Opere di

Rabindranath Tagore

Da «La poesia della natura», Guanda Editore, Parma (2005)


Dimenticai di seguire
la traccia consueta.
M’allontanai d’alcuni passi del sentiero,
mi parve estraneo il mio solito mondo,
come un fiore che io avessi conosciuto
solo in boccio.
La mia saggezza si sentiva umiliata.
Vagai smarrito nella terra delle meraviglie.
Fu la più grande delle mie fortune,
ch’io perdessi il sentiero, quella mattina,
e trovassi la mia infanzia per sempre.

Da Palataka


Quello che volevo dire
e che non ho detto
era solo questo:
Attraverso la mia porta
davanti agli occhi
ho visto mille volte
l’universo eterno.
L’eterna intelligenza dello sconosciuto
ogni giorno in tanta semplicità
ha riempito l’intimo del cuore:
non so se potrò dire con parole semplici
questa verità.

Risuona il canto della nuda terra
sotto l’ombra solitaria del gelso:
sull’altra sponda del fiume
ara il contadino la ripida riva:
volano via le anitre dalla spiaggia sabbiosa
senza erba e senza gente.
Le acque stanche del fiume dimesso
come occhio spento e mezzo attento
chissà se vanno o sono ferme.

Da molto tempo segnata da impronte di piedi,
la strada, amica del raccolto,
cammina tortuosa lungo i campi:
corre una parentela tra la capanna e il fiume.

quante volte il poeta ha contemplato
tutte queste immagine,
questo villaggio alla luce di marzo,
quella terra desolata, quel traghetto,
quella linea azzurra del fiume,
in quel lontano seno di sabbia
presso le acque solitarie
nel luogo del mercato,
quel bisbiglio serrato,
solo questo guardare,
questo camminare sulla strada,
questa luce, questa aria,
questo fuggire improvviso di nubi
sulla corrente del fiume,
il cammino silenzioso delle ombre:
il cuore ha cercato di vedere
quello che nelle gioie e nelle pene
a più riprese lo ha reso perfetto.

Sul Gange, 19 febbraio 1916

Da Stormi nel cielo


Tu ti doni a me come un fiore che non si schiude
che all’avvicinarsi della sera,
la cui presenza è tradita dal profumo che libera
nell’ombra. Così viene a passi silenziosi
la primavera, quando le gemme gonfiano
le cortecce.

Tu t’imponi al mio spirito come le alte onde
della marea crescente, il mio cuore si nasconde
sotto canti burrascosi.

Presentivo il tuo arrivo come la notte affretta l’alba.
Un cielo nuovo mi è stato rivelato attraverso
le nuvole che diventano rosse.

Da Petali sulle ceneri


I miei canti sono schiere di loto:
dove sono nati
non sono rimasti.
Sono senza radici,
ma hanno foglie e fiori.
Con la gioia della luce
danzano sulle onde delle acque.
Sono senza casa e senza raccolto,
come ospiti sconosciuti
s’ignora quando arrivano.

Quando viene luglio
su nubi indomabili,
sotto l’impeto della corrente
straripano le due rive:
la schiera dei miei loto,
indomabili, irrequieti,
sulle rapide impetuose
smarriscono la via.
Si disperdono di villaggio in villaggio,
in flussi e riflussi
da un luogo all’altro
in ogni direzione.

Surul, 12 gennaio 1915

Da Stormi nel cielo


Mentre passavano le stagioni
e le api frequentavano i giardini estivi,
la luna sorrideva nella notte ai gigli,
i lampi dardeggiavano ardenti baci
alle nuvole e ridendo sparivano…
Il poeta se ne stava in un angolo,
quasi una cosa sola con gli alberi e le nuvole.
Tenne il cuore in silenzio come un fiore,
vegliò nei sogni come fa la luna crescente…
E se ne andò vagando come la brezza estiva,
senza meta alcuna.

