La vita è un cocktail

di

Roberto Pasini


Roberto Pasini - La vita è un cocktail
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 248 - Euro 15,00
ISBN 9791259512451

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In copertina «Mai tai cocktail on a bar counter with blurred bar behind» © fahrwasser – stock.adobe.com


La vita è un cocktail


Erano nell’adolescenza, si sa che è un periodo importante nella vita e anche per i nostri dieci “eroi” si trattava di scoprire il bandolo delle cose, si trattava di fare buone amicizie, di imparare, di correggere. C’era da arrivare a possedere un diploma e tutti sotto quest’aspetto ci erano riusciti. Uno si era anche iscritto all’università, mentre gli altri si erano tuffati nel mondo del lavoro, subito dopo il diploma.
Al paesello c’era posto per tutti, gli adolescenti non erano ancora saggi al punto da saper far bene subito il lavoro che avevano trovato. Alcuni dimoravano nel paese, altri venivano da altre grosse città e si trovavano bene fra gli amici, con cui si divertivano d’estate nel periodo di Ferragosto.
C’erano quelli venuti da Venezia, c’era quella venuta da Bologna, c’erano quelli venuti da Mestre e gli altri erano “figli” del paesino. Erano una decina con cui passare allegramente l’adolescenza, specie lì nel paese, sebbene ognuno facesse anche per conto proprio.
Quello più simpatico era il “capo” del gruppo, perché trovava quasi sempre qualche idea particolare e molto dipendeva da lui. Ma gli altri stavano anche ognuno per conto suo e si vedeva la differenza tra l’uno e l’altro. Tuttavia ognuno voleva far parte del gruppo, voleva distinguersi dagli altri, anche se non lo si vedeva a occhio nudo.
Era il periodo del cambiamento, l’adolescenza, e anch’essa sarebbe passata. C’era di che mettersi in mostra, ognuno aveva un suo carattere, si somigliavano fino a un certo punto e c’era da far bene la propria parte. Questo tutti l’avevano capito, anche se non volevano farci caso più di tanto e stavano assieme a puntino; ogni anno c’era una crescita, come Dio comanda.
Avevano capito che c’erano da vedere soprattutto le differenze, anche se quelli del paesino stavano più spesso tra loro, ma gli altri non mollavano di un millimetro. Qualcuno sapeva già il fatto suo, forse per un’età maggiore o forse perché più avveduti. comunque facevano un bel gruppo affiatato, perciò erano abbastanza felici, anche senza dimenticare le cose brutte che avevano visto in giro. Avevano capito che la vita era gioie e dolori, per questo facevano le cose assieme, anche se ognuno mirava a diventare più adulto.
per questo amavano e odiavano senza farlo sapere, tenendoselo per sé, anche perché volevano vederci più chiaro, oltre che conoscersi meglio… Ma loro non sapevano che quei giorni, in un secondo tempo, sarebbero stati visti come i più allegri. Se la giocavano giorno dopo giorno, conoscendosi sempre di più, sebbene avessero tutta la vita davanti.
E ritornavano in città con un “bagaglio” ogni anno più vivace, anche se andavano d’accordo solo fino a un certo punto. C’era qualche volta una piccola cattiveria gli uni contro gli altri, ma loro la vedevano come un divertimento e spesso non ne venivano a conoscenza.

