Opere di

Rainer Maria Rilke

Da Il libro d’ore, Giulio Einaudi Editore, Torino


È l’ora! Mi sfiora
un tocco metallico e chiaro:
i sensi tremano. Sento di farcela –
e afferro il giorno, la sua molle creta.

Era incompiuto il mondo prima
che lo guardassi e fermo il divenire.
Ora il mio sguardo è maturo, e ogni cosa
cede al suo volere: è una sposa.

Amo persino la più piccola.
La dipingo immensa su sfondo d’oro,
la innalzo e non so a chi
schiuderà l’anima…

***

Cerchi che si tendono sempre più ampi
sopra le cose è la mia vita.
Forse non chiuderò l’ultimo,
ma voglio tentare.

Giro attorno a Dio, all’antica torre,
giro da millenni;
e ancora non so se sono un falco, una tempesta
o un grande canto.

***

Non aver paura, sono io. Non senti
che su te m’infrango con tutti i sensi?
Ha messo ali il mio cuore
e ora vola candido attorno al tuo viso.

Non vedi la mia anima innanzi a te
adorna di silenzio?
E la mia preghiera di maggio
non matura al tuo sguardo come su un albero?

Se sogni, sono il tuo sogno
ma se sei desto sono il tuo volere;
padrone d’ogni splendore
m’inarco, silenzio stellato,
sulla bizzarra città del tempo.

***

La mia vita non è quest’ora ripida
che mi vedi scalare in fretta.
Sono un albero innanzi all’orizzonte,
una delle mie molte bocche,
e la prima a chiudersi.

Sono l’attimo tra due suoni
che male s’accordano
perché il suono morte vuole emergere –

Ma nella pausa buia si riconciliano
entrambi tremando.

E bello resta il canto.

***

Il tempo è come l’orlo secco
d’una foglia di faggio.
E’ la splendida veste
che Dio scagliò lontano
quando, eterno abisso,
si stancò di volare
e si nascose agli anni
finché, come radici, spuntarono
in ogni cosa i suoi capelli.

***

Terra che ti fai buia, paziente sopporti le mura.
Forse permetti alle città di vivere ancora un’ora,
ne concedi due alle chiese e ai chiostri solitari,
ne lasci cinque al travaglio dei credenti
e per sette contempli il contadino al lavoro -:

prima di tornare foresta, acqua, rigoglio selvatico
nell’istante dell’inafferrabile paura
quando chiederai a ogni cosa
la tua immagine incompiuta.

Dammi un po’ di tempo: voglio amare le cose in modo nuovo
e farle degne di te e grandi.
Voglio solo sette giorni, sette
su cui nessuno abbia mai scritto,
bq. sette giorni di solitudine.

Chi riceverà il libro che li raccoglie
rimarrà chino sulle sue pagine.
Oppure sarà nelle tue mani
bq. e lo scriverai tu stesso.

***

Schiamazza la luce nelle cime del tuo albero,
vane diventano le cose, variopinte
e solo a giorno spento ti ritrovano.
Stende il crepuscolo, tenerezza dello spazio,
mille mani sopra mille teste
e quel che è estraneo diventa pio.

Solo così, solo con questo dolcissimo gesto
vuoi tenerti accanto il mondo.
Togli la terra dai suoi cieli
per sentirla sotto le pieghe del tuo manto.


Da Il libro delle immagini


Esordio

Chiunque tu sia: esci la sera
dalla tua stanza ove sai ogni cosa;
ultima prima della lontananza è la tua casa:
chiunque tu sia.
Con i tuoi occhi stanchi che a fatica
si staccano dalla soglia consunta,
sollevi lentamente un albero nero
e lo metti davanti al cielo: snello, solo.
E hai fatto il mondo. E il mondo è grande
e come una parola che matura ancora nel silenzio.
E appena la tua volontà ne intende il senso,
dolcemente lo lasciano i tuoi occhi.

