Una novella e nove racconti

di

Milena Boldi


Milena Boldi - Una novella e nove racconti
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
12x17 - pp. 64 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-4479

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In copertina: «Quill pen, ink bottle, old books on table for vintage background» © brat8 – Fotolia.com


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 4° posto nel concorso Il Club degli autori 2011-2012


Prefazione

Distintasi già in concorsi letterari per racconti inediti, Milena Boldi ha deciso finalmente di uscire allo scoperto, come si suol dire, con una pubblicazione in volume. E va detto subito che si tratta di un esordio degno di molto apprezzamento. Sono dieci racconti brevi – alcuni a sfondo autobiografico, altri ambientati fra gente comune che si dibatte nella realtà di ogni giorno – a cui la scrittrice dà vita nel giro di pochissime pagine attraverso un linguaggio semplice ed essenziale e uno stile sempre fluido e piacevole.
Per sua stessa ammissione, questi racconti sarebbero il frutto di un’esperienza maturata in un corso di scrittura creativa. E in effetti non si tarda a capire che proprio di questo si tratta. Ma è una precisazione, mi preme dirlo subito, destinata a rivelarsi pressoché marginale, perché Milena fa appena in tempo a entrare nelle linee direttrici della prova, che subito se ne esce, per via di una sua naturale disposizione a intendere la scrittura nel segno di un’urgenza interiore piuttosto che di un mero esercizio su pagine e parole contate.
Per cui, i suoi racconti, più che a regole vigenti in un corso di scrittura, sembrerebbero, qualora se ne volesse ricercare la loro ascendenza, rimandare ai bellissimi versi di Cardarelli che così definiscono i ricordi: «queste ombre troppo lunghe / del nostro breve corpo»
Proprio come questi scritti di Milena, si direbbe, che si allungano nella riflessione di chi ha letto di Rodolfo che vive una situazione sentimentale, a dir poco, paradossale; o di Paolo che, disperato per un amore finito, pencola una notte intera sul muretto di un fiume; o ancora di Amadou, che decide di andare a lavorare in Germania, cosciente che continuare a chiedere un euro a chi si reca al supermercato, non sia certamente la vita migliore; e di Marco, la cui realtà, più che frutto dei suoi personali progetti, è il risultato di casuali sviluppi.
E non solo, man mano che li leggevo, mi tornavano alla mente anche i films di Michelangelo Antonioni e il teatro di Carmelo Bene, con le loro scene vuote e smaterializzate, l’esatto opposto di quanto propone ora Milena, materializzando lo spazio e riempiendolo del suo mondo, allo stesso modo dei gatti, o meglio, del gatto Pinki: il protagonista dell’omonimo racconto, che la scrittrice colloca in chiusura, quasi a mo’ di una postfazione, per manifestare così la propria poetica.
E sulla scia della filosofia del gatto in rapporto al suo territorio, Milena s’impegna a scrivere i suoi racconti, incidendo e graffiando con non minore impegno e grinta la pagina che ha davanti.
Ben s’intuisce allora perché la scrittrice non lasci mai sonnecchiare la realtà presentandola così com’è, o come la si dà per scontata. La stravolge, descrivendo, ora, una giornata surreale di un impiegato d’ufficio; ora, una strana serata in pizzeria, tutt’altro che “normale” come l’ironico titolo del racconto lascerebbe, invece, immaginare; ora, una vacanza in Corsica, che tale non è per gli episodi che la caratterizzano. Ma non solo, autoinvestendosi del ruolo di cronista incredula di eventi strani, di fatti pubblici e privati, e comunque quasi sempre di rilevanza sociale ed esistenziale, cambia anche il rapporto fra autrice e personaggi. Lo fa, improvvisando sorprendentemente dei dialoghi con loro, sbucati all’improvviso: così in un cimitero, rivolgendo la parola alla madre di un bambino morto all’età di cinque anni, materializzatasi accanto a lei, dopo essere stata preannunciata, alle sue spalle, da un’ombra che aveva offuscato la luce del sole al tramonto; così nei pressi di un passaggio a livello, congratulandosi con un giovane somigliante al bellissimo ragazzo apparsole in sogno qualche sera avanti, che pochi minuti prima era riuscito a trascinare via un uomo dalle rotaie appena in tempo per evitare che il treno lo investisse.
Milena Boldi, giova qui ricordarlo, s’interessa anche di poesia. Recentissima una sua affermazione in un concorso letterario con la lirica Desiderio, con cui conferma la sua visione un po’ inquieta della vita e la sottesa urgenza etica di resistere, attraverso l’esercizio della parola, alle insidie del male. Una visione inquieta, frequente e diffusa un po’ ovunque anche in questi suoi racconti, tanto che, a lettura ultimata, si ha l’impressione che si possano ricondurre tutti a quest’unica fonte d’ispirazione come capitoli di un unico romanzo. E infatti, pur nel mutare di situazioni e motivazioni, essi trovano, nel mondo psicologico e morale della scrittrice, la loro casa comune, la loro giustificazione, senza la quale non si potrebbe affermare che la Boldi sia quella scrittrice talentuosa che è, con tanto di poetica e concezioni legate al suo estro creativo. Se a tutto questo si aggiungono i pregi della fantasia e della concretezza, l’una fatta di un’immaginazione ricca e sbrigliata, l’altra sempre pregnante di realtà oggettivamente verificabili, si può concludere esortando la scrittrice a continuare a scrivere, e non necessariamente un’altra raccolta di racconti, ma anche un romanzo o addirittura un volume di poesie, perché tante sembrerebbero le strade che lei è al momento in grado di percorrere. È raro che una scrittrice esordiente (o scrittore) riesca a tracciarsi sin dall’inizio tante possibili vie per la sua futura produzione, ma è altrettanto raro che queste cose si possano già incominciare a dire su di un’autrice di cui si conoscono appena dieci racconti e qualche poesia, certamente pochi, ma quanti ne sono bastati per fondare su di essi certezze e attese a un tempo: per le cose che ha scritto e per quello che potrà ancora scrivere.

