Respirazione bocca a bocca

di

Sergio Valsecchi


Sergio Valsecchi - Respirazione bocca a bocca
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 82 - Euro 8,30
ISBN 978-88-6037-8422

Libro esaurito

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In copertina: «Vino e labbra» di Sergio Valsecchi


Prefazione

Nella silloge di poesie “Respirazione bocca a bocca” di Sergio Valsecchi, gli innumerevoli sguardi e le rivisitazioni delle esperienze, inquietudini e solitudini sofferte, creano e ricreano il mare magnum di emozioni che accompagnano la vita, nient’altro che un percorso faticoso e dolente, che siamo disposti a percorrere anche a costo di patire un travaglio interiore.
Le pene d’amore, l’elaborazione delle nostre sensazioni più estreme e la difficile convivenza con una figura che rappresenta l’“altro”, l’immagine simbolica con cui fare i conti e tentare disperatamente una via d’uscita dal labirinto, dalla costrizione dell’animo che imprigiona la mente, incatena le mani che cercano di togliere il velo opaco che ricopre la realtà.
Nel silenzio dell’alba si può ritrovare tutto. La luce che illumina la via della poesia. Le manifestazioni del mondo interiore che viene preso in esame, possono ricondurre al “ritrovamento” della visione esistenziale e poetica.
La poesia di Sergio Valsecchi è multiforme. Nella sua poliedricità si muove, senza limiti, nello scandaglio impietoso d’una condizione esistenziale. Avvolto da un senso di fastidio quasi di “nausea”, la sua mente rinnega, rinuncia, non risponde a domande e le immagini diventano ombre che si trascinano sul pavimento.
La continua esplorazione in questa giungla emozionale che è la vita stessa, è ciò che si deve fare quotidianamente, fingendo di essere qualcun altro.
Come a consumare il proprio respiro all’interno d’una stanza, in ogni piccola cosa si riflette il cedimento, il fallimento temporaneo: nelle pause, nelle indecisioni e nei sogni. La giostra della vita è incalzante ed emerge il desiderio di colmare il vuoto che attanaglia: forse cercando di afferrare una carezza che scivola dalle mani, le illusioni che si sciolgono come neve al sole, le immagini della donna amata quando dorme e quel “guardare leggermente distante”, o i pensieri in fuga che fanno “rimanere immobile” con le “crepe nel cranio”.
Non resta che vedere la polvere che si deposita sulle cose e sui sentimenti e cercare di non perdersi in un “insensato girotondo” come a non voler neanche cercare un “collegamento” tra le cose di questa vita.
Sono innumerevoli le metamorfosi per “attirare l’attenzione” della donna amata fin quasi a ridursi “ombra di se stesso” mentre esiste solo la notte che sorprende, e le parole non esistono più perché la volontà espressa è “non chiedere più niente”.
Un lento sanguinamento tra le maglie dell’esistenza, nella dimenticanza, nella chiusura, nel dissolversi delle cose con quel senso di vuoto, rabbia ed angoscia che ci si porta dentro come un incastro tra illusioni, delusioni e smarrimenti, con lo scopo di lasciare qualche traccia d’un beffardo passaggio.
Ecco il silenzio spezzato, le frasi incompiute, il continuo “sogno amaro”, il tentativo di fuga da un mondo che è corroso. La prospettiva di una guarigione si trova nella notte che diventa la migliore compagna “seducente perversa morbida e terribilmente affascinante” che spinge a “soffocare lentamente” fissando l’oscurità. Come “in fondo a un bicchiere”, “in fondo a un amore”, “in fondo a un lavoro scomodo” quando la miscela di visioni si impossessa del silenzio e le parole “prendono alla gola, al cuore, al cervello” come lame affilate che devono penetrare pensieri chiusi nella mente.
Eppure le esperienze esistenziali vengono rivisitate permeando il tutto con un tocco d’ironia come quando scrive “ho perso le chiavi di casa/nello stesso modo in cui ho perso tutto il resto”, e, a volte, spingendosi fino al sarcasmo.
Comunque “fuori dalla finestra/il mondo procede normalmente” e Sergio Valsecchi non sembra preoccuparsene perché ha “qualche libro da leggere” e “poesia nelle mani”. Come a seguire un piacere personale, intrappolato “dalle luci e dalle tentazioni” e quel camminare da solo, quel guardarsi attorno, fino a scrutare nelle “inclinazioni particolari” del giorno: l’insaziabile desiderio di indagare dentro se stesso, tentare di evadere per non ritrovarsi “nell’ombra” ed aspettare che l’inchiostro finisca “per poter chiudere gli occhi/ e fingere di essere più leggero”.
Nella poesia di Sergio Valsecchi emerge la fondamentale consapevolezza di un “uomo che osserva il tempo passare/ senza aver paura di finirci dentro”. La vita continua, senza tregua, si deve “fare un passo avanti” e “ridere ogni tanto… prima di guardarsi allo specchio”.

