Ebbrezza di vita

di

Ottavio Buratti


Ottavio Buratti - Ebbrezza di vita
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 44 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6587-5223

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In copertina: fotografia dell’autore


Prefazione

Il pensiero lirico di Ottavio Buratti, nella silloge di poesie “Ebbrezza di vita”, invade i labirinti del ricordo e, conseguentemente, la visione poetica, in un susseguirsi di suggestioni legate al mondo naturale, identifica il percorso luminoso del poeta, che si muove nell’oceano esistenziale procedendo con ricercato lirismo, capace di ricondurre alla creazione di una poesia della memoria.
La vita fluisce come acqua cristallina e porta con sé il recupero memoriale, simbolico nucleo pulsante, che plasma ed esalta il “ricordo”, salvazione mentale di ciò che merita essere preservato dall’inesorabile scorrere del tempo che tutto consuma.
Il senso memoriale si fa intenso ed avvolgente come a voler aprire il cuore, dissolvendo le contraddizioni e quel “senso di estraneità” che, a volte, soffoca la mente e “avvilisce” il pensiero, conducendo ad una dimensione elevata del vivere nella quale si “libera l’anima”, fino a raccontare la “passione per la vita” seguendo una tessitura lirica che diventa alchemica sostanza emozionale.
Ecco allora che la ripartizione in tre tempi lirici della silloge assume un significato univoco come a voler decretare che l’intera visione poetica si fonda sulle profonde riflessioni relative all’esistenza dell’Uomo e sul significato autentico dell’amore nella sua concezione universale ed, infine, ponendo a caposaldo della sua struttura l’importanza fondamentale del “ricordo”.
Nel primo tempo lirico, “Cielo e mare”, come a voler sottolineare ciò che ho appena rilevato, il mare diventa il “mare dei ricordi”, che affiorano come tesori da un “vecchio forziere” e “premono” sul “cuore del fanciullo ormai adulto”; e, poi, si tramuta in “mare della memoria e della speranza” come a “vagheggiare un’altra vita”, abbandonandosi al ritmo “infinito” delle onde e fluttuando con esse in un annegamento lirico.
Nel secondo tempo, “Città e campagna”, la visione di Ottavio Buratti si fa più intima ed esistenziale, recuperando immagini che riconducono alle stagioni della vita: il sorriso della nonna e la sua capacità di donare l’amore; la figura di una vecchia solitaria; la coppia di anziani che cenano “muti”, uno di fronte all’altro ed, infine, la compassione per un vagabondo che incarna la partecipazione alla sofferta condizione di molti esseri umani.
I ricordi del cuore penetrano nelle zone più profonde dell’animo come “raggi di sole che filtrano dal fienile” ed il ricordo della casa d’infanzia e delle “calde estati con giorni immobili” diventano momento di abbandono estremo, direi quasi, intima preghiera.
Nel terzo tempo lirico, “Terra e collina”, che chiude la silloge, emerge la volontà di soffermarsi ad assaporare la realtà grazie alla poesia che nasce dal “profluvio di vitalità”, capace di inondare “l’anima assetata” di lirismo di Ottavio Buratti: le colline rosseggianti, i bagliori della luna nell’infinito cielo, l’immobile crepuscolo, l’immoto silenzio che rigenera il cuore, fino alle fronde di antichi alberi ed ogni soffio di vento che scuote la natura, sempre seguendo la magia della visione poetica, rappresentano la luce dell’anima per l’Uomo, sono i simboli terreni della concezione della vita come “prodigio”.
Ecco “l’ebbrezza di vita”, nutrimento del “cuore fremente” di Ottavio Buratti che, come errabondo sotto la volta celeste, si “apre alla vita” e riesce a cogliere la meraviglia dell’esistenza.

Massimo Barile


Ebbrezza di vita


CIELO E MARE


Il mare dei ricordi

Onde schiumose invadono la riva
ad un ritmo monotono e spossato.
Ogni incavo di sabbia si riempie
d’incessante acqua senza più pace.

Il calmo mare si stende slavato
sotto l’infinito cielo arrossato
ed un tepore di vento ancor caldo
invade scuotendo i vaghi capelli.

Nell’infuocato crepuscolo il vento
porta ricordi soavi e remoti.
Nubi sode tentennano nel cielo
come stanchi ed affranti viaggiatori.

Nel dolce tepore del crepuscolo
affiorano nella mente estati,
remote nel gran ricordo, trascorse
insieme nella calma di allora.


Il mare delle memorie

Soavi ricordi affiorano dal mare
come usciti da un vecchio forziere
e fluttuano nella brezza marina
rammentando remote memorie.

Monotone onde schiumano i ricordi
nel fragore dello schianto su scogli
come la schiuma delle onde a riva
crea figure di tempi passati.

Attimi d’assorta spensieratezza
dinanzi lo sfavillio dell’acqua
in quella striscia di terra tra mare
ed immobili e verdastre colline.

