La via delle stelle

di

Renata Ceravolo


Renata Ceravolo - La via delle stelle
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 36 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-0914

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In copertina e all’interno opere di Terry May

Elaborazione grafica delle immagini di Alina Olariu e Carmine Garreffa


Introduzione

“La via delle stelle”, com’è bello questo titolo semplice e archetipo, potrebbe essere il titolo di una fiaba per bambini, o per chi, del bambino che è stato, ha saputo mantenere lo sguardo curioso e pulito dell’infanzia e ancora ci crede, alla strada maestra da seguire!
L’inatteso paradosso, la vera sorpresa, però, è che nelle poesie di Renata Ceravolo, la via delle stelle non è in cielo, è sulla terra.
Le tracce del divino, i segni del sublime albergano fra le rocce, nelle stradine dirupate, in mezzo a rovi incolti, luoghi indispensabili e insostituibili affinché il parto poetico possa avvenire. I luoghi risanano le ferite, sono le alcove dello spirito, le tane degli angeli, “Ferruzzano”, là possiamo sentire i suggerimenti sulla via delle stelle, sparsa sulle banali rocce…
Questi luoghi quasi sacrali e le persone che li abitano (“Teresa”, “l’uomo di circa settant’anni”) sono le nostre oasi di riposo, la testimonianza vivente dell’esistenza del divino, poiché loro posseggono la ricetta segreta dell’autorigenerazione, e Renata Ceravolo si disseta alle loro fonti con candida ingordigia, e c’è di che invidiarla, in tale suprema compagnia.
Tuttavia la metafora del parto è per lei eccessiva, perché le parole, comunque precise come saette, scaturiscono fluide e immediate, per nulla affaticate dalla ricerca di uno stile che le è innato.
La materializzazione verbale dei significati più profondi è automatica, il nostro immaginario la accoglie come cosa nota e familiare: tutti abbiamo dolori da lenire, tutti abbiamo sperimentato lutti e tradimenti, e abbiamo dovuto riaggiustare il tiro per sopravvivere e riordinare il mondo.
La parola poetica, per definizione, è selettiva ed evocativa, quella di Renata Ceravolo non fa eccezione. Quella e quella sola, libera e sregolata (“Non uso la punteggiatura”), “senza fronzoli”, quella che fa scattare la magia, che porta alla cattura di una stella, una delle tante stelle che possiamo finalmente metterci in tasca, che possiamo toccare con sicurezza, infilando una mano furtiva, ogni volta che gli occhi lacrimano per una bruttura e che ci permette di ricaricarci di purezza.