Da Palataka


Shelidah, 16 phalgun (2 marzo) 1895

Quanto lavoro per questo pezzetto di vita! Pensare alla quantità di terra, negozi, commercio, necessaria a provvedere solo al mio ufficio; e tutto lo spazio che ogni individuo occupa nel mondo, anche se una piccola sedia basterebbe a contenerlo tutto!
Quando poi ogni cosa è finita, resta solo il materiale per due ore di pensiero, per alcune pagine scritte!
Che trascurabile parte delle mie poche pagine occuperebbe questa mia pigra giornata! Ma questo giorno di pace, sulle sabbie desolate, presso il fiume tranquillo, non lascerà tuttavia una piccola e distinta traccia d’oro anche sopra il rotolo, di pergamena del mio eterno passato e del mio eterno futuro?

Da Fogli strappati. Immagini dal Bengala


La primavera in festa
che nella vita mia, tutta felice,
un giorno entrò con ore colme
di rose innumerevoli, fragranti,
il cielo infiammando
coi rossi baci dei rami nuovi d’ashoka*,
ora s’avvicina alla mia solitudine
per strade deserte, fra ombre che s’addensano
pesanti di silenzio…
Siede nella mia terrazza e tace,
guardando attraverso i campi
dove il verde della terra termina
nell’estremo pallore del cielo

Da Palataka

*Ciliegio dai fiori bianchi, spesso celebrato nella poesia sanscritta.


Sono solo un poeta –
Non so seguire disputa alcuna;
vedo quest’Universo nella sua interezza
nei cieli un milione di stelle testimoniano
la sua bellezza suprema.
Il ritmo non si spezza,
il canto non s’arresta,
la corruzione non rivela deformità alcuna.
Nel cielo
vedo la grande rilucente Rosa
schiusa, petalo a petalo.

24 novembre 1940: mattino

Da Ali della morte


Nell’età, invece, di cui ho parlato poco prima, nel mio spirito regnava senza dubbio l’autunno. Quella stagione bisogna riguardarla distesa sotto la chiara trasparenza degli ozii di aswin.* Nell’oro fuso di quella luce autunnale, io vado su e giù per la veranda, componendo sull’aria Jogiya, la poesia:

Eppure, oggi, non so, con tanta luce,
che vuole il cuore mio.

La mia giornata autunnale avanza; a casa, il gong suona mezzogiorno, la mia mente è ancora tutta piena di musica, e non c’è posto per la voce del lavoro e del dovere. Io canto:

Che pigro giuoco giuochi con te stesso
in queste ore indolenti, cuore mio?
Poi, nel pomeriggio, mi distendo sul bianco tappeto della mia camera, con un album da disegno, cercando di scarabocchiare qualcosa, non nell’intento di seguire uno strambo capriccio., ma, così, per giocare col desiderio di far dei disegni. La maggior parte di essi rimane nella mente, e non una linea viene tracciata sulla carta. Intanto il sereno pomeriggio autunnale penetra attraverso le mura di quella piccola camera di Calutta, riempiendola, come una coppa, di un dorato filtro velenoso.
Non so perché, ma vedo tutti i giorni di quel periodo, attraverso il cielo e la luce autunnale: l’autunno fa maturare per me le poesie, come fa maturare il grano per il contadino, l’autunno riempie il mio granaio di ozii col suo splendore, inonda la mia mente, che non sopporta più pesanti fardelli, con la gioia pazza d’intessere canzoni e d’inventare storie.
La gran differenza che vedo tra la stagione delle piogge della mia infanzia e l’autunno della mia giovinezza è questa: nella prima è la Natura, dal di fuori, che mi circonda strettamente facendomi divertire con la numerosa compagnia dei suoi attori, con i suoi svariati trucchi, con le sue audizioni musicali; mentre la gioia che si diffonde dalla luce risplendente dell’autunno la possiede in sé lo stesso uomo. Il giuoco delle nuvole e della luce è lasciato in un piano secondario, mentre il mormorio della gioia e del dolore occupa intera la mente. Il nostro sguardo dà all’azzurro del cielo autunnale quel senso di mesta commozione umana, che dà l’amarezza al soffio delle sue brezze.
Ora le mie poesie sono arrivate alle porte degli uomini: qui è permesso quell’andare e venire senza scopo; ci son porte dopo porte e stanze dopo stanze. Quante volte dobbiamo tornare, con il solo bagliore di luce intravisto da una finestra, o con il solo zufolare d’un flauto, udito alla porta di un palazzo, che riecheggia nei nostri orecchi? La mente ha da fare con un’altra mente, la volontà deve venire a condizioni con un’altra volontà, attraverso tanti ostacoli intricati, prima d’arrivare al momento del dare e dell’avere.La ragione di vita, che da quegli ostacoli irrompe con violenza, spruzza e spumeggia in riso e lacrime, danza e rotea rapidamente, in turbinii dai quali non si può avere un’idea del suo corso.

