Racconto premiato di Salvatore Scollo

Con questo racconto è risultato 7° classificato – Sezione narrativa alla XIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2009


Questa la motivazione della Giuria: «Salvatore Scollo racconta la storia di un insegnate di lettere al liceo classico ormai a pochi anni dalla pensione dopo una vita passata ad insegnare, un matrimonio finito, un continuo e sottile senso di malessere e la sensazione di fare i conti con la solitudine. Poi, come uno spiraglio di luce che illumina la vita, una studentessa riesce a regalargli un’impagabile soddisfazione. Un gesto affettuoso sarà il sigillo al racconto di Salvatore Scollo: intenso, umanamente sentito e profondamente autentico». Massimo Barile


Storia d’altri tempi

Ho aperto gli occhi e mi sono alzato subito e son ritornato ad essere contento. È che te ne sono grato, capisci. E te lo volevo dire.
(Raymond Carver)

Era quasi alla fine della carriera 
lavorativa, pochi anni ancora e sarebbe andato in pensione. Non attendeva quel momento con trepidazione, la prospettiva di chiudere un ciclo della sua vita piuttosto lo immalinconiva. Un’esistenza intera (si poteva dire così?) passata sui libri e a insegnare Lettere nelle prime classi del Liceo Classico. Un sogno realizzato, quello di condividere con adolescenti aperti alla speranza l’attesa di novità che sicuramente sarebbero apparse nel loro orizzonte. I conflitti con gli alunni non lo avevano mai preoccupato più di tanto. La convivenza, si diceva, anche con le migliori intenzioni, porta sempre con sé momenti di scontro, di incomprensione. Filosofia che non era attecchita nel suo matrimonio. La moglie, bella ed esuberante, da subito si era incapricciata di un tizio che egli riteneva soltanto un bellimbusto, e lui non era riuscito a definire se la rottura poteva, almeno in parte, essergli attribuita. La mancanza di figli (era mancato il tempo di costruire un progetto sulla loro eventuale venuta) non gli pesava in modo eccessivo. Supplivano gli alunni, che considerava come componenti della sua famiglia.
Vita dimessa? Talvolta se lo chiedeva, ma prevalevano l’ottimismo e la razionalità; si rispondeva che no, la sua vita non poteva considerarsi sprecata. Non gli mancavano il rispetto dei colleghi e l’affetto da parte delle scolaresche (nelle foto di fine d’anno gli apparivano come una nidiata di pulcini stretti attorno alla chioccia); rifuggiva dall’inseguire avventure galanti (ricordava appena una storia durata meno di un anno con una vicina di casa che cercava soltanto compagnia per affrontare lo spettro della solitudine); nella comitiva degli amici risultava discreto e gradito. Quando diceva la sua, infatti, non dava l’impressione di saperne di più né di volere imporre il proprio punto di vista.
Della moglie, sapeva soltanto che abitava in altra città, ma non con chi. Poche lettere, in tutti quegli anni, tentativi maldestri d’incollare i cocci di un’esperienza che li vedeva lontani dal capirsi. Certo, a volte gli doleva quasi fisicamente il non potere liberare la voglia di tenerezza che gli urgeva dentro, ma poi l’impegno dell’insegnamento gli mitigava la pena, l’aiutava a non soffermarsi su quel malessere. Il sonno regolare, per fortuna gli impediva di rigirarsi sveglio fra le coperte, al pensiero di essere solo, senza una donna accanto.
Un giorno si svegliò particolarmente euforico. Sotto la doccia, pensava che sarebbe stato interessante assegnare un tema che desse la possibilità ai suoi ragazzi di sbrigliare la fantasia raccontando una favola, che permettesse anche a lui di sognare attraverso le storie che gli avrebbero esposto.
Argomento da scegliere in piena autonomia, così ognuno di loro non si sarebbe sentito condizionato nell’esprimersi. Gli sembrò poi che la proposta raccogliesse l’adesione dei ragazzi.
A casa, lo stesso pomeriggio, cominciò a dare un’occhiata ai temi. Scelse per primo quello di Gisella. Questa, inutile negarlo, era l’alunna preferita. Nei suoi riguardi provava l’affetto vago e insieme coinvolgente che si prova nei riguardi dei figli non avuti. Era una ragazzina dagli occhi profondamente azzurri e uno sguardo che invitava alla confidenza. In classe era vivace ma non maleducata, e aveva anche una certa propensione per la scrittura. Lui aveva letto alcune sue poesie che, se pure in alcuni passaggi erano intrise d’ingenuità, rivelavano un animo sensibile e sereno, pronto ad aprirsi alla vita, fiducioso nei confronti del prossimo.
Una volta, durante la ricreazione, le aveva parlato di Carver, la sua passione senile, come si ripeteva sorridendo. Le aveva spiegato che le sue poesie erano racconti in forma di poesia. Un linguaggio semplicissimo, ordinario, comune, la parola quotidiana tesa al massimo della propria capacità espressiva. E aveva condiviso con lei la riflessione che anche nei rapporti interpersonali non serviva usare un linguaggio ricercato, quanto immettervi il calore dell’anima per rendere pregnante la comunicazione.
Lesse attento la favola scritta da Gisella.

