I conflitti di potere nella moderna cultura organizzativa

di

Sergio Benedetto Sabetta


Sergio Benedetto Sabetta - I conflitti di potere nella moderna cultura organizzativa
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 72 - Euro 8,50
ISBN 9791259511744

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In copertina: «Costruzione ponte anni Venti del ’900, Geom. Attilio Colapietra» fotografia dell’autore


All’interno fotografia dell’autore


Prefazione

Sergio Benedetto Sabetta propone un interessante saggio di psicologia sociale che analizza i “conflitti di potere” nella moderna cultura organizzativa attraverso un complesso excursus che prende avvio dalla teoria dei sistemi, relativa alla comunicazione e psicologia sociale, per finire con la creazione delle norme e regole nella psicologia sociale del controllo.
Ponendo alla base dell’analisi l’assunto che “lo scopo principale di qualsiasi comunicazione interpersonale sono il controllo del proprio ambiente, la soddisfazione dei bisogni e il sostegno alla propria identità”, si evidenzia che le persone, come sostiene Kurt Lewin, nel momento in cui hanno “la percezione di sé come membri di un gruppo, determinano l’esistenza di una mente di gruppo” e, come sottolinea Max Weber, l’azione “si trasforma in un comportamento solo nel momento in cui l’individuo vi annette un “significato” che è il risultato di una relazione dell’azione con altri eventi”.
La comunicazione nel gruppo e nella Comunità è plasmata, al suo interno, dai rapporti tra i membri, ed ogni sistema sociale umano è intrinsecamente dinamico: ciò conduce ai conflitti sociali e politici, alle guerre, al contrasto tra sistema umano e ambiente naturale, al conflitto tecnologico ed anche ad un conflitto tra “equilibri di sistema”.
Le “relazioni di influenze” nella cultura di gruppo vengono alimentate dal fatto che, nella società odierna, l’individuo tende ad essere isolato e ciò, come viene evidenziato, favorisce la manipolazione ed il controllo attraverso un costante condizionamento.
Come sostenuto da alcuni studiosi per comprendere appieno la cultura organizzativa deve “adottarsi un approccio multidimensionale e multilivello nel quale vi è una stratificazione a partire dai “valori basilari” della coalizione dominante” a cui si adeguano le manifestazioni della cultura organizzativa come le ideologie, il linguaggio, i simboli e i miti, la socializzazione e via dicendo.
Durante tale processo v’è il passaggio dalla comunità di valori al disorientamento dei valori: la famosa “liquidità” che Zygmunt Bauman osserva nella globalizzazione tecnologica, economica e complessuale che crea un divario con un approccio esclusivamente utilitaristico da cui ne deriva una precarietà etica finalizzata prevalentemente all’utile economico, un “dover essere” predeterminato.
Il sociologo e filosofo Bauman, usando la metafora di società liquida e solida, sostiene come “l’incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori, conduce allo smantellamento delle sicurezze e ad una vita liquida sempre più frenetica e costretta ad adeguarsi alle attitudini del gruppo per non sentirsi esclusi: tutto si trasforma in “merce” incluso l’essere umano.”
Nella parte finale del saggio vengono presi in esame anche i concetti di leadership e potere decisionale, cioè quel processo di influenze sugli altri per far comprendere ed accettare le decisioni e le azioni: infatti, nella Comunità è “la pressione sociale che crea il conformarsi alle regole formate nel gruppo, rinsaldate dalla leadership ed accettate dalla comunità”, ed è proprio tale processo che crea il conformismo.
Nel saggio in esame logicamente sono presenti numerosi riferimenti alle teorie di famosi studiosi e va sottolineato che è assai nutrita la galleria di Autori alla quale attinge Sergio Benedetto Sabetta.
Per concludere si può ben affermare che, con il suo saggio dal titolo “I conflitti di potere nella moderna cultura organizzativa”, Sergio Benedetto Sabetta offre un’attenta analisi su alcune concezioni che sono alla base del comportamento organizzativo e della cultura di gruppo, delle teorie della comunicazione e psicologia sociale e dei relativi conflitti di potere nella moderna cultura organizzativa.
La sua scrittura è attenta e precisa nell’indagare tali processi e dinamiche evidenziando grande capacità nel fissare le varie teorie con rapidi cenni, rendendo sintetica la trattazione e, quindi, veloce la lettura, in modo da non appesantire con inutili e complessi riferimenti teorici e sociologici.
Sergio Benedetto Sabetta alimenta tale appassionata e costante esplorazione con un linguaggio lineare, sempre attento e preciso, proponendo il suo saggio che rappresenta un coinvolgente “viaggio” nei processi evolutivi relativi alla psicologia sociale.

