accantonare il passato.
Così quando giorno dopo giorno vedevo volti nuovi soggiornare nella mia casa, li accoglievo con un sorriso sincero, ma quasi dimenticandoli dopo la partenza.
Ciò fino a quando sentii nuovamente, improvviso ed inaspettato un’interesse più stimolante e duraturo per la facilità ed il piacere al dialogo, un dialogo fatto di quella sintonia che raramente è possibile avere nella vita di oggi. Capii molto dopo che a provocare quell’apertura in me non era stato altro che l’arrivo di una persona particolare, diversa dagli altri ospiti ai quali ormai ero abituata, perché il nuovo ospite con quella sua presenza discontinua ed insicura nell’apparente sicurezza ed in quel suo insolito modo di fare a pochi avrebbe dato affidamento, mentre in me faceva nascere un senso di fratellanza, riconoscendomi per come forse ero anni prima.
Il nuovo ospite a volte usciva per tornare poco dopo, altre volte acuiva su di me una preoccupazione per l’ora tarda in cui rientrava che era sicuramente oltre l’orario che nessuno però aveva fissato.
Uno, dieci, cento persone avevano soggiornato a lungo o per poco tempo nella casa di mattoni rossi vicino al lago. La zona era tranquilla e distanziava poco o niente dal paese ed era piacevole da percorrere in bicicletta o a piedi.
Tranquillamente Albert, questo era il suo nome, si era presentato un mattino di settembre prima di pranzo chiedendo una camera per un paio di giorni, chissà mi chiesi se per trovare una possibilità d’impiego in quel luogo o per qualsiasi altro motivo.
Certo non potevo domandargli se veniva per diporto o per lavoro, troppa indiscrezione per una stanza a pagamento. Rimandai perciò la curiosità che avrebbe continuato ad alimentare normali congetture ed impazienza di sapere…
Albert, di statura medio alta, chiaro di capelli, pelle abbronzata e occhi grigio azzurro sotto lo scuro delle palpebre, sembrava avere circa quarant’anni malgrado avesse forse per l’abbronzatura tante rughette sul viso che sembravano renderlo più in età o sofferente per qualche recente dolore.
Una certa sofferenza era anche evidenziata dalla piega amara della bocca, nonostante fosse ben disegnata nel suo volto aperto. Usciva sempre ben curato, petto in fuori e sorridente, ma tornava più cupo e con gli occhi che tradivano una minore speranza, malgrado riprendesse presto quella certa grinta di chi è abituato ormai a ricominciare sin dal giorno dopo.
E questo risultava evidente anche senza osservarlo: era come se si percepisse nell’aria.
Albert poteva ricoprire un ruolo lavorativo di vario genere e poteva essere anche un ingegnere che, pur di lavorare, accetta mansioni meno professionali… In ogni caso non dovevo pensare a vuoto non sapendo nemmeno il motivo che lo aveva portato lì.
Però mi colpì al primo sguardo la discordanza fra i modi riservati, quasi segreti all’apparenza, e la franchezza che sprigionava da tutta la persona.
Questa fu la mia impressione che in seguito non mutò sostanzialmente da quanto mi era apparso prima.
Dopo qualche giorno cominciai ad approfondire la sua conoscenza malgrado non domandassi mai alcunché di personale e non cercassi di osservarlo nei suoi movimenti.
Diversamente dagli altri ospiti, che non erano quasi mai più di una decina, lui andava e tornava in orari che non avevano niente di metodico per uno che avesse un impiego fisso.
Non faceva quasi mai la prima colazione perché a volte usciva prima o molto dopo dell’ora stabilita per essa.
Però si fermava con me volentieri per quattro chiacchiere ed un caffé ma questo sempre ad ore inconsuete.
Io trascorrevo molto tempo nella reception a disposizione dei clienti ed a fare studi, ricerche e programmi con la mente o sul computer.
Il tempo era abbastanza sufficiente anche per gli svaghi che però non m’interessavano tanto, eccetto, raramente, il teatro o una gara di vele due volte l’anno e poco altro ancora.
Mi ero forse convinta di stare in pace con me stessa nell’ovattato mondo che mi ero costruita in quell’angolo di lago, lontana dalle aspettative seguite dal dolore di un possibile disinganno e reprimendo la mancanza di completezza in quella soffice solitudine che mi ero creata.
Forse il passato aveva stremato tutto il sentimento che prima sentivo dentro. Non ero inaridita, ma soltanto impaurita di dover ricominciare a credere.
In questa atmosfera mi sorpresi a notare una certa somiglianza ed attrazione fra me e quell’uomo sconosciuto. Come su me stessa, percepivo in lui un insieme di forza di andare avanti e di fragilità nel timore di altre illusioni a cui andare inevitabilmente incontro.
Ecco perché forse eravamo in sintonia fin dal primo momento nella cordialità di scambiarci quattro parole, prendere un caffé oppure un aperitivo.
Poi quando la permanenza di Albert nel paese si prolungò… da due giorni a quindici ed oltre, cominciammo ad approfondire quei nostri incontri che via via da una semplice conoscenza ci conducevano per mano verso l’affiatamento seguito dall’amicizia e dal sentimento crescente.
Dopo non so quanto, ebbi la netta sensazione che entrambi cercassimo la compagnia dell’altro in quel sostare più del dovuto per cercarci nel contatto anche del solo sguardo.
Ben presto ce ne rendemmo conto nel passare dal solo caffé alle passeggiate e naturalmente dal lei al tu.
E così come succede forse in tutte le storie, anche fra Albert e me si stabilì quella sintonia che prima porta alla fiducia reciproca e poi a quella confidenza che apre il cuore e l’anima al compagno.
Iniziammo quasi insieme a parlare di noi stessi, delle nostre aspettative accantonate e dei nostri prudenti ed ora rianimati sogni.
Albert per primo ebbe l’impulso di aprire se stesso: in fondo lui sapeva già chi ero io, essendo un viaggiatore sconosciuto che arriva in una locanda.
A questo punto non rimaneva che scoprire i reciproci sentimenti e far cadere le difese dai quei ritorni del passato … ormai quasi dimenticato.
Ora sorridiamo di quelle nostre timide curiosità nate per volerci conoscere. Queste certo si esaurirono in poco tempo … mentre la vita insieme raggiungeva la sicurezza nei tanti anni trascorsi e da trascorrere sotto lo stesso tetto della casa di mattoni rossi… dove l’Amore nasceva dall’incontro di due solitudini.



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