Opere di

Ornella Esposito

Con questo racconto è risultata 4ˆ classificata – Sezione narrativa alla XIV edizione del Premio Letterario Città di Melegnano 2009


Questa la motivazione della Giuria: «Un noir picaresco nel quale le ambizioni strampalate dei protagonisti arrivano a meditare il “gran colpo” che realizzi le loro più assurde e recondite aspirazioni. Personaggi comicamente ingenui e miserevolmente inconsapevoli della loro inettitudine, come Don Gaetano, che vuole assomigliare a James Dean attraverso la chirurgia estetica, come riscatto da una bruttezza irreparabile e mesta, sempre sudato e azzannato dal cane di Penelope, nobildonna decaduta, senza un soldo, ma ritenuta ricca. E intorno i compari, studentelli ubriaconi e avidi di denaro, una poetessa fallita, e un odio di classe malamente politicizzato. Il furto risulterà un disastro, come nei film di Dino Risi. In un susseguirsi di immagini fulminee e imprevedibili, non sarà reperito alcun valore e Penelope la derubata morirà di infarto. Colorito, scorrevole e decisamente avvincente. L’autore sa cogliere in un caleidoscopio una umanità mutevole e impermanente, folle e tuttavia grande persino nella meschinità d’intenti». Alessandra Crabbia


«Vita da cani»

Il palazzo che faceva angolo accanto al bar Mexico in piazza Dante, era considerato da tutti gli abitanti del quartiere tra i più belli della grande città. Si concedeva fiero alle lussuose macchine digitali dei turisti che gli facevano capolino dinanzi; l’orgoglio assoluto erano i giapponesi che lo immortalavano con le loro diavolerie tecnologiche in tutte le sue possibili pose. Non di rado si sentiva la voce squillante della guida turistica di turno: potete ammirare la tecnica del brucellato, la stessa che trovate sulla facciata della chiesa a piazza del Gesù. Questo è l’unico palazzo che conserva quasi intatta la facciata tal quale fu edificata nel seicento.
La signora Penelope Maria Cortese, che di cortese aveva soltanto il cognome, era fiera di abitare in quel palazzo antico e teneva a precisare che il suo appartamento, tanto grande da poterci far giocare a nascondino i bambini del quartiere, dava sulla facciata principale non su quella laterale che insisteva sul Vico Soriano considerato già volgarmente quartieri spagnoli.
A dire il vero l’appartamento nel palazzo Carafa, era l’unico bene sfuggito alle avide mani degli esattori che da anni reclamavano i loro crediti nei confronti del povero Ignazio Cortese, defunto marito. Era morto di infarto seduto al tavolo da poker in una afosa serata di ferragosto; all’improvviso la sua testa era caduta sul tappetino di panno verde, facendo schizzare come missili la montagna di fisches poste al centro del tavolo. Nessuno avrebbe immaginato che Ignazio Cortese sarebbe morto di infarto, lui che in vita non aveva avuto nemmeno un raffreddore, e soprattutto nessuno avrebbe immaginato che quando morì, non aveva più il becco di un quattrino e lasciava la moglie, un tempo adorata, sul lastrico. I maligni, parenti e vicinato, sussurravano che Ignazio Cortese, da oltre un anno, non era più lo stesso: salutava a stento e con occhi spenti i condomini, non si interessava più della famiglia e spuntavano prepotenti sul collo della camicia macchie di color rosso fuoco. Erano lontani ormai i tempi in cui il suo cuore si scioglieva alla sola vista della moglie, talmente bella da attirare su di sé anche lo sguardo delle donne e, naturalmente, l’invidia.
La signora Penelope Maria, con il trucco sempre perfetto ed i capelli cotonati a formare un cono, ingioiellata di oro e pietre preziose ed ancora molto bella, non si curava di quanto le aveva detto, con le ciglia aggrottate, il notaio e continuava a condurre la vita di sempre insieme al suo unico vero amore: il fedele chihuahua di nome Furio che mangiava solo caviale e pesce fresco, diversamente digiunava. Furio era anche allergico a tutti i tipi di metallo tranne che all’oro, e per questo indossava guinzaglio e collare di oro zecchino, quest’ultimo incastonato di pietre preziose per dare più luminosità al suo delizioso musetto.
Entrambi, cane e padrona, non degnavano di uno sguardo alcun condomino, ogni mattina scendevano impettiti le scale dell’antico palazzo con un’espressione a metà tra l’ironico e il disgustato.
Il portiere dello stabile, Don Gaetano detto palla di riso, era l’unico cui la signora Penelope Maria rivolgeva,senza eccessiva alterigia, la parola; aveva saputo conquistarsi il rispetto della donna in un giorno di calura estiva che pure gli africani avrebbero grondato sudore, attraverso una serie inaudita di epiteti che sicuramente aveva sentito anche il dottor Riccardo Orecchio, irrimediabilmente sordo da oltre dieci anni.
Don Gaetano era anche l’unico ad aver ottenuto rispetto da Furio, esattamente dal giorno in cui gli aveva sferrato un calcio in piena pancia suscitando l’ovazione di tutto il condominio, stufo dei dispetti immotivati di quel cane che per giunta aveva un brutto vizio: azzannare le persone con una eccessiva sudorazione e Don Gaetano, non a caso soprannominato palla di riso, era il suo bersaglio preferito. Quando passava al guinzaglio dinanzi alla guardiola del portiere, sudato anche in pieno inverno, l’istinto di azzannarlo era irrefrenabile; un giorno, in cui Don Gaetano era più agitato del solito e quindi più sudato, arrivò a strappargli i pantaloni nuovi di zecca comprati con i risparmi di sei mesi di lavoro e l’uomo, accecato dalla rabbia, decise che era giunto il momento di mettere le cose in chiaro.

