I fiori fatati

di

Rita Redaelli


Rita Redaelli - I fiori fatati
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12X17 - pp. 56 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6037-9573

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In copertina: «I fiori fatati» acquarello di M. Cristina Faccin



I fiori fatati


C’era una volta, in una piccola città lungo il fiume, un ricco proprietario terriero di nome Pancrazio. Quando morì, i figli si riunirono nella casa paterna per dividersi l’eredità. La fattoria e le terre erano destinate al figlio maggiore, Tommaso, ma Pancrazio possedeva molte cose preziose che gli altri figli volevano distribuirsi tra loro.
La figlia più giovane, Lisetta, era stata scelta due anni prima per vivere nel palazzo del re e servire la principessa Clotilde, insieme ad altre fanciulle della sua età, e da allora solo il padre si era preoccupato di avere ogni tanto notizie di lei. I fratelli e le sorelle si stupirono perciò nel vederla comparire per il funerale.
“Di certo non vorrai parte dell’eredità, visto che a palazzo non ti manca nulla!” esclamarono scandalizzati.
“Non voglio soldi, né cose di valore” rispose loro Lisetta “Vorrei solo avere qualcosa che mi ricordi il babbo.”
Ma pareva che essi non potessero separarsi da nulla senza sentirsi defraudati, e Lisetta dovette più volte ingoiare rimbrotti rabbiosi.
Un pomeriggio Tommaso, mentre esplorava il solaio in compagnia di Lisetta, trovò un vecchio baule polveroso, e si mise con impazienza a tentare di aprirlo. Finalmente il coperchio cedette: il baule conteneva un sacchetto del velluto più fine, di un colore verde grigio simile alle foglie del salice, e Tommaso lo aprì tutto eccitato, ansioso di scoprire chissà quali tesori. Grande fu la sua delusione nel vedere che il sacchetto conteneva solamente dei semi.
“Semi!” esclamò, ansimando ancora per lo sforzo “cosa mai potrò farne? Se almeno fosse grano potrei portarlo al mulino!”
“Chissà perché il babbo li teneva chiusi nel baule” si chiese Lisetta.
“Probabilmente la vecchiaia gli aveva rovinato il cervello” rispose Tommaso seccato.
Lisetta fece scorrere i semi nella mano.
“Sono belli, però” mormorò pensierosa “il sacchetto sarebbe adatto a contenere gioielli e infatti, guarda, sono così lucidi che sembrano oro!”
“Magari fosse oro!” brontolò Tommaso. Poi, vedendo l’espressione assorta della sorella, ebbe un’idea. “Volevi un ricordo del babbo? Beh, se ti piace puoi tenerti questi semi!”
Era così evidente la sua intenzione di liberarsi di lei giocandole un tiro di cattivo gusto, che Lisetta ne rimase ferita. Decise però di fare buon viso a cattivo gioco, e siccome i semi le piacevano davvero, così lisci e lucenti, accettò con un sorriso:
“Grazie, Tommaso. Li prendo volentieri.”
Lisetta tornò al palazzo del re con il sacchetto. Prima di riporlo tra le proprie cose nella stanza che divideva con le altre dame di compagnia, prese una manciata di semi e li seminò in un angolo del giardino privato della principessa, nell’aiuola presso la fontana.