Massimo Barile


Respirazione bocca a bocca


Gli ultimi due versi legati al collo,
mostrati come fiori all’occhiello.

Gli ultimi due versi
che galleggiano sul foglio.


Io e lei e ogni piccola altra cosa

Non ho chiesto niente
alle fragili ossa del mio cranio
ma ho sempre sperato
in un loro cedimento
per lasciare finalmente
sgorgare quello che ormai da anni
mi picchia dentro
con la forza di un giovane pugile
sulla cresta dell’onda.

Ho pensato spesse volte
che tu eri la prolungazione della morte
e ti divertivi a invertirti
con il giorno per farmi innervosire
nella speranza di un mio passo falso.

Sono stato paziente e ho conversato
con i pazzi per eludere le persone normali
e adesso che ci troviamo faccia a faccia
posso vedere i tuoi grandi occhi,
non più così grandi,
e tutto quello che ho dentro
riflettersi in ogni piccola cosa
come nelle pause tra una parola e l’altra
o negli attimi di indecisione nell’ordinare un’altra birra
o meglio nei sogni che tu mi hai indotto a fare
e che ho fatto miei come un ladro d’appartamento.


Per la mia debolezza

Ho cercato di afferrare la tua carezza
ma è scivolata dalle mie mani
e ho temuto che si rompesse.

Nel buio del bagno
mi sono illuso per un attimo
di poter sparire con l’acqua,
essere soltanto un’azione
facilmente dimenticabile,
e lavare tutte le mie budella
regalando l’anima
alla forza di gravità.

Ogni tanto rido davanti allo specchio
perché so che non ci
riuscirò mai;
in segreto ho versato lacrime
mentre tu ti truccavi
e sono stato attento a non far rumore
perché in quel momento
avevo una gran paura
che tutto crollasse
che tutto implodesse
senza che io potessi più scrivere
sullo specchio appannato

ci vediamo stasera.


Come polvere sarò

Non sono in grado di trovare
il punto dove posso sedermi
e godere la luce della luna
e capire se dentro questi organi
c’è un filo conduttore.
È un alternarsi di stanze vuote
e di patetiche lusinghe
in buchi vuoti
mentre le vuote palle degli occhi
fissano l’oscurità,
la fissano intensamente
e subito dopo la dimenticano
e di nuovo la fissano
ricominciando a sanguinare.
Un sangue nero che scende dalle scale
che ingrassa la civetta e il suo verso.
Siamo improvvisamente dentro a una stanza;
ad alcuni la politica piace
(a tal punto da morirci)
e piace alzarsi la mattina presto per prendere
coscienza che gli alberi e il sole
e il mare e tutto ciò che c’era prima di noi
tra un po’ sarà sparito.
A me piace stare rinchiuso
e pensare che quando avrò la forza di uscire
ci siano gentiluomini che guidano aironi
e le radio trasmettono musica nuova
e le code metropolitane siano polvere
come polvere è la giacca e la cravatta
come polvere sarò io
come polvere sarà questo foglio
ma non le sue parole.


Mucche rosa sulla mia schiena

Il rosso del semaforo mi sbatteva in faccia
quello che per tutto il giorno (e forse per tutta la vita)
ho cercato di non dire.
Avevo un piacevole nervoso che
saliva dalle gambe come una burla
che piano piano prende coscienza di sé
e ti piomba addosso come un treno impazzito,
guidato da un macchinista impazzito
o soltanto in ritardo,
o solamente deluso.
Sono rimasto immobile con delle crepe
nel cranio e attendevo qualcosa,
qualsiasi cosa che funzionasse da diversivo,
ma il semaforo è diventato verde ed io sono dovuto partire
e rientrare nel circolo vizioso dei miei pensieri boccheggianti
come pesci poetici di parole salmastre sulla banchina.
Cosa sono queste lacrime sulla mia faccia,
cosa sono, mi chiedo, le tarantole sui miei piedi,
cos’è il suo bacio e il suo morso
se non un momento in più per dire a me stesso
hai perso ancora, devi andartene
devi eliminare tutta questa poesia noiosa
che entra come un cancro nei polmoni.
Stasera forse darò una piccola festa,
sceglierò i miei invitati dal riflesso
del finestrino della loro auto
e servirò per cena qualcosa di delicato
anche se di delicato ci sarà soltanto
il silenzio dopo che tutti se ne saranno andati
e la quotidiana condanna della luna
che in un angolo della casa disegna mucche rosa
sulla mia schiena.


La mia notte

Questa notte è come un serpente
tortuoso dalla coda di donna
che graffia e sputa fuoco
e rende le tue mosse dolci caramelle
abbandonate in un contenitore opaco.