Giuseppe Leone


Una novella e nove racconti


L’incontro

Guardo la mia immagine riflessa allo specchio: ho quarant’anni, capelli e occhi castani, un fisico ancora attraente che cerco di curare al meglio andando in piscina e in palestra, gambe lunghe e ben fatte, di cui vado orgogliosa.
Sono soddisfatta di me.
Da qualche mese ogni martedì parto da Lecco col treno per seguire un corso di scrittura creativa a Milano.
Sul treno noto un signore che attira la mia attenzione: distinto, legge sempre il giornale senza guardarsi intorno. Alza gli occhi solo per esibire il biglietto.
Rialza gli occhi dal giornale quando, giunti in stazione centrale, si deve scendere.
Cammina davanti a me sulla banchina: alto, spalle erette, leggermente brizzolato, può avere una cinquantina d’anni.
Poi lo perdo di vista nel tumulto dei passeggeri e continuo per la mia strada senza più pensarci.
Ogni martedì lo rivedo, solo sul treno di andata e non posso fare a meno di seguirlo con lo sguardo, ha una personalità magnetica.
Un martedì stranamente lo incontro mentre sto per salire sul treno di ritorno.
È lì, poco distante da me, sta abbracciando una donna di una bellezza sorprendente, con una folta chioma di capelli biondi, di circa quarant’anni. Terminati i saluti, sale sul treno e si siede di fronte a me. Si toglie l’impermeabile, apre l’immancabile giornale e si tuffa nella lettura.
Penso che rialzerà la testa solo quando daranno l’avviso che stiamo per arrivare alla stazione di Lecco.
Invece, incautamente lo colpisco a uno stinco nel maldestro tentativo di accavallare le gambe e, mentre mi scuso, solleva lo sguardo per dirmi “non si preoccupi”. Ha gli occhi blu e rivela una voce calda e profonda. Uno strano brivido percorre il mio corpo, i miei occhi rimangono incollati ai suoi e non smettiamo di fissarci. Con gesto elegante si presenta “Rodolfo” e io “Gloria”.
Cominciamo a parlare, si dev’essere rassegnato a non essere aggiornato sulle ultime notizie.
Mi racconta della sua vita: divorziato da una donna che ora vive in Argentina col nuovo compagno, ha una figlia di ventiquattro anni che vive a Londra e fa la ricercatrice. Abita a Mandello del Lario e ha una relazione con Laura, che vive a Milano e insegna in una scuola privata.
Lavora presso una multinazionale farmaceutica, dove ricopre un ruolo dirigenziale.
Gli parlo di me, della mia vita da single, del lavoro che svolgo come direttore amministrativo in una scuola statale. Sono abbastanza soddisfatta sia del lavoro che della vita privata. Lui si mostra interessato e noto con piacere che ha una qualità che considero abbastanza rara al giorno d’oggi: sa ascoltare.
Arrivata a Lecco lo saluto con un arrivederci.