Massimiliano Del Duca


Introduzione

Comunicazione

In ogni gruppo o comunità che si voglia vi è comunicazione, tanto che Watzlawick afferma che è impossibile non comunicare, anche il solo comportamento è di per sé stesso comunicazione indipendentemente dalla parola, né vi è la possibilità di un non comportamento (Scuola di Palo Alto).

La comunicazione trasmette informazione (notizia) ma al contempo impone un comportamento quale risposta, il tutto è avvolto dalla meta-comunicazione nella quale l’attenzione si sposta dal contenuto alle caratteristiche, alle modalità e al contesto, questa pertanto fornisce gli elementi per meglio interpretare il contenuto della comunicazione stessa.

Più la comunicazione è complessa maggiore è la possibilità di incomprensione per la diversa visione soggettiva della situazione (punteggiatura), con punti di vista assoluti e incontrovertibili, ancor più se si considerano le sfumature del linguaggio in rapporto ai toni, alle flessioni vocali, alla postura e a tutti i possibili altri elementi di meta-comunicazione, che possono al contempo interpretare la comunicazione ma anche fuorviarla per le ambiguità di decodifica, come ad esempio il sorriso o il pianto.

Nel gruppo come in ogni comunità la comunicazione è plasmata anche dai rapporti paritari o gerarchici instaurati al suo interno tra i suoi membri, la distinzione tra relazioni di natura simmetrica o complementare facilita la comprensione evitando equivoci e quindi potenziali conflitti.

Ulteriori elementi attraverso cui vi è una trasmissione di informazioni sono i “simboli” di cui ciascuno si riveste, anche in funzione del ruolo, i “miti” che formano parte della cultura organizzativa e i “riti” con cui si consolidano i rapporti e si stemperano le tensioni, o almeno si tenta, quello che comunque unisce tutti questi elementi è la credibilità e la fiducia dei leader nel gruppo nonché il rispetto reciproco tra i membri, in questo una certa dimensione la si può raggiungere con l’ironia e l’umorismo (Pilati, Tosi).

L’interpretazione della comunicazione può essere sviata anche da fenomeni di bias cognitivi ossia da errori di attribuzione, dobbiamo considerare che siamo influenzati nel nostro giudizio dalle caratteristiche personali di colui con cui relazioniamo sottovalutando le specifiche situazioni ambientali, così da non rapportare nei giusti termini i fattori situazionali esterni con i fattori disposizionali interni (Heider).

Lo scopo principale di qualsiasi comunicazione interpersonale sono il controllo del proprio ambiente, la soddisfazione dei propri bisogni e il sostegno alla propria identità, attraverso la comunicazione vi è uno scambio più o meno contrattato di risorse che può essere anche il contenuto per sé stesso della comunicazione.

Si deve considerare che la comunicazione da “formale”, nei piccoli gruppi di lavoro, nel tempo, può scendere a livelli psicologici con informazioni specifiche relative all’individuo piuttosto che al suo ruolo sociale, con sfumature interpretative maggiori.

Le relazioni fra gli individui sono di carattere dinamico, essi manipolano l’ambiente con le loro aspettative e percezioni, scegliendo fra vari scopi e considerano gli altri come agenti attivi di cui controllare le azioni, ne consegue che le interazioni comportamentali non sono semplici somme di singole interazioni ma si riflettono nel tempo su scopi, aspettative ed eventi che devono ancora accadere.


I conflitti di potere nella moderna cultura organizzativa


TEORIA DEI SISTEMI
Teoria della comunicazione e psicologia sociale

I gruppi nell’organizzazione sociale

Ogni sistema sociale umano è intrinsecamente dinamico e non può essere pensato in forma separata dalla storia, l’equilibrio che in esso vi deve essere al fine di una sua durata sono da Braudel, secondo la Scuola delle Annales, individuati nelle dimensioni:
• Ecologica;
• Economica;
• Sociale;
• Politica;
• Culturale.
Tutte queste dimensioni interagiscono fra loro, diventando volta per volta, a seconda delle epoche, prevalenti a turno all’interno del sistema in equilibrio congiunturale.