Passarono i mesi invernali, e Lisetta non pensò più ai semi che aveva messo nel giardino, tutta presa com’era dai preparativi per il matrimonio della principessa. Clotilde, infatti, era la figlia minore del re, e l’unica che restava ancora da maritare. Si attendeva a breve l’arrivo del promesso sposo, il principe Ludovico, per la fastosa cerimonia nuziale. Nelle ultime settimane le sue dame di compagnia avevano notato che Clotilde, di solito di carattere riservato, sorrideva più facilmente e spesso la si sentiva cantare a mezza voce.
“Eh, non c’è tristezza che l’amore non possa guarire!” sospiravano le giovani donne tra loro, come se avessero sempre saputo che sarebbe bastato il pensiero delle nozze per illuminare di gioia il cuore di Clotilde. In breve, si era sparsa per il palazzo un’atmosfera di gioiosa aspettativa, come un profumo di giovane primavera.
Una bella mattina Clotilde, mentre si faceva pettinare i capelli, si voltò d’un tratto verso le sue dame e chiese:
“Da dove sono arrivati quei nuovi fiori nel giardino?”
Tutte la guardarono stupite. “Quali fiori, Altezza?”
“Quelle nell’angolo dell’aiuola presso la fontana, quelle piantine dorate… avete presente?”
“Ah, scusate, Altezza, li ho piantati io” rispose Lisetta “Spero non vi diano noia. Abbiamo trovato i semi nella casa di mio padre e mio fratello Tommaso me li ha dati come ricordo del babbo.”
“Che fiori sono?”
“Non saprei, Altezza.”
“Davvero? Sono molto belli, però. Dove li aveva presi tuo padre?” chiese ancora Clotilde.
“Non so, Altezza, li abbiamo trovati in solaio, chiusi in un vecchio baule di cui nessuno sapeva nulla.”
“Che cosa strana! E, dimmi, ne hai ancora di quei semi?”
“Sì, Altezza, ne ho un sacchetto nella mia stanza. Vado a prenderlo, se volete.”
Lisetta portò il sacchetto alla principessa, che fece scorrere la mano tra i semi.
“Sono molto belli. Vorresti regalarmene una manciata?”
“Se questo è il vostro desiderio, Altezza, ne sarò felice. Prendeteli pure tutti, sono vostri.”
Clotilde le sorrise nello specchio. “Sei gentile, Lisetta” disse “Allora prenderò tutto il sacchetto.”
Le dame di compagnia si scambiarono un’occhiata sbalordita, ma nessuna osò aprire bocca. Clotilde si alzò, senza curarsi di rovinare il lavoro dell’acconciatrice.
“Vado a riporlo” annunciò felice. Sulla porta della propria stanza si voltò di colpo verso Lisetta. “Voglio farti un dono anch’io, in cambio della tua generosità. Cosa potrei darti? Ah, ecco!” Staccò dall’abito una spilla d’oro e gliela porse “È per te. Starà benissimo col tuo vestito azzurro.”
Le dame nella stanza trattennero il fiato per lo stupore. Appena la principessa uscì si strinsero attorno a Lisetta, rossa in volto e confusa, commentando tra bisbigli eccitati lo straordinario comportamento di Clotilde. Emilia, la dama di compagnia più anziana e saggia, mise fine alle chiacchiere in tono deciso: era risaputo, disse, che l’emozione delle nozze spingeva talvolta le giovani donne a comportarsi in maniera bizzarra, e comunque non rientrava nei loro compiti fare commenti inutili.
In realtà Clotilde non provava emozioni particolari al pensiero delle nozze imminenti. La vita nel palazzo del padre le piaceva, e l’idea di diventare la padrona di un castello lontano, separata dagli affetti che la circondavano dall’infanzia, la spaventava un po’. D’altra parte però, Clotilde conosceva i propri doveri di principessa, per cui non si era opposta quando il padre l’aveva informata della decisione presa. Sperava solo che Ludovico non le fosse antipatico: per il resto, era sicura che sarebbe andato tutto bene.