Dopo il doloroso calcio, il portiere e Furio divennero buoni amici, ma il motivo dell’amicizia era soprattutto un altro: Don Gaetano, e non solo, era convinto che la signora Penelope Maria fosse ancora più ricca dopo la morte del marito e meditava da tempo un colpo nel suo appartamento. La vedova si avviava irrimediabilmente verso la vecchiaia e, poiché non aveva eredi, sarebbe stato proprio un peccato che tutto quel bendiddio fosse andato alla chiesa tanto valeva andasse a lui, sicuramente molto meno ricco di un prete. Da tempo ormai studiava le abitudini della signora Penelope Maria e del suo cane, ed era sempre più convinto che il colpo sarebbe dovuto avvenire in piena estate, quando la signora di sera usciva a passeggiare vicino al mare ed il condominio si svuotava completamente.
Don Gaetano aveva bisogno di soldi per realizzare il sogno della sua vita: farsi operare da un chirurgo estetico, non solo per dimagrire ma per correggere tutte le imperfezione che madre natura, matrigna, gli aveva donato senza badare a spese, prima tra tutte il naso aquilino per il quale da bambino si era guadagnato a scuola il nomignolo di beccaccia. Il suo era un chiodo fisso, voleva assomigliare a James Dean, bello e tenebroso così le donne gli sarebbero finalmente cadute ai piedi e avrebbe potuto permettersi il lusso di scacciarle come si fa con le mosche in estate quando si appiccicano alla pelle. Passava ore intere nella guardiola a vedere i film del suo attore preferito e a osservarne i movimenti. A volte, quando era certo che nessuno potesse vederlo, mimava i gesti dell’attore nello specchio montato a tale scopo vicino alla porta, il suo preferito era aspirare voluttuosamente la sigaretta inarcando il sopracciglio destro.

Lo scorrere tranquillo dei giorni venne turbato dall’arrivo post natalizio di tre studenti alloggiati nell’appartamento al piano terra, lato quartieri spagnoli.
I tre studenti avrebbero vissuto nel palazzo per tutta durata del progetto universitario Epicureus, con la possibilità di terminare, se meritevoli, gli studi nella stessa città.
Don Gaetano era stato informato dal proprietario dell’appartamento del loro arrivo scaglionato, con il compito di rendere l’abitazione confortevole ma soprattutto di badare a che non facessero danni.
La prima ad arrivare fu Ivette, una ragazza dal corpo esile, capelli color biondo cenere ed occhi azzurrissimi. Parlava a bassa voce un italiano vistosamente imperfetto e don Gaetano, per farsi capire, urlava le istruzioni per l’uso dell’appartamento accompagnandole a concitati gesti delle mani. La ragazza emanava uno strano odore che il portiere riconobbe nell’aroma del cognac, i suoi occhi sembravano perdersi nel vuoto. Ivette era parigina e studiava letteratura classica, si definiva una poetessa e trascorreva le sue giornate tra il bicchiere di cognac e la declamazione di poesie, rideva quasi sempre quando non piangeva.