Il mutare di uno dei sistemi trasforma gli scenari, in un riequilibrio conflittuale, variamente rinegoziato.

Conflitti fra popoli che si traducono in guerre; conflitti fra gruppi sociali, teorizzati quali conflitti di classe; conflitti tra sistema politico e società civile, guerre civili; conflitto fra il sistema umano e ambiente naturale, dissesti ecologici; conflitti di modernizzazione, tecnologici, fra equilibri passati e futuri equilibri di sistema non ancora consolidati.

Attualmente è proprio quest’ultimo conflitto, nascente dall’accelerazione tecnologica, che nell’espandere attraverso il progresso scientifico le basi produttive e le comunicazioni, viene a prevalere nel causare gli attriti tra sistemi.

Processi di modernizzazione indotti dall’esterno, senza una adeguata trasformazione culturale e dei rapporti sociali, creano forme di sfruttamento selvaggio delle risorse umane e naturali da parte di gruppi elitari, ponendo le premesse per i futuri conflitti sia interni che esterni tra sistemi confinanti che ne subiranno i contraccolpi.

Luhman ci ricorda che nel preciso momento in cui un sistema non riesce a relazionare tutti i suoi elementi procede in modo selettivo, creando dei sottosistemi che si relazionano differentemente con l’ambiente esterno, si crea una complessa rete auto replicante formata da sottosistema e ambiente sia interno che esterno.

I limiti della crescita sono dati dalla necessità di una gerarchizzazione delle diseguaglianze interne, ma con il ricorso ad una differenziazione funzionale, come avvenuto nelle società moderne di matrice europea, si supera la limitazione alla crescita e allo sviluppo del sistema.

Si ottiene così una complessità maggiore rispetto alle società semplicemente stratificate, con la rinuncia ad una “stretta e vincolante” regolamentazione dei rapporti che vengono lasciati in parte liberi, con una maggiore adattabilità alle prospettive di successo e al tempo stesso cambiando il senso dell’esistere.

Omeostasi, retroazione o autoregolazione, informazione selettiva, sono tutti elementi che intervengono nella trasmissione dell’informazione nei sistemi complessi, in cui vi è un rapporto variabile tra gerarchia e differenziazione funzionale, l’insieme del sistema nel suo interagire acquista un significato maggiore della semplice somma delle sue parti (Simon).

L’evoluzione dei sistemi è facilitata dal formarsi di strutture interne stabili che facilitano la gerarchizzazione tra sottosistemi, in previsione dell’ulteriore passo della differenziazione funzionale.

Nella “teoria dei sistemi quasi scomponibili” vi sono interazioni deboli ma non trascurabili tra sottosistemi, a riguardo ci sono alcuni sistemi gerarchici che si avvicinano a tale tipologia, in cui a “breve termine” esiste una quasi indipendenza tra sottosistemi, mentre a “lungo termine” ciascun sottosistema dipende dagli altri ma solo in termine di “aggregato”.

Un punto critico è l’interazione tra due o più sistemi che viene ad escludere l’interazione con tutti gli altri sottosistemi, in quello sociale l’essere umano procede per elaborazione delle informazioni in termini seriali più che paralleli, essendo limitata a poche persone l’interazione diretta o verbale, a cui deve aggiungersi il tempo necessario che il ruolo comporta in compiti e responsabilità.

Vi è un continuo passaggio da “descrizioni di stato” a “descrizioni di processo” nella ricerca di soluzioni ai problemi di sistema, che nella consapevolezza diventa una analisi di mezzi-fini, dobbiamo tuttavia considerare che la complessità o la semplicità dipendono fortemente dal modo in cui si descrive la struttura stessa.

Il mutamento sociale non è da considerarsi una tappa logica ineluttabile dell’evoluzione umana, né può considerarsi un nuovo modello razionalmente migliore, esso è piuttosto la trasformazione di un sistema di azione, in cui non sono le regole a cambiare bensì le relazioni umane, con nuove forme di controllo e modelli di governo nuovi ma efficaci, sostanzialmente una nuova forma culturale (Crozier).