Alcune notti più tardi Lisetta si svegliò e, sentendo sete, si alzò silenziosamente dal letto per prendere un poco d’acqua. Mentre si muoveva nella stanza, vide una figura seduta sul gradino della porta che si apriva sul giardino di Clotilde e grande fu la sua sorpresa nel vedere che si trattava proprio della principessa.
Clotilde dovette aver udito i suoi passi, perché si voltò di colpo a guardarla.
“Chi c’è? Ah, sei tu, Lisetta. Mi hai quasi spaventata.”
“Vi chiedo scusa, Altezza. Ma come mai siete seduta qui? C’è qualcosa che non va? Vi sentite poco bene? Posso chiamare dama Emilia e…”
“No, no, non ti preoccupare, Lisetta, è tutto a posto. Vieni, siediti qui al mio fianco” disse Clotilde, battendo la mano sul gradino dove era seduta.
Timidamente Lisetta si avvicinò al gradino e sedette. “Non avete sonno, Altezza?” chiese.
“No” rispose la principessa.
Di nuovo scese il silenzio, poi Clotilde mormorò con voce sognante: “Non trovi che cantino in modo meraviglioso?”
“Chi?” domandò Lisetta stupita.
“I fiori.”
“I fiori? Quali fiori?”
“I fiori di tuo padre” rispose Clotilde “I semi che hai messo nel giardino, quelli che hai trovato nel baule… ma non ricordi?”
“I fiori stanno cantando?” domandò Lisetta lentamente, credendo di non aver capito bene.
“Sì, sono certamente i fiori” rispose Clotilde con sicurezza “Vuoi dire che tu non li senti?”
“No, Altezza.”
“È molto strano” commentò Clotilde pensierosa “Come può essere che io li sento e tu no?”
Lisetta arrossì. “Non saprei, Altezza.”
Clotilde la guardò intenta, poi scosse la testa incredula. “Non ci capisco nulla. Però è un peccato che tu non li possa sentire: è il canto più bello che abbia ascoltato in tutta la mia vita!”
Tornando nel proprio letto, Lisetta rimase a lungo sveglia in preda alla più viva preoccupazione: forse la principessa era diventata pazza? Nelle notti successive, Lisetta spiò Clotilde e vide che passava lunghe ore seduta sul gradino col sorriso sulle labbra, muovendo la testa al ritmo di una musica che soltanto lei riusciva a sentire, e cantando a mezza voce.
Lisetta non sapeva che fare. Non voleva rivelare il segreto di Clotilde alle altre dame di compagnia, perché temeva che lo avrebbero detto a tutti nel palazzo. Pensava fosse un suo dovere parlarne con la regina, ma era tanta la soggezione che aveva della sovrana che continuava a rimandare da un giorno all’altro il momento della rivelazione. Finché un bel mattino giunse a palazzo il principe Ludovico e non fu più possibile per Lisetta parlare con nessuno della passione di Clotilde per il canto dei fiori.