Da Ricordi

*È il mese che corrisponde al periodo 15 settembre – 15 ottobre, tempo in cui nel Bengala si hanno le vacanze autunnali.


Per molti giorni, per molte miglia,
con molte spese, per molti paesi,
sono andato a vedere i monti,
sono andato a vedere il mare.
Ma a due passi da casa,
quando ho aperto gli occhi,
non ho visto
una goccia di rugiada
sopra una spiga di grano.

Da Sfulingo (Scintille)


Questo paesaggio l’ho contemplato in tanti mesi di marzo,
quando sbocciavano i fiori di senape.

Conosco la pigra linea d’acqua, la macchia
grigiastra che va oltre la sabbia e il sentiero
che porta, attraverso i campi, fino al villaggio.

Ho cercato d’imprigionare nei versi
la pigra melodia del vento e lo sbattere
dei remi di qualche barca di passaggio.

Mi sono meravigliato della semplicità
di questo grande mondo davanti a me,
della disinvoltura tenera e familiare
con la quale il mio cuore scopre
l’Eterno Straniero!

Da Petali sulle ceneri


Le mani stringono le mani, gli occhi indugiano negli occhi;
così comincia la storia dei nostri cuori.
E’ un plenilunio di marzo: il dolce profumo
dell’henna* nell’aria; il mio flauto
giace per terra dimenticato, la tua ghirlanda di fiori
non è terminata.
Quest’amore tra me e te, è semplice,
come un canto.

Il tuo velo color zafferano inebria i miei occhi.
La ghirlanda di gelsomini che intrecci per me
mi commuove come una lode.
E’ un gioco di dare e trattenere, di rivelazioni
e di misteri, di sorrisi e di piccole timidezze,
di dolci inutili lotte.
Quest’amore fra me e te, è semplice,
come un canto.

Nessun mistero al di là del presente: nessuna ricerca
per l’impossibile; nessun’ombra dietro l’incanto;
nessuna indagine nel buio profondo.
Quest’amore fra me e te è semplice,
come un canto.

Non cerchiamo con parole vane d’interrompere
l’eterno silenzio, non alziamo le mani nel vuoto
per cose al di là della speranza.
Ci basta ciò che diamo e quello che riceviamo.

Da Il Giardiniere

*Fiore vermiglio della famiglia degli ibischi.


I miei canti sono api che seguono
la tua traccia profumata,
attorno alla tua grazia impaurita
ronzano e sono avidi del segreto bottino.

Quando il fiore del mattino pesante s’inclina,
e il torpore del mezzogiorno cala sulla foresta muta,
i miei canti tornano con ali più languide,
impolverate di polline d’oro.

Da Petali sulle ceneri


Sia la mia canzone
dell’azzurro splendente di sole,
dell’aria bagnata di brina,
dei campi ricchi di raccolti d’oro,
del sorriso di festose acque!
Sia semplice il mio canto
come il risveglio del mattino,
come il gocciolare della rugiada
dalle foglie.

