Un fiore per Kylie

di

Ottavio D’Alessio Grassi


Ottavio D’Alessio Grassi - Un fiore per Kylie
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 78 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-4431

eBook: pp. 56 - Euro 4,99 -  ISBN 978-88-6587-567-4

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina illustrazione ed elaborazione grafica di Daniela Tediosi


Sette racconti per parlare di animali. Animali visti attraverso lo sguardo degli uomini.
Gatti, mucche, maiali, cavalli, orsi e rondini visti da noi. Con gli occhi di noi adulti, di noi bambini. Sguardi e sensibilità differenti, a seconda delle epoche e delle latitudini.
Il salvataggio di una gatta in fuga, l’attesa del ritorno delle rondini al nido, la sensibilità di una bambina Down, un viaggio alla ricerca delle proprie radici, il pentimento di Tien, raccoglitore di bile d’orso. E poi la resurrezione della carne, la nemesi animale, una sorta di preconizzazione del giudizio universale, confinato in un mercato cittadino. E infine, riflessioni in una pausa pranzo, un fulminante confronto a due tra misticismo e scetticismo.

Storie di uomini e di bambini nel loro complesso rapporto con la natura che li circonda, visioni contrastanti, sentimenti diversi, e il fascino, talvolta la nostalgia che essa suscita. Sullo sfondo, l’ingombrante peso di una cultura spesso ancora pervasa dalla supponente, quanto fallace, convinzione di essere, come uomini, altro rispetto all’ecosistema.

Da ciascuno di questi racconti, è il tema della visione antropocentrica dell’uomo che affiora, come dal fiume gli occhi di una lontra. Un tema antico, una guerra vinta, ma mai terminata. Un conflitto crudele e testardo nel quale i vincitori sembrano però sempre più percepire la vanità della loro vittoria.


Introduzione

«Gli manca solo la parola». Chiunque abbia avuto un cane, almeno una volta questa frase l’ha pronunciata.
È una frase come tante, di quelle che vanno bene in ogni circostanza. Come quando incontri qualcuno in ascensore, non sai cosa dire e allora interrompi il flusso dei pensieri spegnendo quel silenzio imbarazzante. Parli del tempo, delle mezze stagioni, o del fatto che i politici sono tutti uguali, e via discorrendo.
Tuttavia, diversamente da molte, questa frase un pregio ce l’ha: possiede cioè la forza di evocare quello che non viene detto. E questo, a pensarci bene, non è poco.
Perché ciò che non viene detto è che loro, gli animali, hanno tutto il resto: hanno carattere, personalità, intelligenza, provano sentimenti, emozioni, gioie e dispiaceri. Provano dolore. E anche questo, noi che sappiamo cos’è il dolore, a pensarci bene non è poco.
Studiosi affermano che gli animali possiedono capacità deduttive, di ragionamento e persino di pensiero etico. Konrad Lorenz sosteneva che avessero una coscienza e che l’uomo non fosse perciò il solo ad avere una vita interiore soggettiva.
Se le cose stanno così, si comprende quanto sia arduo per noi umani accettare queste verità. Perché come spesso succede con le verità scomode, anche queste creerebbero un problema, un gigantesco problema. Dunque, meglio far finta di nulla, meglio tacere piuttosto che ammetterlo. Ammettere cioè, traendone le conseguenze, che gli animali hanno in sostanza tutto quel che serve per essere “universalmente” riconosciuti come esseri senzienti. Tutto… tranne, appunto, la parola.
Provano ciò che proviamo, pensano e sognano. Insomma, tutto sommato, non sono poi tanto diversi da noi. Ma non parlano. Questa è la loro sventura: non possono dirci quello che pensano. Di conseguenza, non possono dirci ciò che pensano di noi.
Noi possiamo intuire quello che di noi pensa il nostro cane e sappiamo, con assoluta certezza, che ci ama, e ci ama anche quando non ce lo meritiamo. Ci ama a tal punto che darebbe la sua stessa vita per la nostra. E che non sopravvivrebbe alla nostra morte.
Questo lui, il nostro cane, che ci vive accanto. Ma tutti gli altri? Cosa pensano di noi tutti gli altri animali, quelli il cui destino, per una ragione o per l’altra, è legato alle nostre decisioni? Non ne sappiamo nulla.
Non conosciamo quello che di noi pensano il vitello e la mucca, che trascorrono l’intera loro vita in un angusto box, non sappiamo cosa pensa di noi il maiale, nutrito per morire a scadenza predeterminata.
Nulla sappiamo di cosa pensano mucche, vitelli, pecore e maiali quando dalle feritoie dei camion ci guardano smarriti mentre noi, pur sapendo dove stanno andando, assorti nei nostri pensieri li sorpassiamo in autostrada.
Tantomeno sappiamo cosa pensano di noi i tanti animali che ingabbiamo, talvolta soltanto per non far affogare nella noia la nostra mediocrità.
E i cavalli… che non riceveranno la nostra riconoscenza quando non saranno più in grado di trainare le nostre cose. Già, i cavalli… cos’avranno pensato di noi i milioni di cavalli lanciati al galoppo sui campi dove abbiamo combattuto le nostre guerre? E gli asini e i muli, che hanno trainato i nostri cannoni nel fango e nella neve? E perché no, le rondini, che sciaguratamente priviamo del loro habitat?
Per non parlare dei cani, per i quali, anche nella nostra “civilissima” Europa, spesso un braccio all’altro capo del guinzaglio può fare la differenza tra una vita dignitosa e la camera a gas.
Oppure degli orsi della luna (Ursus thibetanus). Perché – singolari bizzarrie del comportamento umano – in Cina e nel Sud-est asiatico, a differenza dei loro cugini panda (Ailuropoda melanoleuca), trattati fortunatamente con ogni riguardo per evitarne l’estinzione, gli orsi della luna vengono invece considerati niente di più che botti da cui estrarre la bile.