La circolarità ricorsiva risulta essere l’origine della semplicità di una logica complessa, Morin considera la complessità come la capacità di elaborare contemporaneamente diversi livelli, mettendoli in relazione tra loro, riducendo pertanto ciò che appare complicato in complesso, ossia un vincolo in una risorsa.

Mutamenti culturali e sociali sono collegati tra loro mediante una relazione complessa di carattere circolare, vi è un trattamento dell’informazione che passa attraverso gli “agenti della modernizzazione”, ovvero coloro che elaborano le informazioni e le socializzano.

Il mutamento crea simboli in quanto ogni struttura sociale ne ha bisogno per identificarsi e consolidare le relazioni, esso è qualcosa di più del semplice significato convenzionale, nel rapporto con la mente crea scintille di idee poste al di là delle semplici capacità razionali.

I simboli vengono quindi a rappresentare la parte inconscia di una organizzazione e del sistema che essa rappresenta, in uno stretto intreccio tra profilo funzionale-razionale e simbolico-affettivo.

Si è discusso se esiste una “mente di gruppo”, mentre Allport nega tale evenienza, rifacendosi interamente alla psicologia individuale, Lewin e Asch ne sostengono l’esistenza nel momento in cui le persone hanno una percezione di sé come membri di un gruppo, l’esternalizzazione avverrà con una produzione culturale di gruppo, quali parole d’ordine, regole e valori.

Naturalmente occorre distinguere tra comportamenti individuali e di gruppo, questi sussistono nel momento in cui differisce il rapportarsi a seconda se gli altri siano appartenenti o meno al gruppo, si manifestano così due identità una personale e l’altra sociale, costituita da una uniformità di comportamento.

Nella realtà anche nell’identità sociale restano elementi dell’identità individuale, come non deve confondersi la folla con il gruppo, dove non vi è una identità sociale ma una semplice e momentanea interazione intergruppo, senza che vi sia una perdita dell’identità individuale.

Con l’entrata nel gruppo l’individuo modifica la percezione di sé stesso e quindi della sua autostima, ma anche il gruppo deve adattarsi, nell’entrare può verificarsi una “dissonanza cognitiva” tra aspettative e difficoltà d’accesso, la quale viene ricomposta modificando la percezione del gruppo.

L’interdipendenza all’interno del gruppo è fondata su due elementi:
• l’interdipendenza del destino, in cui i singoli membri identificano il proprio destino con quello del gruppo;
• l’interdipendenza del compito, possedere degli scopi comuni i cui risultati dipendono dagli effetti delle azioni dei singoli membri.
Con il diminuire dell’interdipendenza la produttività diminuisce, prevalendo all’interno del gruppo rapporti interpersonali, base per la realizzazione di interessi del tutto personali.

L’attenzione rivolta al compito fa emergere la rilevanza dei “contenuti”, che possono essere strumentali, diretti al compito, o espressivi, socio-emozionali, questi ultimi hanno la funzione di ridurre le tensioni interne al gruppo.

Nella condivisione dei “valori” interviene sia la comunicazione che la formazione, quest’ultima è tra i più importanti fattori nei processi di gruppo, determinando la scala dei valori su cui si poggia il gruppo e quindi le reciproche aspettative tra i membri del gruppo.

Le norme rappresentano elementi essenziali per interpretare il mondo, essendo un sistema di concetto a cui sono associati dei valori, al fine di creare ordine e prevedibilità di azione nel contesto in cui vive il singolo.

Essendo le norme punti di riferimento, l’individuo trascorrerà un periodo di attesa prima di agire nel gruppo per poter apprendere e così orientarsi tra le norme, le quali tra l’altro riducono l’ansia nei momenti di destrutturazione del gruppo stesso.

Regolazione sociale e codifica dei comportamenti per le azioni necessarie agli scopi del gruppo, non possono comunque eliminare la “latitudine di accettazione” della norma, questa è più o meno elastica a seconda se riguarda aspetti centrali o periferici della vita del gruppo, elastica all’interno, rigorosa su attività fondamentali e verso l’esterno, pena la delegittimazione.


Antropologia culturale (Estetica, tecnologia, interpretazione)

L’estetica è la fonte delle emozioni che viene a sostituire la nozione antica di passione, nella nostra vita spirituale viene ad affiancarsi all’intelletto e alla volontà, radicandosi nell’esperienza sociale dell’arte.