Da Kheya


Lei è vicina al mio cuore
come un piccolo fiore alla terra.
Lei è dolce come il sonno che viene
per il corpo stanco.
L’amore che provò è la mia vita,
che scorre veloce come il fiume
durante le piene dell’autunno,
che scivola in sereno abbandono.
Le mie canzoni sono una sola cosa
col mio amore, come l’acqua che mormora
con le sue onde, le sue correnti.

Da Palataka


Sono irrequieto. Ho nostalgia di cose lontane.
La mia anima desidera toccare il limite
dell’Oscuro Lontano.
O Grande Aldilà. o l’acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico che non ho
ali per volare, che sono legato a questo luogo per sempre.

Sono insonne nella mia angoscia; uno straniero
in terra straniera.
Il tuo alito mi mormora una impossibile
speranza.
Il mio cuore comprende il tuo linguaggio
come fosse il mio.
O Lontanissimo, o l’acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico che non conosco la strada,
che non possiedo un cavallo alato.

Niente mi interessa: sono un vagabondo del mio cuore.
Nella nebbia assoluta delle languide ore,
quale grandiosa visione di te
prende forma nell’azzurro del cielo!
O meta Lontanissima, o l’acuto richiamo del tuo flauto!
Dimentico, sempre dimentico che tutti i cancelli
sono chiusi, nella casa dove vivo solo!

Da Il Giardiniere


La natura, entro cui siamo nati, è solo una verità imperfetta, come la verità del seno. La verità completa consiste nel fatto che siamo nati nel grembo della Personalità infinita e che il nostro vero mondo non è il mondo delle leggi della materia e della forza, ma il mondo della personalità. Quando comprendiamo appieno ciò, si realizza la nostra libertà. Allora noi comprendiamo ciò che dice l’Upanisad.
«Conosci tutto quello che si muove nel mondo in moto come avvolto in Dio, e godi di quello che viene da Lui».

Da Il mondo della personalità


Preferivo la spiaggia sabbiosa,
accanto agli stagni solitari
dove le anatre sguazzavano a gara
e le tartarughe si scaldavano al sole.
Di sera solo rare barche da pesca
si riparavano all’ombr degli alberi.

Amavi la sponda alberata
dove le ombre si raccoglievano nel bosco dei bambù
e le donne venivano a prendere l’acqua
con le secchie, lungo il sentero tortuoso.

Il fiume scorreva tra noi,
cantando la stessa canzone
per tutte e due le rive.
Io lo ascoltavo da solo, seduto sulla sabbia.
alla luce delle stelle,
tu lo sentivi al limite della discesa,
alla prima luce del mattino.
Non sapevi però cosa io comprendessi
mentre per me era mistero
il segreto che l’acqua t’aveva affidato.

Da Palataka


Scendi da me come nuvola estiva,
versando uragani dall’uno all’altro cielo.

Rendi oiù scura, con le tue maestose ombre,
la porpora dei monti,
dona rigoglio ai languidi boschi
e suscita nei ruscelli delle colline
il fervore della lontana ricerca.

Scendi da me come nuvola estiva,
scuotimi il cuore con la promessa
d’una vita arcana e futura,
con la Gioia del verde.

Da Kheya


Io ti adorerò nei fiori,
nelle piante della foresta;
in cima alla tua fronte
poserò i colori dell’amore,
ti legherò con lacci variopinti.
Farò l’altalena sulle onde
dell’oceano della gioia
con nuovi canti e melodie,
Non ho più orgoglio
per la vita umana:
fissato al tuo volto materno
di un verde tenero,
ho amato la tua terra,
la tua polvere.

Da La barca d’oro


Solo un germogliare di foglie
che in estate entrava
nel giardino in riva al mare.

Solo un rumore ed un fruscio
nel vento di mezzogiorno,
poche, indolenti prove di canto…
E poi il giorno finiva…

Da Palataka

Rabindranath Tagore


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