Insomma, per concludere, avranno capito tutti questi animali e molti altri ancora, che di questo fragile pianeta condividono con noi i destini, chi e cosa siamo?
Questo noi non lo sappiamo. E nemmeno ci importa di saperlo.
Diciamo le cose come stanno: il loro sguardo su di noi… rimbalza. Punto e a capo.
Ne abbiamo abbattute tante di barriere, e spesso col loro abbattimento sono finite le guerre. Ma questa no, questa del linguaggio deve rimanere in piedi. Ci piace. È il nostro alibi.
In questi racconti non abbiamo dato la parola a loro, agli animali. L’abbiamo data, ancora una volta, a noi uomini, a noi bambini. Ma è stato fatto, o almeno abbiamo cercato di farlo, mettendoci di fronte a uno specchio. Uno specchio diverso dagli altri, uno specchio magico nel quale, per una volta, non è il nostro volto ad essere riflesso. Questo è.

Ottavio D’Alessio Grassi


Un fiore per Kylie


A Sally, per come mi ha cambiato


La grandezza di una nazione e il suo progresso
morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.
M.K. “Mahatma Gandhi (1869-1948)


A una gallinella
(insalata di pollo)

Uno: prendere con delicatezza una gallinella
(viva naturalmente mica siamo iene).
Due: dirle con una vocina non tremare così
non ti facciamo niente
mica ti mangiamo.
Tre: lisciarle un po’ le bianche penne
(ma come trema poverina, come è spaventata).
Quattro: dirle la vuoi una fogliolina d’insalata?

Vivian Lamarque

(tratto da) Vivian Lamarque, Poesie, ©2002 Arnoldo Mondadori Editore SpA, Milano per gentile concessione dell’autore e dell’editore.