Ma qual è la vera malia, la formula incantata che apre le porte alla compenetrazione con il VERO, che ci protegge “a doppia mandata” dalle “ lingue blasfeme”, che ci consente l’ironico distacco, voluto e non subito!, “per non spezzarci” e per riuscire a chiamare “mozzadita” colui che fino al giorno prima chiamavamo “incantato osservatore”?
Di nuovo, l’aiuto proviene dal basso.
La semplicità di un uomo che dice frasi dirette e garbate, e ripete il gesto umile del secchio senza trovarlo stupido, anzi, consolatorio nella sua certa ripetitività; la carnalità di Teresa, apparentemente murata e isolata, che fa la scelta audace di una solitudine brusca, ma sa fare un caffè che risuscita i morti; la costanza dell’artista: “Sono solare”, “Mi piace pensarmi come albero”, sempre in bilico fra l’anelito all’infinito e il caparbio tentativo di trovarlo dietro l’angolo, la sua tenacia nello scoccare frecce intrise di speranza pur sapendo che il bersaglio fu più volte deludente.
Il segreto sta proprio in questa resistenza temeraria, nel saper dove trovare l’energia per provare e riprovare, disfarsi e ricomporsi, risorgere, come la Fenice, dalle proprie ceneri, con uno sguardo al ricordo e i piedi veloci che camminano avanti.
La pazienza, infine, non a caso spesso aggettivata come “santa”, la virtù dei forti, poco popolare in tempi di materialismo e ricerca del profitto e dell’ottimizzazione, per niente rumorosa e modaiola, fa poco audience, e per ben che vada, porta a sorridere di sbieco chi, osservandola, bolla frettolosamente come “passivo” chiunque la professi.
La pazienza è femmina, di genere e per cultura. L’insofferente Ulisse non se ne può fregiare, e impiega una ventina d’anni costellati da avventure e sventure per accorgersi che era ad Itaca che voleva tornare, e che è Penelope la custode della sua riscelta identità, “per capire che la malia è la pazienza della sua sposa devota” che, “argutamente”, ingannò l’attesa angosciosa e i Proci, con la trovata della famosa tela. Vince su Ulisse, perciò, inaspettatamente, come la tartaruga di Esopo sulla lepre, e forse è vero, ci vuole più coraggio a tessere e scucire giorno dopo giorno una tela che ad affrontare l’ignoto, a mantenere la dignità dell’essere umano fra Proci d’ogni epoca che ci accerchiano sotto varie forme (rileggiamo la bellissima “Luna Rossa”), che a solcare i mari spalleggiati da una ciurma fedele disposta a dare la vita per il proprio re.
La volgarità con cui Renata Ceravolo tratteggia volutamente i pusillanimi, gli ignavi e i traditori presenti in molti versi di questa raccolta, li riduce ad essere allo stato animale che perpetuano una “banalità del male”, che stordisce i puri di cuore, li lascia increduli al principio, ma poi, dopo la prima perdente battaglia, assistiamo al miracolo terreno che a differenza di quello canonico richiede tempo, tempo e fede: le Penelopi d’ogni sesso, colore, culto, ed età affinano le armi, tessono la tela con pazienza, abbozzano al sopruso senza mai farsi contaminare, e celebrano l’ineluttabile vittoria finale del bene.
Non un bene caramellato da stucchevole lieto fine, un Bene grande, superiore, immanente e trascendente, che annienta le bassezze che causarono la primitiva sofferenza e ci consente il riposo sulla terra propria insieme alla figure autentiche della nostra esistenza.
E così, accomunati dallo stesso astrale bottino, uguali nella ricerca del proprio destino e diversi nel percorso che facciamo per raggiungerlo, possiamo avanzare sicuri, eletti a poeti anche noi lettori , poiché la nostra scorta di stelle è un navigatore garantito.

Benestare 25-07-2010

Maria Patrizia Musolino


La via delle stelle


Se vuoi raggiungere la vera via
al di là di ogni dubbio, mettiti
nella stessa libertà che ha il cielo.
Mumon


È tempo di levarsi su, di vivere
puramente.
Mario Luzi


Penso che la poesia debba essere innanzitutto utile
…utile a tutta l’umanità, utile a una classe,
a un popolo, a una sola persona.
Utile a una causa, utile all’orecchio.
Nâzim Hikmet


Ferruzzano

Nel respiro delle vecchie case
nidifica l’essenza
si espande col sole dei mattini.
Qui posso coltivare
i fiori del silenzio
udire l’eterno
“attraverso la voce del vento
(mi avvolge l’infinito
nei profumi intensi della terra”).
Nelle stradine scintillanti di memorie
dove attecchisce l’erba
e il rovo si erge rigoglioso
la sera bisbigliano gli Angeli
per indicare la via delle stelle.
Tracce di paradiso sono sparse
sopra i gradini
sulla pietra antica
alle finestre che danno sul mare.
Danza la nebbia
negli abbeveratoi
s’arrischia nei cortili deserti
scivola sui tetti
avvolge di semplicità e mistero
la rada luce dei lampioni.

Su queste alture
queste grandi rocce
posso liberarmi nel volo delle aquile
in un grido alto
di libertà e di gioia.
In questo paese che indico
“di sogno”
echeggia nelle dimenticanze e nei ritorni
lieve e senza fine il palpito di Dio.


Certe volte mi chiami rana

mi hai sentita forse
gracidare nelle notti di luna?
Sono molto più vicina
al tuo cuore
che alla rena.


Un albero ha bisogno di due cose:
sostanza sotto terra e bellezza fuori.
Sono creature concrete ma spinte
da una forza di eleganza.
Bellezza necessaria a loro è vento
luce, uccelli, grilli, formiche e
un traguardo di stelle verso cui
puntare la formula dei rami.

Erri De Luca, «Tre cavalli»


Mi piace pensarmi come albero

le salde feconde radici
nella fertile terra
i rami protesi
nell’abbraccio del cielo

così sono io
mi dicesti sorridendo.