Nel mondo virtuale l’estetica viene a fondersi con la grafica della scrittura, vi è un recupero della concezione amanuense della scrittura come riportata nei codici.

La grafica industriale, di per sé freddamente razionale della stampa, così come si è sviluppata dalla rivoluzione industriale stessa, viene ad essere reinterpretata in termini estetici e artistici, secondo un modello che si avvicina alla street art.

D’altronde, come afferma Guyan, l’arte è anche un’attività comunicativa, di cui bisogna avere la consapevolezza del suo valore sociale; la perfezione armonica costituisce, per Souriau, la fonte della “perfezione razionale” che diventa una “bellezza intellettuale”, un fine in sé, in quanto funzione essenziale dell’essere (Guyan).

La scrittura nel mondo virtuale tende a creare emozioni estetiche, acquisendo per tale via un ulteriore senso storico sociale, inserendo nel segno grafico l’immaginazione simbolica della vita interiore, come atto diretto che supera la mediazione del binomio grafema-vocale, annullando in sé ogni distinzione tra razionalità ed emozione.

La realtà informatica tende ad aumentare la capacità creativa, il desiderio di cambiare, ricomponendo il contrasto tra tecnica ed estetica, (Dufrenne) fino ad impegnarsi nell’azione politica per orientarla, ma la realtà informatica è anche creatrice di una utopia che nel contrastare l’ideologia diventa ideologia lei stessa.

Vi è un forte desiderio nell’utopia tecnocratica che si viene a creare, l’essere tende ad identificarsi con le potenzialità generatrici del possibile nella realtà maturata, è l’irraggiamento di un ideale che conquista a una nuova idea morale, l’ammirazione per il nuovo eroe (Souriau).

Per Weber l’azione si trasforma in un comportamento solo nel momento in cui l’individuo vi annette un “significato”, questi è peraltro il risultato di una relazione dell’azione con altri eventi o azioni, si hanno quindi “azioni sociali” in riferimento a comportamenti passati, presenti o futuri di uno o più individui e “azioni non sociali” in cui non si bada alle conseguenze.

Nelle relazioni dialettiche tra personalità interviene la cultura nella quale le relazioni stesse sono immerse, occorre quindi anche considerare la relazione dialettica tra le stesse relazioni e la società, questo comporta l’impossibilità di comprendere una relazione isolandola dal contesto sociale.

Nelle relazioni vi sono due tipologie, le relazioni “di ruolo”, in cui prevale la posizione occupata nella società, e le relazioni “personali” nelle quali prevale la conoscenza personale dell’individuo, queste variano al variare della comunicazione nel contesto.

Analogamente si possono distinguere comportamenti diretti ad uno scopo ma guidati da regole esplicite, comportamenti diretti ad uno scopo ma senza regole esplicite, comportamenti diretti ad uno scopo non coscientemente, comportamenti diretti ad uno scopo a seguito di precisi piani, indipendentemente dalle regole, spesso le varie tipologie si mescolano fra loro.

Se degli schemi di rappresentazioni cognitive dell’esperienza sono condivisi da altri e fungono quali vincoli nei giudizi, si hanno delle “norme” e come tali creano delle “aspettative comportamentali” presso terzi.

Le norme possono arrivare non solo ad influenzare il comportamento ma anche i valori e le emozioni, fino ad influenzare altre norme.

Sia il percepire che il vedere sono attività che dipendono in gran parte dalle nostre abitudini, una molteplicità di sistemi simbolici e linguaggi viene a filtrare le nostre esperienze, costruendo la descrizione non della verità ma di una delle verità, fornendo per tale via un significato al mondo in cui viviamo.

Ne consegue che un fatto risulta determinato solo in relazione ad uno schema concettuale, costruito all’interno di una determinata cultura umana.

Dobbiamo quindi definire il concetto di cultura quale un complesso di atteggiamenti, di istituzioni, idee, tecniche ed oggetti concreti, elaborati da una società per soddisfare i bisogni dei suoi componenti.

Esistono a riguardo bisogni primari, relativi all’autoconservazione e bisogni secondari di carattere derivato. Il consolidamento del patrimonio di conoscenze utili alla conservazione e sopravvivenza di un sistema sociale diventa pertanto, “tradizione”.