***

L’amicizia cresceva tanto da far felice San Giovanni, che la vedeva più grande anche dell’amore. Quindi andavano d’accordo gli uni con gli altri. A volte si sentivano i migliori, specie nei flirt. Ognuno si era trovato un’anima gemella, pur sapendo che a un certo punto il sentimento sarebbe passato; comunque facevano la loro esperienza. Ce n’era anche uno che aveva avuto l’ispirazione poetica, ma non lo aveva fatto sapere proprio a nessuno, perché non sapeva come sarebbe andata più avanti.
Ora per esempio non scriveva più e quindi non sapeva come sarebbe andata.
C’erano pure quelli che bevevano alcolici e si trovavano bene proprio con l’alcol, anche se poi nessuno fumava. Certo che, con le amichette, si trovavano bene, però ce n’era una sola, di coppia, che sarebbe stata bene assieme per tutta la vita.
Gli altri erano di passaggio, alcuni stentavano nel flirt, non ce la facevano tanto facilmente. curavano più se stessi, magari anche senza fidanzata; ce n’era una sola che era vera e sarebbe durata tutta la vita. Il primo bacio non bastava, però era sempre bello farlo e anche per gli altri andava bene.
Ce n’era uno che aveva l’acne e pur curandola non andava via, sarebbe andata via a un’età maggiore, quando sarebbe finita l’adolescenza. Chi ce l’aveva procurava una certa sofferenza perché non andava via tanto facilmente. Ma un po’ alla volta ce l’avrebbe fatta anche lui, con grande gioia e senza essere più preso in giro. Dopo non ci avrebbe più fatto caso.
Un Ferragosto, usciti dalla balera, senza donne, si misero seduti sulla panca di una piazza del paese e cominciarono a cantare le canzoni più in voga, ma arrivarono i carabinieri. Gli dissero di andare l’indomani in caserma e ce n’era uno che se n’era andato senza far finta di niente; dissero a un altro di chiamare anche quello, che aveva fatto il furbo; così l’indomani fu chiamato dal capogruppo verso le cinque di mattina e lui aveva capito che l’aveva visto mentre se ne andava. Così tutti e cinque entrarono nella caserma e non c’erano solo loro lì per schiamazzi notturni. l’ufficiale fece loro una ramanzina.
«Per stavolta passi, ma la prossima avrete la fedina penale sporca.»
Così a loro era andata bene, si vede che qualcuno aveva telefonato ai carabinieri.
Tornarono felici alle rispettive case, dove ripresero a dormire, sapendo che l’avevano scampata bella.
il gruppo si faceva, disfaceva, dato che alcuni erano di passaggio e se ne andavano per altre strade. Forse altri si sarebbero pentiti o forse non faceva al caso loro e non si sapeva il perché. Comunque anche qui nel periodo dell’adolescenza e alcuni facevano tesoro delle brutte figure che si rimediavano pure tra amici. Si facevano così scudo, cercando di non assecondarli. In questo modo non si stava tutti assieme: rimanevano in una decina, che era già una gran cosa.
Si vedeva a occhio nudo chi non faceva l’amore, ma faceva il cretino o l’imbecille. Quelli non venivano più trattati bene perché non era così che si doveva fare.

***

Disse Maria Grazia: «Non credevo che Arturo fosse così, pensavo si fosse sbagliato e invece non è dei nostri».
«Che ci vuoi fare?» disse Piero. «In fondo è fatto così.»
«Quei tre-quattro che si comportano male non li vogliamo più nel nostro giro» ribadì Maria Grazia, «sciò sciò, non fa al caso nostro.»
così fu: Arturo non si fece più rivedere.
gli altri due lo seguirono a ruota e trovarono altre compagnie.
Rimasero in dieci, maschi e femmine. Giocavano anche tra loro, come si conviene a degli adolescenti. Ogni tanto faceva capolino il sesso e alcune coppie lo facevano, almeno a livello platonico.
Piero era il più bello, ma ad alcune piacevano altri, ognuno aveva i suoi gusti e non sapevano neanche poi il perché, fatto sta che si trovavano bene, con uno in particolare. Del resto erano i primi approcci, assecondati dalle donne, anche se ognuno li teneva nascosti.
Il più simpatico era Aurelio, che veniva da Venezia, assieme a Giovanni e Giovanna; teneva su il morale di tutta la combriccola ed erano storie che rimanevano perché facevano un sacco di fotografie. Aurelio ne inventava ogni tanto una nuova e pure gli altri si davano da fare per stare alla pari.
Le barzellette spinte erano le più appropriate, perché anche così si poteva far entrare la sessualità nelle relazioni. E c’era da spassarsela davvero, perché ridevano a crepapelle.
Così cercavano di mettersi in luce e a volte ci riuscivano ed erano contenti in cuor loro. Ma, pensavano, la vita era lunga e nessuno aveva una malattia importante.
Questo dava spazio al loro mondo, dove si mettevano da parte alcune paure di quell’età, anche se con gli altri a volte c’erano battibecchi, che comunque finivano a un certo punto, e c’era qualcuno che non ce la faceva a stare calmo, neanche se incontrava degli ossi duri.
Ognuno aveva la sua personalità. Si stava creando la persona adulta, ma nessuno ci badava più di tanto perché a loro piaceva vivere giorno per giorno.
Ai maschi piacevano le donne, specie quelle del loro gruppo, ma ad alcuni non piaceva il fatto di avere una ragazza con cui sposarsi. Solo uno aveva trovato la ragazza del cuore e lei se lo teneva stretto.