Dopo due ore esatte arrivò il secondo studente, Alejandro, un ragazzo mediamente alto, muscoloso e di carnagione scura. Curato in ogni minimo particolare, si muoveva con molta grazia, in più parlava un ottimo italiano; ad intervalli di tre minuti estraeva dalla tasca dei pantaloni uno specchietto per verificare lo stato dei suoi capelli imbrillantinati. Alejandro era gay, la sua principale attività a Madrid era quella di trovare un fidanzato degno della sua bellezza, tutto il resto era un dettaglio compreso gli studi universitari di storia dell’arte.

Per ultimo arrivò Rodolfo, l’unico italiano del gruppo proveniente da Bologna. Quando gli si presentò dinanzi, don Gaetano pensò avesse sbagliato numero civico; un ragazzo alto e magrissimo, capelli lunghi intrecciati e lanosi ed orecchini conficcati ovunque, il genere di ragazzi che lui definiva centoferri, di quelli parcheggiati all’università a spese dei genitori. Al suo seguito un rottweiler dal pelo nero brillante su cui spiccava un collare di ferro appuntito. A dispetto della taglia il cane, Karl, aveva occhi pacifici.
Il piano terra si animò e don Gaetano, inizialmente infastidito dagli insoliti inquilini, iniziò a rallegrarsi della loro presenza che con il frenetico viavai lo destavano dalla noia mortale del suo lavoro; lo studente preferito era Alejandro, gli riconosceva una certa somiglianza con James Dean e a lui si rivolgeva con la stessa deferenza usata verso la signora Penelope Maria.
La vedova non si accorse della presenza dei tre studenti fino al giorno in cui Karl e Furio si incontrarono nell’androne del palazzo. Il chihuahua guardò il rottweiler dapprima con sdegno poi iniziò a ringhiargli contro con violenza ma in cambio ricevette solo un’occhiata svogliata, Rodolfo, invece, squadrò con molta attenzione la signora e il cane ingioiellati.
Subito dopo don Gaetano fu sottoposto dalla signora Penelope Maria ad un serratissimo interrogatorio su chi abitava l’appartamento al pian terreno, e su come si era permesso il proprietario dell’immobile di deturpare l’immagine del condominio con la presenza di tre studentelli sporchi e ubriaconi.
Che fossero sporchi ed ubriaconi don Gaetano non poteva darle tutti i torti, ma per lo meno avevano portato una botta di vita nel palazzo abitato da condomini alle soglie dell’oltretomba, e soprattutto lo distraevano dall’interminabile attesa dell’operazione di chirurgia estetica. A distrarlo, in particolare, era Rodolfo ed il suo mansueto cane che, contrariamente all’aspetto, si dimostrava un ragazzo per bene, pronto a difendere tutte le giuste cause. Fu così che don Gaetano decise di confidare a Rodolfo il suo piano di svaligiare l’appartamento della signora Penelope Maria, aveva ricevuto la lettera dalla clinica e, dopo l’estate, finalmente lo avrebbero operato.
Il ragazzo non solo lo ascoltò divertito, ma gli propose di diventare suo complice insieme a Karl; l’idea di svaligiare l’appartamento della signora Cortese decisamente lo intrigava e poi la riteneva una questione di giustizia sociale: i più ricchi dovevano dare ai più poveri – a ciascuno secondo il proprio bisogno e da ciascuno secondo le proprie possibilità- sentenziò il giovane. I tre studenti, ormai inseparabili, avevano bisogno di soldi: Ivette doveva pagare una casa editrice per pubblicare la sua raccolta di poesie, Alejandro voleva iniziare una nuova vita in un paese lontano insieme al suo fidanzato e Rodolfo doveva curare Karl, affetto da una brutta malattia. Le loro, compresa quella di don Gaetano, erano delle questioni importanti- ognuno deve poter realizzare i propri sogni- pensava Rodolfo, paladino dell’equità sociale.
