Opere di

Pedro Salinas

✒ ✑ ✒

Poesie tratte da «La voce a te dovuta», Giulio Einaudi Editore – Torino 1979 Trad. italiano

✒ ✑ ✒

Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.

Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.

E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti, lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.

Perché tu ha capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che sono già decifrati.

E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t’invaghisti di un’ombra
l’unica che ti è piaciuta -.
Un’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.

✒ ✑ ✒

Sì, al di là della gente
ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Al di là, più in là, più oltre.

Al di là di te ti cerco.
Non nel tuo specchio
e nella tua scrittura,
nella tua anima nemmeno.
Di là, più oltre.
Al di là, ancora, più oltre
di me ti cerco. Non sei
ciò che io sento di te.
Non sei
ciò che mi sta palpitando
con sangue mio nelle vene,
e non è me.
Al di là, più oltre ti cerco.

E per trovarti, cessare
di vivere in te, e in me,
e negli altri.
Vivere ormai di là da tutto,
sull’altra sponda di tutto
per trovarti –
come fosse morire.

✒ ✑ ✒

Ah!, quante cose perdute
che perdute non erano.
Tutte le serbavi tu,

Minuti grani di tempo,
che portò via un giorno il vento.
Alfabeti della spuma,
che un giorno il mare travolse.
Io li credevo perduti.

E perdute le nubi
che pretendevo fermare
nel cielo
fissandole con occhiate.
E l’allegria alta
dell’amore, e l’angoscia
di non amare abbastanza,
e l’ansia
di amare, di amarti, di più.
Tutto perduto, tutto
nell’essere stato un tempo,
nel non esistere più.

E allora tu sei venuta
dal buio, radiosa
di giovane pazienza profonda,
agile, perché non pesava
sui tuoi fianchi snelli,
sulle tue spalle nude,
il passato che tu,
così giovane, portavi per me.
Ti guardavo alla luce dei baci
vergini che mi hai dato,
e tempi e spume
e nubi e amori perduti
furono salvi.
Se da me fuggirono un giorno,
non fu per morire
nel nulla.
In te continuavano a vivere.
Ciò che chiamavo oblio
eri tu.

✒ ✑ ✒

Lì, oltre il sorriso,
non ti si conosce più.
Vai e vieni, scivoli
per un mondo di valzer
gelati, all’ingiù;
e passando, i capricci,
gli impulsi ti carpiscono
baci senza vocazione,
a te, la momentanea
prigioniera dell’agevole.
«Che allegra!» dicono tutti.
Ed è che tu allora
tenti di essere altra,
così somigliante
a te stessa, che ho paura
di perderti, così.

Ti seguo. Attendo. So
che quando non ti osservino
gallerie né astri,
quando il mondo crederà
di sapere ormai chi sei
e dirà: «Sì, ora so»,
tu scioglierai,
con le braccia in alto,
dietro i capelli,
il nodo, guardandomi.
Senza rumore di cristallo
cadrà per terra,
maschera senza peso
ormai inutile, il riso.
E quando ti vedrai
nell’amore che io ti tendo sempre
come uno specchio ardente,
tu riconoscerai
un volto serio, grave,
una sconosciuta
alta, pallida e triste,
la mia amata. Che mi ama
al di là delle risa.

✒ ✑ ✒

Per vivere non voglio
isole, palazzi, torri.
Che altissima allegria:
vivere nei pronomi!

Getta via i vestiti,
i connotati, i ritratti;
non ti voglio così,
travestita da altra,
figlia sempre di qualcosa.
Ti voglio libera, pura,
irriducibile: tu.
Quando ti chiamerò, so bene,
fra tutte le genti
del mondo,
solo tu sarai tu.
E quando mi chiederai
chi è che ti chiama,
che ti vuole sua,
sotterrerò i nomi,
le pergamene, la storia.
Comincerò a distruggere quanto
m’hanno gettato addosso
da prima ancora ch’io nascessi.
E ritornato ormai
all’eterno anonimato
del nudo, della pietra, del mondo,
ti dirò:
«Io ti voglio, sono io».