Questa notte, la mia notte
mi sorprende a specchiarmi
nel foglio bianco,
ancora una volta
come tante volte già scritto.

Ho un tappo all’incirca tra lo sterno
e qualche altra cosa più sotto,
fa male ma sopporto
non proprio da eroe.
Ho cercato questa mattina
tra le macchine
e tra i semafori
qualche traccia della mia notte
ma ho ricevuto soltanto multe
che si accumulano ad altre multe
e tornando a casa sconfitto
ho sentito che quel maledetto tappo
era ancora lì.

Sentirsi attratti follemente
da tutto ciò che non è umano
sentirtelo addosso come la calura estiva,
battendo tutto te stesso contro
i crimini più brutali.

È una questione di sangue freddo;
come i vecchi film anche tu
hai bisogno di qualche restauro.

Una donna di marmo
con cosce dure
e labbra di spada; un rischio
che vale la pena correre
e c’è chi corre velocemente
e chi ogni tanto si ferma ad ammirare
quello che molti fanno finta di non vedere
(io non vedo dietro ai muri ma semplicemente osservo le rose nascere
e poi morire).

Questa notte è un lungo corrimano
dove sopra ci puoi vedere deserti
e parole scisse
e tarantole colorate
e la mia espressione che dice

non chiedere
più
niente.


Settimo giorno

Il settimo giorno è già finito
ed io sono ancora seduto
sulla tazza del cesso
a parlare con le pareti
dando un tono alla mia pazzia da civile.

Il settimo giorno è già finito
e la nave sta salpando;
l’ammiraglio piange perché
ha lasciato la sua donna
mentre i marinai bevono whisky
per dimenticare i loro amori
e i gentiluomini a terra
gettano già il loro corteggiamento.

Il settimo giorno è già finito
e si sta puntando sull’ottavo;
milioni di persone
si sentono realizzate guardando
i loro simili mentre mettono in mostra
quello che già si sapeva sul loro conto;

la giostra gira al contrario,
l’orologio ci avverte che i frutti
stanno marcendo
e che i nostri vestiti sono diventati
stretti, troppo stretti
per poter uscire ancora di casa.

Il settimo giorno è già finito
ma la campagna elettorale va avanti;
il crocifisso si piega
e la gente mi guarda pensando che sia pazzo.

Prendimi sulla tua schiena,
studieremo il piano di evasione
e con una lama fra i denti
ci spoglieremo
davanti al grande centro commerciale.

Il settimo giorno è già finito
ma la trappola per i topi
non è scattata;
il virus avanza;
dopo la curva c’è ancora
un pezzo di città
e dopo l’orgasmo
c’è tempo per un’altra poesia.

Il settimo giorno è già finito,
la buca è stata scavata tutta,
i vermi aspettano ingordi
mentre l’inferno e il paradiso
si sciolgono in un
banale temporale estivo.


Specchio

Sei stata lontana per un po’
E mi sei mancata.

Sei stato lontano per un po’
E mi sei mancato.

Dobbiamo vederci.

Sì, vederci assolutamente.

Nient’altro?

No, credo di no.


Un posto caldo

Rimane poco tempo per stare soli
e solo era stato ore ed ore
a guardarla alla finestra
mentre lei fumava sigarette
e la cenere scendeva
come neve polverosa e minacciosa
che a terra si scioglie immediatamente.
La luce del lampione
era l’unica testimonianza
di una realtà andata in mille pezzi
a giocare ai soldati
nel cortile del vicino.

Al bar era sempre la stessa cosa,
milioni di teste mozzate
che rotolano sul bancone
e altrettante usate come palloncini
debitamente tenute da non più giovani donne
con il rossetto sbavato e i seni cascanti.
Il barista si è preso una pausa;
il tempo continua ad arrampicarsi
sulla mia schiena,
sulla terra,
sulle birre sgasate,
ma nonostante tutto rimaniamo convinti
che tutto possa fermarsi
o perlomeno che diventi una grossa tartaruga
con un guscio simile ad una miniera d’oro.

Beviamo ancora un po’,
gli amici non mancano per questo,
e le labbra supplicano liquidi;
il tempo non piange mai
ma ci piace pensarlo ogni tanto
forse semplicemente per scagionarci.

Dov’è quella fumatrice?
È scappata con una pelliccia
(il barista è ancora fuori servizio mentre il fumo si anela nei canali di Amsterdam).

La mia corazza ha bisogno di un posto caldo,
forse possiamo trattare per un prezzo ragionevole…
altrimenti beviamoci su
e mangiamo altra cenere.

Le vite scorrevano in vino
e architetti progettavano case
per le nostre fughe notturne.
L’alba è lontana,
non siamo del tutto ubriachi
per regalare ore al CASO.


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