Il cielo blu preme sul mare azzurro
nel riverbero del sole d’agosto
come i remoti ricordi premono
il cuore del fanciullo ormai adulto.


Il mare della pace

In cima alla collina dinanzi al mar,
tra gli olivi dalle foglie argentee,
un piccolo ed antico cimitero
riposa sotto l’eterno cielo blu.

Solo s’ode la voce del silenzio
tra grigie e logore lastre tombali.
Solo giungono fin quassù tenui fiati
di brezza carica di salsedine.

Il gran sole d’estate si riflette
sulle tombe ornate di secchi fiori
come i raggi del sole si specchiano
nel mare blu visibile da quassù.

Balza nella mente un solo pensiero:
quietar il cuor con la pace che regna
intorno come quell’eterna pace
che respira chi, ora, è sepolto qui.


CITTÀ E CAMPAGNA


La cena dei vecchi

Il silenzio del crepuscolo cala
sull’oscura vallata di neri viali.
Una coppia di anziani cena muta
nell’angusto salone della pensione.

Cenano muti l’uno di fronte all’altro
con pazienti gesti lenti e gravosi
tra il via e vai del convulso cameriere
impaziente di tornarsene a casa.

Cenano muti l’uno di fronte all’altro
con lo sguardo abbassato e taciturno
tra il mormorio dei tavoli vicini
di persone agitate e borbottanti.

Il loro silenzio mormora
di antiche ed indelebili memorie.
Il loro silenzio sussurra
di tutte le parole possibili.


Le preghiere della vecchia

L’esile vecchia siede solitaria
nello spoglio silenzio della chiesa
come il greve crocifisso adagiato
sul disadorno e desolato altare.

L’esile vecchia prega sottovoce
borbottando le sue intime preghiere
come per non farsi udire e vedere
dai volti cupi delle erose statue.

La rossa e sdrucita gonna richiama
i lisi arazzi sui muri scrostati
e il viso esausto dagli anni rammenta
gli afflitti volti sulle antiche tele.

D’un tratto la vecchia si alza e si avvia
lungo la tetra e lugubre navata
verso il fulgido ed assolato sagrato
dove il giorno non è ancora vecchio.


Le turbinose rondini

Volteggiano nella volta celeste
fitti nugoli di plumbee rondini,
librandosi nella sommessa brezza
al di sotto del cinereo cielo.

Foglie secche e sgualcite s’adagiano
sull’asfalto madido e logorato
come gli stormi grigi si adagiano,
per un istante, sui tetti delle case.

Sotto l’impassibile e quieto cielo
gli irrequieti stormi si dimenano,
nell’attesa di issarsi svelti in volo
per raggiungere la remota terra.

Sopra i tetti degli inerti edifici
battagliere rondini guerreggiano
al destino che porta tutte loro,
due volte l’anno, a ricambiare vita.


TERRA E COLLINA


Ebbrezza di vita

Il sole filtra tra cangianti nubi,
generando un ardente riverbero
sui filari arrossati. La matura
vigna è colma di grappoli dorati.

Nubi sode vagano nel cielo blu
come felici rondini migranti.
Un tenue soffio di vento le scorta
nell’infinito viaggio senza pace.

Al di sotto le vigne si nutrono
del vigore del cielo e della terra.
I grappoli dorati si nutrono
della linfa di antichi e verdi colli.

Dinanzi a questo rigoglio di vita
si riscopre la forza d’affrontare
la vita come la vigna, ogni anno,
sa rinascere dal freddo più atroce.


L’immobile silenzio

Enormi ammassi di nubi grigiastre
nascondono il cupo cielo invernale
e un pungente venticello s’abbatte
per vie spalancate al grigio cielo.

I colli intorno a noi ci avvolgono
come per scaldarci dal freddo atroce
mentre il sussurro del silenzio regna
indisturbato in ogni freddo angolo.

Deboli e soffici fiocchi di neve
cadono dal cielo lenti e svogliati,
oscillando nella gelida aria
come ballerini lattei e candidi.

La quiete e l’immobile silenzio
riscaldano e rigenerano il cuore
come i filari, ogni primavera,
tornano a pulsar di pregnante vita.


La sublime poesia

Sovente sull’estremo ciglio d’un colle,
nella volta celeste e diafana,
mi soffermo rapito ad assaporare
la realtà di poesia tra cielo e terra.

Dinanzi a questo rigoglio di vita,
un profluvio di vitalità inonda
di lirismo la mia anima assetata.

Ritrovo la pregnante vitalità
d’ogni cosa più bella sulla terra.
Ritrovo il fragile e saldo virgulto
di ogni mio giovane e sbocciante verso.

Sovente sull’orlo estremo d’un ciglione,
nell’immenso confine tra cielo e terra,
mi soffermo rapito ad assaporare
la forza creatrice dei miei versi.

[continua]


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