Caos

Dunque, la situazione era la seguente: incrocio, cinque strade che si immettono nell’incrocio, di cui ben tre con spartitraffico nel mezzo, cioè le classiche autostrade di città, mica roba da poco, perciò non un incrocio qualsiasi, un grande incrocio, e da una parte un’aiuola due metri per due, non di più, con una bestia di albero piantato nel mezzo, che chiameremo quercia, non perché lo fosse, che ne so, non l’avevo mai guardata prima, ma per assonanza con la parola bestia, diciamo… già, perché una bestia di albero non mi evoca certo una betulla. E l’orario, le otto di mattina di un giorno di lavoro.
Ecco, provate a immaginare: incrocio, anzi grande incrocio, strade, ora di punta e… ah sì, il semaforo. E non dimenticate l’aiuola con la quercia, l’unica aiuola, l’unica quercia.
Io arrivo lì e mi fermo al rosso. Improvvisamente il Caos. Non il caos, quello di tutti i giorni, quello standard, che si sopporta come la pioggia e la neve, diciamo quello che accettiamo e tolleriamo come accettiamo e tolleriamo ogni evento di Dio, bensì il Caos, C maiuscola.
Proprio nel mezzo dell’incrocio una ragazza, bici rovesciata sull’asfalto, che corre. Corre, da una parte e dall’altra tra le auto impazzite e poi avanti e indietro, chinandosi e risollevandosi. Folle!
Mi sollevo dal sedile, cerco di capire, di vedere e… lo vedo, è un gattino. Una massa di pelo, lungo giusto una spanna non di più, coda inclusa, che corre a zig-zag tra un’auto e l’altra.
Centinaia di cartellini da timbrare, di saracinesche da sollevare, di commissioni da fare… tutte radunate lì, in quell’incrocio, a quell’ora, bloccate da quella… spanna di essere vivente, e da quella pazza che non sa quanto sia preziosa la vita. Ecco, il Caos, appunto. Clacson a tutto spiano, eh sì, perché i cartellini, le saracinesche, le commissioni… tutto lì si rovescia, sul clacson, il grilletto del mitragliatore, la bocca del cannone. E quando hai la sfiga di trovarti lì davanti, in prima fila, cioè il primo a saltar fuori dalla trincea, e non è uno solo che ti suona da dietro, fosse uno ce lo puoi anche mandare… ma dieci, cento, mille, è il mondo intero che ti urla addosso e che ti dà dello stronzo, perché quei cartellini e le saracinesche, è tutto il mondo che si ferma, a causa tua. Perciò ce l’hai, il mandato popolare, puoi partire, chissenefrega! E c’è chi parte infatti, ma poi si blocca, per forza, non c’è mica solo il cucciolo che se lo stendi non ti succede niente, al massimo ci pensi una settimana e ti dispiaci, ma che ci potevi fare. No, c’è la ragazza, mica puoi stendere la ragazza. Te l’immagini l’articolo di cronaca? “Quindici anni, abbandona la bicicletta in mezzo all’incrocio per salvare la vita a un gattino, viene investita da…”. Eccoti lì, nome e cognome, incensurato, stimato professionista, giacca e cravatta… praticamente una merda.
Ma torniamo a noi. La ragazza non ce la fa, il gattino sfugge alle auto ma anche a lei, che per lui è un’auto, e improvvisamente… jump! salta nell’aiuola. Come avrà fatto, dico io, quella minuscola spanna di pelo a portare il culo lì, in quell’aiuola due metri per due neanche. Fatte le debite proporzioni, l’isoletta per il naufrago. L’aveva vista sin da prima? Ci è capitato per caso? Boh. Perché se ci fosse capitato per caso, allora dev’essere così, che anche una minuscola palla di pelo ha il suo santo protettore. Ce l’hanno gli ubriachi… Insomma, chi lo sa. Del resto qualcuno si è mai chiesto dove diavolo vanno quei minuscoli insetti neri che corrono tra le dune della spiaggia? Ci butti sopra una manciata di sabbia e loro riemergono e proseguono nella stessa direzione. Li sposti con un dito per confondergli il percorso e loro, dopo un po’, lo riprendono. Fatte le debite proporzioni, un uomo solo paracadutato nel Sahara. Che c’hanno, il radar in quella capocchia di spillo?
Torniamo a noi. Insomma, il gattino sta lì, nell’aiuola, immobile sotto la quercia, si sente al sicuro, perché quel cervello ancora in crescita ha elaborato in pochi secondi tutte le regole della sopravvivenza, quelle… che ci vuole quasi una vita. Mica la nostra di sopravvivenza, di noi umani voglio dire, ma quella di un gatto nel caos degli umani. Provate voi a pensarvi, tacchi a spillo, giacche e cravatte del cazzo! nel mezzo del Sahara o nella foresta amazzonica, così improvvisamente, tanto per gradire… dove ve li mettete i vostri bei ditini da sms, eh?
Insomma, il gattino è salvo e guarda preoccupato la ragazza che corre verso di lui, io mi trovo proprio lì, come tutti i giorni, a pochi metri dall’aiuola. Come tutti i giorni, per l’appunto, e prima d’allora non mi ero mai accorto che lì ci fosse un’aiuola. Esco dall’auto, lui mi dà di spalle, perciò non mi vede e, nel Caos, non mi sente. È un attimo, lo branco, risalgo, chiudo. I clacson sono all’assalto, catturo un frammento di sorriso dal viso della ragazza, ci abbracciamo col pensiero, e riparto.
Cinquanta metri, forse meno, guardo e il gatto non c’è più, sparito. Al suo posto uno stronzo, mezzo pollice di cacchetta ben formata sul sedile anteriore. I finestrini sono chiusi, lo erano già prima, dove diavolo è finito? Bella questa, tanta fatica, per cosa? Più avanti accosto. Guardo dietro, guardo sotto i sedili, nulla, nelle tasche laterali, nulla. Non scendo perché se apro la portiera quello è capace di schizzare fuori come un pesce e allora, via, di nuovo il Caos. Perciò spengo il motore, spengo l’autoradio e ascolto. Ascolto, ascolto e alla fine lo sento. C’è, è qui, proprio davanti a me, dentro il cruscotto. Mi abbasso, c’è un buco lì sotto, adesso lo so, anni che la guido e adesso so che c’è un buco lì sotto. E lui l’ha visto, subito! Il suo cervello ancora in crescita ha rielaborato in una frazione di secondo, adattandole al nuovo contesto, le regole della sopravvivenza. Ha visto la tana e ci si è infilato dentro. Ha cagato sul sedile e ha visto la tana, tutto in una frazione di secondo. Sincronie.
Brugole in mano, ho smontato il cruscotto, dopo, altrimenti lui ci sarebbe morto lì dentro.
Oggi ha quattordici anni, mese più mese meno, è una femmina e si chiama Muriel. Ancora non si lascia prendere. Il cervello ha smesso di elaborare, è come se si fosse fermato a quel giorno, il giorno del Caos.

La luce dalla finestra mi sveglia all’alba. Dal letto guardo fuori. Lei è lì, sul davanzale, l’aria le scompiglia il pelo, protende il muso sotto, nel giardino, tra le fronde degli alberi, il suo sguardo, vigile, cattura la vita. E il suo profilo ritaglia il cielo.


[continua]

Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it