Clotilde e Ludovico si sposarono in una bella giornata di marzo e subito iniziarono i preparativi del seguito di dame e cavalieri che avrebbe fatto loro da scorta nel viaggio verso il castello del principe. La regina decise che Lisetta era troppo giovane ancora per accompagnare Clotilde nella nuova dimora, per cui mandò a chiamare Tommaso e gli comunicò che, non essendoci più a palazzo una principessa cui fare compagnia, si sarebbe dovuto riprendere a casa la sorella.
Tommaso fu molto contrariato dalla decisione della regina, e se ne lamentò con Lisetta.
“Speravo che la principessa Clotilde ti procurasse un marito tra i gentiluomini della corte, o almeno che si offrisse di pagarti la dote!”
“Ma tu sei ricco, Tommaso!” fece notare Lisetta.
“Ricco! Si fa presto a dire ricco! Ho sempre tante spese da sostenere, tu non riesci neanche ad immaginare! E poi, proprio adesso che abbiamo avuto i ladri in casa…”
“I ladri?” si allarmò Lisetta “Santo cielo, che paura! E dimmi, hanno portato via molto denaro?”
“A dire il vero, no… non hanno preso niente di valore e nemmeno soldi” ammise Tommaso riluttante. “Però hanno buttato tutto per aria… figurati che hanno perfino frugato in solaio, hanno aperto i vecchi bauli che ci teneva il babbo… chissà cosa speravano di trovare!”
“Ma i cani non hanno abbaiato?” chiese ancora Lisetta
“Macché, brutte bestie sfaticate! Dormivano come angioletti, invece di fare la guardia!”
“È strano, però” commentò Lisetta, ma Tommaso non la ascoltava nemmeno e continuava a lamentarsi dei cani, dei ladri, delle spese e di qualunque altra cosa gli venisse in mente. Alla fine se ne andò, dicendo alla sorella:
“Manderò qualcuno a prenderti appena la principessa sarà partita.”
Invece, erano passate già due settimane dopo la partenza di Clotilde e Ludovico, e da Tommaso non giungevano notizie. Lisetta aveva impacchettato le sue poche cose e non si allontanava quasi mai dalla sua stanza, per paura che il garzone inviato da Tommaso potesse arrivare e non trovarla. Separarsi da Clotilde era stato doloroso, e Lisetta aveva versato molte lacrime; ma le mancavano anche le sue compagne, oltre al fatto che la prospettiva di tornare nella casa del fratello, sempre nervoso e brontolone, la rattristava profondamente.
Un pomeriggio, mentre cuciva seduta nel giardino, Lisetta udì bussare alla porta. Pensando fosse Tommaso, andò subito ad aprire: si ritrovò invece di fronte una donna sconosciuta. La dama era molto bella; indossava abiti eleganti ed un ampio cappello sui folti capelli scuri. Lisetta pensò di riconoscere in lei la moglie di un nobile giunto a corte il giorno prima.
“Credo di essermi persa” confessò la dama con un sorriso luminoso “Sareste così gentile da offrirmi un sorso d’acqua e spiegarmi come posso tornare nella sala grande?”
“Certamente, signora, entrate pure” la invitò Lisetta, conquistata dalla sua gentilezza.
“Che bella stanza! Non ne ho mai vedute di più incantevoli!” esclamò la visitatrice.
“Era l’appartamento della principessa Clotilde.”
“Ah, certo, ho saputo che si è appena sposata. Che peccato non averla potuta incontrare: dicono sia una giovane donna incantevole e molto garbata. E c’è anche il giardino!” continuò facendo qualche passo verso la porta “Posso vederlo?”
“Prego, signora, fate pure. Vi porto un poco d’acqua.”
“Ma è delizioso!” esclamava incantata la bella signora “Che belle piante, e quanti fiori meravigliosi… E questi fiori cosa sono?” domandò indicando le piantine presso la fontana.
“Mi dispiace, non conosco il loro nome” mormorò Lisetta, ripensando con una fitta di rimorso alle notti insonni della principessa.
“In effetti, credo di non avere mai visto fiori come questi” rispose la dama “Da dove vengono?”
Lisetta raccontò di nuovo la storia del baule nel solaio. “Ho piantato qualche seme in questo giardino per avere un ricordo di mio padre” aggiunse.
“Un pensiero incantevole” sorrise la dama “del resto si vede subito che siete una giovane dal cuore sensibile. Ditemi, vi dispiacerebbe regalarmi una manciata di questi semi? Avrei piacere di metterli nel mio giardino.”
Lisetta fu molto sorpresa dalla richiesta. Davvero il babbo ha fatto male a tenere questi semi nel baule, pensò, avrebbe potuto fare una fortuna vendendoli alle dame!
“Mi dispiace di dovervi dire di no” rispose “ma ho regalato tutti i semi alla principessa Clotilde.” In realtà, nel consegnare il sacchetto alla principessa, aveva trattenuto qualche seme per non separarsi del tutto dal ricordo del padre, ma non aveva desiderio di regalarli alla dama sconosciuta.
“Davvero? Che peccato!” esclamò la dama. “Ma non importa” continuò scrollando le spalle “vi ringrazio della vostra gentilezza e vi auguro tante cose belle.”
Quando la dama fu uscita, Lisetta rimase seduta a pensare per qualche tempo. Parlare di Clotilde le aveva messo malinconia, e lei segretamente sperava che la principessa la mandasse a chiamare per farle compagnia nella sua nuova casa. Invece, qualche giorno dopo venne un ragazzo da parte di Tommaso, che la accompagnò a casa del fratello.

[continua]

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