Sta arrivando la primavera, irruenta, impaziente. Vedo dal finestrino del treno gli alberi che si tingono di colori vivaci, l’erba è di un verde brillante. Il mio stato d’animo non è diverso, mi sento elettrizzata e avverto chiaramente il richiamo alla vita, che rinasce dopo il buio dell’inverno.
Gli incontri con lui mi fanno stare bene e mi accorgo di aspettare l’arrivo del martedì con sempre maggiore ansia.
Lui dimostra un’evidente simpatia per me e il nostro rapporto si fa sempre più intenso. Sono grata al destino per avermi regalato questa nuova, bella amicizia.
È un martedì di fine marzo, una giornata limpida, l’aria è tiepida.
Lo vedo preoccupato e senza il giornale, cosa che fa scattare in me un campanello d’allarme: è successo qualcosa di grave!
Ha un evidente bisogno di sfogarsi:
“Ieri sera ho avuto una violenta discussione con Laura. Avevamo in progetto un viaggio alle Maldive ma ho cercato di spiegarle che in questo momento non posso. Ho problemi economici dovuti anche alla crisi attuale e impegni lavorativi da portare assolutamente a termine nel breve periodo, che mi impediscono di mantenere la promessa, ma lei non ne vuole sapere.”
“Forse è stata abituata ad avere tutto quello che desidera e perciò non accetta un rifiuto.”
“È vero, finora l’ho sempre accontentata, ma adesso mi è proprio impossibile.”
Arriviamo a Milano e lui è sempre in questo stato di mestizia.
Francamente mi viene da sorridere e penso che Laura sia soltanto una persona viziata ed egoista. Mi saluta con l’aria luttuosa di chi sta per partecipare ad un evento funebre e io lo saluto pensando che stia esagerando e che vorrei vedere in lui un rigurgito di ribellione, di forza, nei confronti della bella signora.
Non ci penso più e cerco di seguire con attenzione il mio corso di scrittura.
La sera, alla banchina del treno per il ritorno, lo vedo insieme a lei, mentre stanno discutendo animatamente. Salgo sul treno e li osservo dal finestrino. Dopo aver discusso ancora qualche minuto, lei se ne va senza salutarlo.
Lui ha la stessa aria abbacchiata che aveva al mattino e, mentre mi affaccio al finestrino agitando la mano per attirare la sua attenzione, mi chiedo se non sia colpa del suo atteggiamento un po’ troppo condiscendente se questa signora si permette di fare i capricci come una bambina.
“Non abbiamo chiarito niente. Non è servito spiegarle ancora una volta quello che sto passando. Lei vuole fare il viaggio e basta, non le interessa altro.”
“Va beh, non mi sembra il caso che te la prenda tanto, non è colpa tua se la situazione generale è cambiata in questi ultimi tempi. Laura potrebbe mostrare una maggior comprensione e saper aspettare tempi migliori per l’agognato viaggio.”
“Hai ragione, l’ho abituata troppo bene e, come al solito, è più facile concedere buone abitudini che toglierle. Devo farmene una ragione e questo dovrebbe fare anche lei, se mi vuol bene. Ma, cambiando argomento, domani sera a casa mia festeggiamo il compleanno di mia figlia, che arriva da Londra. Vuoi venire alla festa?”
“D’accordo, ci sarò.”
La sera dopo mi reco a casa sua: una villetta sul lago, con darsena.
Conosco sua figlia, Daniela, una bella ragazza mora con gli stessi magnetici occhi blu del padre, alta e snella, col suo stesso portamento fiero. Mi piace subito e le consegno il mio regalo, un foulard a colori brillanti, prevalentemente fucsia. Lei mi ringrazia con un sorriso sincero e sento una calda corrente di simpatia instaurarsi tra noi.
C’è anche Laura, naturalmente, che per tutta la sera mantiene un atteggiamento distaccato e freddo, tipico di chi degna della sua presenza quel luogo ma vorrebbe essere altrove.
Lui mi sembra sereno, amabile con me e con tutti gli ospiti, a suo agio anche con gli amici della figlia, un perfetto padrone di casa.
Verso l’una saluto tutti per tornare a casa, portandomi dentro la netta sensazione che Laura non meriti tutto questo.