***

C’erano Angelo e Dora, che si volevano bene, certo non più di tanto. Si erano scambiati anche il primo bacio, di nascosto da tutti. Angelo ci era rimasto molto bene. Lui era un grosso atleta e un calciatore, mentre Dora era di Parma e andava molto bene alle scuole superiori. Lui alle superiori scriveva ottimi temi che venivano letti in classe; anche in matematica era, assieme a un amico, il migliore della scuola di Ragioneria.
Dora attaccava bottone con molti, questo la rendeva felice, anche nell’amore non era ardita più di tanto; pure Angelo non voleva per esempio sposarsi, quindi la teneva un po’ in disparte. Però una cosa avevano tutti e due: erano belli fisicamente e quindi sotto questo aspetto erano “anime gemelle”. Ce n’erano pochi belli come loro, ma non erano certo i più simpatici.
Angelo era anche tifoso del Milan e ci metteva il cuore nel calcio. Dora ci rideva sopra, perché lei non tifava per il Parma, sebbene qualche volta fosse stato in serie A. Angelo, essendo nato a Venezia, tifava un po’ anche per la squadra di casa, ma gli piaceva il Milan della Coppa dei Campioni, che a volte era appannaggio della squadra milanese.
Angelo, a Ragioneria, aveva quattro-cinque primati di atletica, nel cortile di Ragioneria si cimentava nei sessanta metri e faceva delle partenze meravigliose, con i muscoli a caldo. Era il miglior atleta di Ragioneria, aveva, come disse un amico, molta classe.
A quell’età era comunque timido, anche se la vita gli arrideva, ma per esempio a Venezia non aveva una ragazza sua e gli amici glielo avevano fatto notare. Ma a lui bastava anche così, era una persona stimata dai professori, specialmente quelli di Matematica e di Italiano.
Lui, a volte era un po’ triste, come la città natale, che era appunto Venezia, ma era un bravo studente, pure buono d’animo.
Angelo, fra i suoi conoscenti e amici, aveva anche i parenti, cioè nonni, zii, cugini, con cui stava spesso assieme. Viveva nella casa dei parenti, facendo a volte pure il contadino, ed era trattato molto bene.
Si era abituato a convivere con i parenti e questi si trovavano bene con lui, a parte l’inizio non brillantissimo. Ma poi si erano voluti molto bene ed era un gran bel giocare con i suoi cugini.
A quattordici anni aveva scritto la prima poesia. Questa, come si dice, gliel’avevano donata gli dei, poi aveva continuato lui, sebbene a un certo punto avesse smesso di scrivere e rimanessero una decina di poesie, che peraltro gli piacevano. Le aveva mostrate a un suo compagno di banco.
Questo gli disse: «È solo una poesiola», mentre la professoressa di Italiano lo aveva stimato e non credeva ai suoi occhi.
Aveva anche pensato di diventare medico, quindi di iscriversi a Medicina e, una volta laureato, sarebbe stato una specie di “cocktail” con cui sorseggiare la vita.
Ad Angelo, come scrittore, era piaciuto Kafka; aveva letto La Metamorfosi e ci vedeva un po’ anche se stesso, nella sua famiglia, quando abitava a Venezia. Era figlio unico e nella sua vita c’era un fondo triste, come quello di Gregor Samsa.
Ma aveva preso la palla al balzo e aveva letto sia romanzi che poesie, trovando belle soprattutto quelle di Garcia Lorca.
Andando avanti gli erano piaciuti anche Cesare Pavese, Pratolini, stranieri come Hemingway, Steinbeck, i romanzieri dell’Ottocento russo, i poeti inglesi e francesi, che trovava eccezionali.
Per questo la sua vita era impostata come un cocktail, anche se ciò era venuto alla luce un po’ alla volta. E aveva pensato che gli scrittori fossero come i medici. Pure il dottor Zivago, che era stato premio Nobel.
Questa era la sua vita di quel periodo, un fatto sia di conoscenza sia d’amore. Le donne per lui erano già alla pari coi maschi, si vede che a Venezia erano più avanti.
Le donne dicevano che a Venezia erano tutte “mone”, quindi era lì il bello.
Le donne le aveva avute anche in albergo, dato che suo padre e sua madre facevano gli albergatori e l’hotel era di loro proprietà. Così aveva imparato a servire il prossimo e tutti i clienti affezionati. Lui lo faceva volentieri, perché bisognava farsi voler bene. Con alcuni andava più d’accordo, nascevano grandi amicizie, altri erano e restavano ottimi clienti.
lui aveva fatto amicizia con alcuni dottori, clienti dell’albergo, e li aveva trovati contenti del loro lavoro, anche se la vita del dottore non era facile, ma le vacanze sì.
la segretaria gli aveva insegnato il suo lavoro, che avrebbe fatto dopo il diploma. Aveva pure fatto amicizia con alcune cameriere. Le cameriere erano per lo più trentine e friulane, anche se lui più che altro badava a divertirsi con i clienti, quindi pure con le ragazze.
Lo intrigava l’idea di farsi amici i clienti e le loro famiglie, specie i medici, che appunto trovava interessanti e ci avrebbe fatto un pensierino.

***

[continua]


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