Dunque non restava altro che mettere a punto un piano infallibile; il giorno era già prestabilito: la notte di ferragosto. Don Gaetano e Rodolfo si incontrarono per due sere consecutive valutando vari piani e, per ciascuno, i pro e i contro. Concordarono che Rodolfo, più agile, avrebbe forzato la porta di ingresso, don Gaetano, che conosceva l’abitazione, avrebbe raccolto il bottino. Karl avrebbe fatto il palo.
Ferragosto arrivò. Era una sera di afa insopportabile, il profilo del golfo lo si poteva soltanto intuire, e la quantità disumana di umidità nell’aria creava un effetto nebbia come fosse stato pieno inverno. La signora Penolope Maria e il fedele Furio, vestiti entrambi di seta bianca, alle otto in punto presero la direzione del lungomare e da come prometteva la serata non sarebbero tornati presto.
Don Gaetano, accertatosi di essere solo nello stabile, salì con passo felpato i tre piani, arrivò dinanzi alla porta della signora Penelope Maria, emise il segnale convenuto e Rodolfo, insieme a Karl, lo raggiunse con in mano il piede di porco. Faceva caldo e don Gaetano era tutto sudato, anche per la tensione.
Con un colpo secco Rodolfo aprì la porta, Karl aspettava fuori con il compito di abbaiare al primo rumore proveniente dalle scale. Iniziarono dal soggiorno, il portiere frugava e il ragazzo lo seguiva reggendo un sacco nero. I mobili era quasi vuoti se non fosse stato per delle porcellane cinesi, di gioielli e soldi nemmeno l’ombra. Passarono ordinatamente al setaccio tutte le stanze lungo il corridoio ma il sacco restava semivuoto, forse, nella stanza da letto in fondo avrebbero trovato il bottino.
Per le scale deserte si sentì un rumore di ascensore. Karl, colto dalla crisi iperglicemia, era caduto in un sonno profondo. La signora Penelope Maria infilò la chiave nella toppa ed entrò in casa senza accorgersi di nulla mentre Furio annusava le gocce di sudore sul pavimento che pian piano lo condussero nella stanza da letto.
Mentre i due rovistavano, don Gaetano avvertì una sensazione di bagnato all’altezza del polpaccio, abbassò gli occhi e riconobbe il musetto di Furio. A quel punto le gocce di sudore imperlarono la testolina del cane che, furioso, prese ad abbaiare a squarciagola. Don Gaetano trasalì e, contro la sua volontà, il piede di porco gli scivolo dalle mani sudate, fracassando completamente la testa di Furio che stramazzò in terra in una pozza di sangue. Dal corridoio si sentì un urlo e il rumore di passi veloci. La signora Penelope Maria alla vista del suo amato Furio mortalmente sanguinante, cadde anche lei in terra. Il cuore non aveva retto.
Il portiere e Rodolfo si guardarono in faccia,senza parlarsi scapparono verso la porta di ingresso, presero in braccio Karl, che ormai russava, e si catapultarono giù per le scale. Nessuno li aveva visti e decisero di fare finta di niente.
Due giorni dopo arrivarono i carabinieri, chiamati dalla signora Contillo che avvertiva cattivi odori provenienti dall’abitazione della sua vicina. Sfondarono la porta e trovarono i due corpi senza vita. Faceva molto caldo e il maresciallo doveva andare in ferie. Nessuno aveva voglia di perdere tempo a capire com’era morta una vecchia sola e il suo cane. Il maresciallo interrogò frettolosamente la vicina e non ricevette informazioni degne di seria attenzione; non ritenne nemmeno utile interrogare il portiere che, per giunta essendo domenica, non c’era. Suicidio-fu la conclusione del maresciallo-la signora era ancora sconvolta dalla morte del marito, era rimasta sola ed aveva deciso di farla finita.
Don Gaetano il giorno seguente ricevette la lettera della clinica in cui gli veniva comunicato che erano molto spiacenti ma non potevano più operarlo, i tre studenti nella stessa notte lasciarono l’appartamento recapitando al portiere l’ultimo film, introvabile, interpretato da James Dean. Adesso don Gaetano poteva vantarsi di possedere l’intera collezione.

Ornella Esposito


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