***

Lamento

Oh, come tutto è lontano
e da gran tempo trascorso.
La stella, credo,
da cui ricevo splendore,
è morta da millenni.
Nella barca ch’è passata
credo d’aver udito
accenti di paura.
In casa una pendola
ha battuto le ore…
In quale casa?
Vorrei uscire dal mio cuore
e andarmene sotto il grande cielo.
Vorrei pregare.
E di tutte le stelle una dovrebbe
avere ancora realtà.
Io credo di sapere
qual è la stella
che unica dura, – che sta come una città bianca
là dove il raggio ha termine nei cieli…

***

Fine dell’autunno

Da qualche tempo vedo
come tutto si trasforma.
Qualcosa si alza e agisce
e uccide e fa male.

Ad ogni volta i giardini
non sono più gli stessi;
da quelli che ingialliscono al lento
sfacelo dei gialli: com’è stato
lungo il mio cammino.

Ora eccoli vuoti intorno a me
e il mio occhio attraversa tutti i viali.
Fin quasi ai mari lontani
scorgo il pesante, severo
diniego del cielo.

***

Autunno

Le foglie cadono da lontano, quasi
giardini remoti sfiorissero nei cieli;
con un gesto che nega cadono le foglie.

Ed ogni notte pesante la terra
cade dagli astri nella solitudine.

Tutti cadiamo. Cade questa mano,
e così ogni altra mano che tu vedi.

Ma tutte questo cose che cadono, Qualcuno
con dolcezza infinita le tiene nella mano.


Da Poesie sparse


Alla musica

Musica: respiro delle statue. Forse:
silenzio delle immagini. Tu lingua ove le lingue
cessano. Tempo a picco sul corso
dei cuori che passano.

Sentimenti per chi? Tu metamorfosi
dei sentimenti in che? -: in paesaggio udibile.
Musica: Tu straniera. Tu spazio del cuore
cresciuto oltre di noi. Tu a noi il più intimo
che, superandoci, di là da noi trabocca –
sacro addio:
poiché il nostro Intimo ci sta intorno come
la più frequentata lontananza, come altra
faccia dell’aria:
pura,
immensa,
non più abitabile.

***

Noi non siamo che bocca. Chi canta il cuore lontano
che abita al centro delle cose, intatto
In noi il suo grande battito è diviso
in brevi battiti. E il suo gran dolore
come il suo grande giubilo, è per noi troppo grande.
Così, sempre più scissi,
noi non siamo che bocca. Ma improvviso, segreto,
irrompe in noi il gran battito del cuore,
ci strappa un urlo – e allora
siamo sostanza, volto e metamorfosi.

***

Scialle

Come all’uomo in ginocchio davanti alla fanciulla
i nomi per lei: stella, fonte, rosa, casa; affluiscono inauditi;
e come egli sa sempre, più ne vennero,
che nessun nome basta a dirne il senso –

... così, mentre lo vedi leggermente spiegato,
il centro dello scialle di Kashmir che dalla fascia a fiori
il suo nero rinnova e poi lo schiara in cime alla cornice
e crea uno spazio puro per lo spazio…:

tu questo apprendi: senza fine i nomi
si sprecano per dirlo: perché è il Centro.
Quale che sia il disegno dei nostri passi,
intorno a un simile vuoto ci muoviamo.

Berna, ottobre 1923.

***

Stella forte che ignori l’assistenza
che la notte oscurandosi concede
alle altre stelle perché si rischiarino;
stella che, già compiuta, si dilegua

mentre s’inizia il viaggio delle costellazion
per la notte che elnta si distende;
grande stella delle sacerdotesse
d’amore che d’interno fuoco ardendo,

raggiante fino all’ultimo e mai cenere
discende là dove discese il sole,
con il suo puro tramonto vincendo
mille albe in splendore

Muzot, 20 e 22 gennaio 1924

***

Caducità

Ora, sabbia nel turbine. Svanire, ininterrotto, sordo,
anche dell’edificio più saldo, più felice.
Vita è vento perenne. Già s’ergono disgiunte
le colonne che nulla più sostengono.

Ma lo sfacelo: è più triste, forse, dello zampillo
che in polverio di luce fa ritorno al suo specchio?
Dunque fra i denti della metamorfosi teniamoci
perché senza residuo ci comprenda nel suo capo veggente.

***

gong

Risonanza, non più con l’udito
misurabile. Come fosse il suono
che tutt’intorno ci trascende,
una maturità dello spazio.

***

Rainer Maria Rilke


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