LA DONNA DELL’ARCOBALENO C’era una volta una donna che aveva camminato tanto, dalle montagne era scesa alle colline, poi verso il mare… cercava i suoi colori, li aveva perduti! Un giorno, dopo una pioggia, stanca ed affaticata, girando le spalle al sole, vide le goccioline in sospensione, che poco a poco prendevano forma, colore. All’improvviso un arco meraviglioso comparve nel cielo! Ecco dov’erano i suoi colori, tutti lì… e rimbalzavano nel cielo pieni di gioia.
La donna allora iniziò a sorridere, li aveva ritrovati! Adesso sapeva che erano stati sempre dentro di lei, adesso sapeva come ritrovarli sempre…
Bastava girare le spalle al sole dopo un temporale, dopo una pioggia, e pensò di regalare questo segreto a un bimbo nato nella lontana Sicilia, perché lui nei momenti di tristezza potesse ritrovare la gioia e a sua volta farne dono agli altri. Con l’arcobaleno poteva regalare tanti sorrisi. Con l’arcobaleno, quel bimbo poteva portare un attimo di luce, colore e gioia a tutti i bambini del mondo.

Vi annotò il giudizio e sorrise al pensiero che lo si potesse leggere come una dichiarazione d’amore. Spense la luce e andò a coricarsi.
Il bidello: «Zitti ragazzi, sta arrivando il professore!».
Il professore: «Ragazzi, ho esaminato i vostri temi, e nel complesso non mi posso lamentare. Anziché mettere il voto, ho preferito esprimere un giudizio sintetico. Signorina Gisella, vuole distribuirli ai suoi compagni?».
Gisella completò il giro, poi tornò a posto, timorosa che la severità critica del professore non avesse saputo apprezzare la favola scritta con tanta simpatia. Si decise infine a sbirciare sul retro del foglio e lesse: “La favola ha i pregi del candore e della levità. La scrittura è piana e tuttavia lascia tracce di sé. Rende bene lo stupore della donna nel capire all’improvviso che, girando le spalle al sole (la luce che scalda e ridona armonia e luminosità al paesaggio, oltre che al cuore) dopo il temporale (i momenti tristi della vita), può scoprire l’arcobaleno, la somma dei colori importanti, la perfezione della fusione dell’uno nell’altro, la gioia dell’unità. Il segreto da scoprire e mettere in atto, è quello di non fermarsi sfiduciati, di credere nuovamente in se stessi, perché nell’intimo resiste forte il desiderio della felicità.
La vita come somma di momenti luminosi e bui, capace, al leggerla con fiducia e curiosità, di regalare sempre nuove scoperte”.

Gisella prima arrossì, e poi d’istinto (era una ragazza impulsiva), fra lo stupore dei compagni, salì sulla cattedra e scoccò un bacio sulla guancia del professore (che arrossì a sua volta).


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