✒ ✑ ✒

Amore, amore, catastrofe.
Che inabissarsi del mondo!
Un grande orrore di tetti
schianta colonne, tempi;
li cambia con cieli
atemporali. Ci muoviamo
tra le rovine
di estati e di inverni
travolti. Si estinguono
i pesi e le norme.
Tutta volta all’indietro la vita
si sta togliendo secoli,
frenetica, di dosso;
disfa, veloce, la trama
del suo corso, lento prima;
muore dall’ansia
di cancellare la sua storia,
di non essere altro che il puro
desiderio di iniziarsi
di nuovo. Il futuro
si chiama ieri. Ieri
occulto, segretissimo,
che abbiamo scordato
e che si deve riconquistare
con l’anima e col sangue,
dietro quegli altri
ieri conosciuti.
Indietro e sempre indietro!
Ripiegare, smarriti,
all’interno, verso il domani!
Che crolli tutto! Ormai
lo sento appena.
A forza di baciare stiamo
inventando le rovine
del mondo, per mano
tu ed io
nel grande crollo
del fiore e dell’ordine.
E fra contatti, fra abbracci,
sento già la tua pelle
che mi offre il ritorno
al palpito iniziale,
senza luce, prima del mondo,
totale, senza forma, caos.

✒ ✑ ✒

Sperdutamente
amati, per il mondo,
Amare! Che confusione
senza pari! Quanti errori!
Baciare volti invece
di maschere amate.
Universo in equivoci:
minerali in fiore,
che vogano nel cielo,
sirene e coralli
sulle nevi perenni,
e nel fondo del mare,
costellazioni ormai
stanche, transfughe
dalla gran notte orfana,
dove muoiono i palombari.
Noi due. Che smarrimento!
Questa strada, l’altra,
quella? Le carte, false,
scombussolando le rotte,
giocano a farci smarrire,
fra rischi senza faro.
I giorni ed i baci
sono in errore:
non hanno termine dove dicono.
Ma per amare dobbiamo
imbarcarci su tutti
i progetti che passano,
senza chiedere nulla,
pieni, pieni di fede
nell’errore
di ieri, di oggi, di domani,
che non può mancare.
Dell’allegria purissima
di sbagliare e trovarci
sulle soglie, sui margini
tremuli di vittoria,
senza voglia di vincere.
Con il giubilo unico
di vivere una vita
innocente tra errori,
e che non vuole altro
che essere, amare, amarsi
nell’immensa altezza
di un amore
che si ama ormai
con tanto distacco da tutto
ciò che non è lui,
che si muove ormai al di sopra
di trionfi o di sconfitte,
ebbro nella pura gloria
della sua certezza.

✒ ✑ ✒

La materia non pesa,
Il tuo corpo ed il mio,
uniti, non sentono mai
schiavitù, sentono ali.
I baci che tu mi dài
sono sempre redenzioni:
tu baci verso l’alto,
e qualcosa di me porti a luce,
costretto prima
nel fondo oscuro.
Los alvi, lo guardiamo
per vedere come ascende,
e vola, per l’impulso che gli dài,
verso il suo paradiso
dove ci aspetta.
No, non opprime la tua carne
e neppure la terra che calpesti
né il mio corpo che stringi.
Sento, quando mi abbracci,
che ho tenuto contro il petto
un lieve palpitare,
vicinissimo, di stella,
che viene da un’altra vita.
Il mondo materiale
nasce quando tu parti.
E sull’anima sento
quell’oppressione enorme
di ombre che hai lasciato,
di parole, senza labbra,
scritte su fogli di carta.
Restituito alla legge
del metallo, della roccia,
della carne. La tua forma
corporea,
il tuo dolce peso rosa,
è ciò che mi rendeva
il mondo più lieve.
Ma ciò che non sopporto
e che mi schiaccia,
chiamandomi alla terra,
senza te per difendermi,
è la distanza,
è il vuoto del tuo corpo.

Sì, tu mai, tu mai:
il tuo ricordo, è materia.

✒ ✑ ✒

Se tu sapessi che questo
enorme singhiozzo che stringi
fra le braccia, che questa
lacrima che asciughi
baciandola,
vengono da te, sono te,
dolore tuo mutato in lacrime
mie, singhiozzi miei!

Allora
non chiederesti più
ai cieli, al passato,
alla fronte, alle carte,
perché soffro, che ho.
E tutta silenziosa,
con quel grande silenzio
della luce e del sapere,
mi baceresti ancora,
e desolatamente.
Con la desolazione
di chi non ha vicino
un altro essere, un dolore
altrui; di chi è solo
ormai con la sua pena.
E vuole consolare
in un chimerico altro,
il gran dolore ch’è suo.

✒ ✑ ✒

Pedro Salinas



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