M’avvito su me stessa

mi chiudo a doppia mandata
oppure

plano
verso orizzonti di purezza
dove largo è il respiro
della vita

fuggo
mi difendo dalle lingue blasfeme
che violano l’anima

al divino si accede
soltanto nel silenzio.


Non si dovrebbe discutere
un sogno davanti a uno sciocco.

Mumon (maestro zen)


Col dito ti indicavo la luna

tu mi guardavi il dito
per giorni mesi anni
ti ho indicato la luna
poi mi hai amputato il dito
perché i poeti sono dei grandi rompiballe.


La pazienza è un’arte

una virtù
l’arte di affinare i sensi
e di aspettare
l’arte di amare
è piantare il seme
e nutrirlo di speranza

la pazienza appartiene al cuore delle donne
è audacia
coscienza ed incoscienza
Penelope intesseva il sogno
che argutamente disfaceva
per sottrarlo all’inganno

Ulisse dovette attraversare lusinghe
lottare contro venti
ed eventi
per capire che la vera malia
era la pazienza della sua sposa devota

Non c’è molto da capire
infinite domande
saettano nel cielo della vita

È la pazienza che induce a fermarsi
in una notte stellata
e udire il canto dell’universo
ritmare all’unisono
con la tua anima intatta.


Interno, donna alla finestra, 1880, di Caillebotte.

Lui
immerso nella pagina del giornale
lei alla finestra
sospesa
tra il nulla
e le ore.


Nicole

Parli poco
Come pochi
sai leggere la mia anima.


In una strada del paese

luminosa di cielo e d’infinito
un uomo di circa settant’anni
ha un secchio in mano
colore delle nuvole leggere
mi chiede
dove va signora
a fare una passeggiata?
fa bene camminare
nell’orto
di qua di là
la mia malattia è qui
si tocca il capo
sono malato di testa
ormai da tanto tempo
la TV nemmeno per mezz’ora
se sto in silenzio e cammino
mi ritrovo
e mi saluta
continua per la via solitaria
intatta d’azzurro e d’infinito
col suo secchio in mano
colore delle nuvole leggere.


Luna rossa

E oggi vi dico che non solo bisogna
impegnarsi nello scrivere, ma nel vivere
bisogna resistere nello scandalo e nella rabbia.

Pier Paolo Pasolini

La piccola mano
che mostravi carezzevole
suadente
è mano di boia

Simulando dimestichezze
libertarie
farneticavi ansiosa
la mia cancellazione

Imbandivo la tavola per te
e ti credevo amica
Sinuosa al suo sguardo
avida di lui
muovevi le pedine
per il mio vuoto a venire
come l’avvoltoio
attendevi
che la mia rabbia
mi rendesse nemica
ai suoi occhi appannati

Mi hai uccisa con disinvoltura
in una fulgida giornata di luglio
mentre mi aggrappavo alle mie zolle
incredula
Hai squartato l’azzurra eternità
che ho vissuto tra l’argento degli ulivi

e le piccole case antiche
sopra le alture dove crepitavano i miei sogni
vanificando le oscure trame della notte
dove l’incanto erano le albe
di sapermi ancora accanto a lui
e i dissapori della quotidianità
erano scarti da gettare via

L’hai portato da te
coinvolto
fino ad amputargli la memoria
ad iniettargli l’acqua melmosa
del tradimento
che ti scorre consueta
come lava incandescente

Sotto la luna rossa
tra le mura grecaniche
in un tripudio di suoni ancestrali

danzavano le mie ceneri
chiedevano una resurrezione
che solo la musica
e un Dio nascosto in un cielo stellato
possono donare

Non era consentito
ai tuoi occhi nazisti
che io sgorgassi
rinascessi in una forza imponente
trasgressiva
nella malia di quei raggi di luna

Ti facesti largo tra le folla
mi venisti accanto
a dimostrarmi col tuo volto di pietra
che avevi vinto la battaglia
e c’era lui
cieco ti circondava in un abbraccio

è un incubo pensai

è la banalità del male
che ottunde le coscienze
rendendo gli uomini schegge impazzite
di un nulla imponderabile
infinito.


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