Malinowcki individua i bisogni primari in quelli di:
• sussistenza, istituzioni di natura economica;
• sessuali e di riproduzione, istituzioni di natura sociale;
• difesa, istituzioni di natura economica, tecnologica e sociali;
• associazione, istituzioni di natura sociale;
• diporto, istituzioni di natura sociale;
• culturali o secondari, derivano dagli altri.
Entro ogni cultura vi sono due movimenti che si contrappongono, uno conservativo di accumulazione della tradizione e trasmissione alle future generazioni, l’altro di trasformazione delle strutture e delle funzioni.

Fattori dinamici di trasformazione culturale, quali le innovazioni tecnologiche, la diffusa immigrazione, la selezione-integrazione culturale, l’acculturazione, con la trasformazione radicale di una cultura a contatto con altre culture, devono essere fonte di una reinterpretazione e adattamento così da doversi trovare in equilibrio con la tradizione, se non si vuole rischiare di travolgere l’ordine ed i valori sociali su cui si fonda.

Questa esigenza è tanto profonda che anche in Paesi di antica e radicata democrazia, come la Danimarca e la Svezia, innanzi a grossi flussi migratori non omogenei culturalmente, viste le tensioni createsi, è sorto il problema non solo dell’integrazione ma anche dell’assimilazione, come garanzia contro il rischio e la paura di una perdita di identità.

Il rapporto tra culture distanti tra loro è sempre stato fonte di tensione, tanto maggiore quanto grande è la differenza, ne risulta l’assenza di interazione e una incomprensione avente ad oggetto innanzitutto il linguaggio.

L’identità è la percezione che il gruppo ha di sé stesso all’interno di una visione generale del mondo, essa si forma mediante un sistema di valori e conoscenze, sebbene di natura psicologica si deve riconoscerne la sua necessità biologica nella formazione della “personalità”, in cui il valore di verità dei costrutti cognitivi risulta del tutto relativo, una utilità peraltro funzionale alle relazioni sociali.

Il linguaggio deve essere quindi valutato non solo in termini strutturali, ma anche quale comportamento sociale, dove accanto alla “comprensibilità” vi è la “accettabilità”, esso diventa perciò modello comportamentale e della attività di categorizzazione sia della realtà sociale che fisica.

Ciascuna lingua è solo apparentemente compatta e coerente a tal punto da formare interamente il comportamento, essa è piuttosto una comunità linguistica costituita al proprio interno da varie e differenti reti linguistiche.

Non esiste una coincidenza perfetta tra linguaggio e pensiero, nei rapporti interviene l’elemento culturale a cui si aggiunge il fattore biologico di una specifica situazione ambientale, la tecnologia è pertanto interpretata nel suo quotidiano nel rapporto cultura-biologia, da cui ne consegue la differente visione tra diverse culture degli stessi sviluppi tecnologici, di cui ne è un esempio l’informatica.

In Cina e Giappone vi è un approccio all’informatica del tutto positivo, con una identificazione totale con il mezzo, i bambini vengono lasciati a interloquire con degli umanoidi senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze, tanto lessicali che comportamentali.

Studi condotti in Inghilterra dalla dottoressa Richardson alla De Monfort University di Leicster (vedere anche Vittorio Saradin, Generazione Z. Se i bambini si comportano come i robot, 30, in “La Stampa” del 3 luglio 2018), sembrano confermare la perdita della capacità di comunicare quale essere umano, d’altronde il sistema di scrittura per ideogrammi e la struttura sociale fortemente gerarchica facilita l’acquisizione e l’adattamento ai codici informatici.

Secondo McLuhan tutto quello che l’uomo fa è interpretabile quale forma di linguaggio, dobbiamo infatti considerare il comunicare elemento fondamentale della società, in quanto indispensabile per qualsiasi forma di relazione sociale.

Il progresso tecnico non comporta di per sé un miglioramento nella comunicazione, molte volte può risolversi più semplicemente in un accumulo progressivo e disordinato in termini quantitativi e non qualitativi delle informazioni stesse, si tratta in definitiva di “rumore” che nel sovrapporsi ai messaggi ne riduce notevolmente sia la qualità che la fruibilità.

Finora nella comunicazione di massa il modello è stato unidirezionale, con l’era informatica diventa bidirezionale, questo di per sé non garantisce la qualità dell’informazione, in quanto il feed-back potrebbe essere organizzato ai soli fini del controllo sull’efficacia dell’informazione trasmessa.

[continua]


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