Il martedì successivo lo vedo ancora mesto, ma un segno di miglioramento c’è: ha con sé il giornale. Bene, mi dico, sta riprendendo le redini della situazione.
“Ieri Laura mi ha comunicato che farà il viaggio con un amico, un certo Alessandro con il quale aveva avuto una storia prima di conoscere me. La cosa mi ha infastidito ed è stato come ricevere uno schiaffo, ma mi ha risvegliato dal mio torpore. Se non sa aspettare, vada pure, non intendo giustificarmi oltre.”
“Finalmente vedo una reazione da parte tua. Ti confesso che ho pensato che Laura non meritasse tanta apprensione, per un mancato viaggio di piacere poi…”
“Infatti, ora sono molto più tranquillo. Oggi la vedo e ci chiariamo definitivamente. Se per lei questo viaggio è così indispensabile, si accomodi pure. Io non voglio mettere a repentaglio il mio futuro. Ho anche una figlia a cui pensare, non posso permettermi di trascurare i miei affari per qualcosa che può aspettare.”
“Ben detto, così si fa.”

La sera, alla banchina della stazione è solo e sta cercando qualcuno tra la folla. Appena mi vede mi viene incontro rivolgendomi un sorriso radioso: quel qualcuno sono io. Non vede l’ora di raccontarmi tutto.
“Mi ha ribadito che farà il viaggio con Alessandro e io, da quel momento, ho sentito il gelo scendere dentro me. All’improvviso ho avuto la sensazione di non aver mai provato niente per lei e mi sembrava di avere a che fare con una sconosciuta. Mi spiegava le sue ragioni, ma quasi non riuscivo ad ascoltarla, le sue parole non arrivavano più alle mie orecchie. Ho la sensazione di essermi liberato da un peso e sto decisamente meglio.”

Sono felice per lui, ha ritrovato se stesso. Lo sguardo è sereno, gli occhi luminosi.
“Dobbiamo festeggiare – mi dice tutt’a un tratto – Sabato potremmo cenare in un ristorantino nuovo che hanno aperto a Lierna. Che ne dici?”
“Sì, sabato sono libera.”
“Passo a prenderti alle otto, va bene?”
“Ok, d’accordo.”

Mi sento emozionata come una scolaretta che sta per sostenere il suo primo esame.
Sabato alle otto sono pronta e, dopo aver provato almeno sette vestiti e altrettante paia di scarpe, decido per jeans e maglietta, una felpa e scarpe comode.
Anche lui ha jeans, giacca blu e camicia bianca. È proprio un bel tipo!
Il locale è molto carino, la serata è abbastanza calda per poter mangiare fuori, accanto al tavolo ci sono due platani e di fronte il lago.
Terminata la cena facciamo due passi sul lungolago e poi mi invita a bere qualcosa a casa sua.
Chiacchieriamo ancora a lungo con i bicchieri di whisky in mano e il mattino dopo ci svegliamo felici, scambiandoci il bacio del buongiorno.
Rodolfo ha decisamente riacquistato il suo buonumore e con entusiasmo riesce a portare a termine un importante lavoro che gli procura soddisfazione, guadagno e la pubblicazione dei risultati della ricerca su una rivista specializzata.
Tutto sembra andare a gonfie vele e ci vediamo con sempre maggior frequenza.
Un giorno, mentre sono a casa sua, suona il telefono. È Laura, che gli chiede di vederlo. È venuta a conoscenza del suo successo lavorativo e, a dir suo, si vorrebbe congratulare con lui di persona.
Sento scricchiolare qualcosa dentro di me, il cuore perde un battito e la mia aria interrogativa basta a fargli capire quello che sto provando:
“Stai tranquilla, non provo più niente per lei. Approfitterò di questa occasione per dirle tutto quello che penso e uscirne ancor più a testa alta.”

È un martedì di maggio e si è tenuta l’ultima lezione del corso. Mi sto recando alla stazione Centrale per il rientro a Lecco e sono preoccupata perché oggi Rodolfo doveva incontrare Laura.
Sulla banchina della stazione cammino pensierosa, quando un impulso mi costringe a voltarmi e vedo Laura che mi fissa con aria così arcigna che la sua bellezza sembra di colpo svanita.
Provo qualcosa che assomiglia a una scossa elettrica.
Senza salutarmi, distoglie lo sguardo e anch’io. In quello stesso istante incontro quello di Rodolfo, che mi viene incontro sorridente e mi prende per un braccio accompagnandomi al treno:
“Ciao Gloria, torniamo a casa.”

[continua]


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