Racconto premiato di Gioconda Nadia De Stefano


Con l’opera «A piccoli passi» si è classificata al 6° posto alla XV Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2011


Questa la motivazione della Giuria: «Il racconto di Gioconda Nadia De Stefano riconduce all’importanza d’un gesto d’amore prima che sia troppo tardi. Ecco la promessa fatta da una donna all’amica gravemente ammalata. L’offerta di un semplice gesto d’amore può recuperare il tempo perduto e aiutare a comprendere cosa significa “vivere”. L’amore è salvazione».

Massimo Barile


A piccoli passi

Si tira su dal letto, con molta fatica, mi guarda e abbozza un sorriso come per dire «Non è nulla», ma il suo corpo è segnato, l’anima ancor di più, ma sorride.
Nel segreto della notte conta gli anelli del suo tronco, pochi a dire il vero, ma le suole del suo camminare sono consumate, tanta è la strada percorsa, tutta in salita, ma sorride.
La guardo negli occhi, riconosco il suo dolore, sa che può parlarmi di tutto quello che sente, non ci sono ostacoli tra lei e il mio cuore.
Conosco solo il suo nome, ma nei suoi occhi riconosco tracce del mio vissuto.
Così mi parla ed io l’ascolto.
«Non è la morte a farmi paura, quello che mi spaventa sono le cose che devo lasciare in sospeso».
«Il Cancro (usa volutamente questa espressione cruda e reale!) non mi dà il tempo materiale per fare quello che dovrei e vorrei».
Trattengo a stento le lacrime e lei lo capisce.
Mi sorride, e il suo sorriso mi disarma completamente.
Mando giù la saliva che è rimasta bloccata in gola.
«Non rimandare mai a domani il bacio che puoi dare oggi, l’abbraccio che pensavi di fare, il ti voglio bene che dai per scontato.
Non farlo Nadia, domani potrebbe essere tardi!».
Penso in fretta a tutti i “domani” rimandati nella mia vita… Sono tanti!
Il suono del cellulare ci distoglie entrambe dai nostri pensieri.
Sua figlia.
Dieci anni, poco più che una bambina.
Tra poco rimarrà orfana, mi volto verso la finestra, guardo Roma in lontananza e non trattengo più le lacrime.
È assurdo morire in una città così bella.
Lei dovrebbe essere lì fuori , in giro per Roma con sua figlia mano nella mano a ridere, a giocare, a vivere.
Invece è qui in un letto di ospedale a contare i suoi anelli.
Il tronco è assai piccolo, come piccole sono le mani che stringono il cellulare a cui risponde con voce pacata per tranquillizzare, per quanto possibile, a chi, dall’altro lato della cornetta, chiede notizie e rassicurazioni.
Ma dentro… L’inferno della sua vita che la trascina verso l’abisso.
Asciugo le lacrime con le dita, lei mette giù il cellulare e mi guarda, sorride ancora.
«Nadia, siamo più o meno coetanee… vorrei che tu mi facessi un piacere».
La guardo tra la curiosità e lo sbigottimento e gli rispondo «Certo, se posso, con piacere».
«Vorrei che tu mi promettessi una cosa».
Non aspetta una risposta da me, sa che per lei farei il possibile.
«Fai una cosa che hai sempre rimandato. Falla oggi, per me!».
Adesso mi fissa e aspetta quella risposta, la mia espressione tradisce il mio pensiero…
Lei attende.
Le sorrido a mia volta, ho già deciso cosa fare.
Annuisco e lei abbassa lo sguardo sul cellulare spento, anch’io conosco il suo pensiero.
È stanca, oggi la chemio è stata più pesante del solito.
In realtà è il suo corpo ad essere stanco, avrebbe solo voglia di riposare, ma non c’è tempo!
L’operazione di mia madre è andata bene, il recupero sarà lungo e duro, ma lei ce la farà.
È una roccia, supererà anche questo.
È appena tornata dalla radioterapia, anche lei è stanca ed ha voglia di dormire.
Le dò un bacio e mi avvicino al letto della mia nuova amica, lei alza gli occhi dal cellulare e mi guarda.
Conosco i suoi pensieri.
Vorrebbe essere con sua figlia sul divano di casa a coccolarla mentre guardano un film, una cosa normale nell’anormalità delle cose a cui oggi è costretta.
Io non amo parlare inutilmente e del resto le cose che potrei dirle sarebbero scontate e menzogne che non son capace di dire.
Ci abbracciamo.
In silenzio la sento piangere sulla mia spalla, la stringo più forte a me.
«Te lo prometto Anna».
Ci guardiamo per un’ attimo ancora e tra noi passano parole mute di sapore amaro, se ci fosse stato tempo, la nostra amicizia sarebbe continuata oltre l’ospedale,nella vita vera, quella voluta e desiderata.
Si risiede sul letto ed io piano riprendo la strada verso l’albergo, papà è già li, stanco, invecchiato, fragile come non è mai stato prima.
Si è fatto la doccia, adoro il suo profumo di bagnoschiuma, mi fa pensare a quando ero bambina.
Mette il pigiama e si prepara per la notte, io vado in bagno e mi faccio la doccia con il suo bagnoschiuma e rilasso i nervi dalla pressione di quest’altra giornata.
Quando torno nella stanza lui è sul bordo del letto che guarda la tv.
…«Non aspettare domani…».
Mi avvicino, spengo la tv e gli dico «Papà, parliamo un po’, ti va’?».
Quarant’anni di solitudine e di cose non dette si sciolgono come neve in questa stanza d’albergo e diluviano tra noi.
«Ti voglio bene papà».
Penso al sorriso di Anna e mi dico… Un piccolo passo l’ho fatto anche oggi.

Gioconda Nadia De Stefano



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