Germogli di parole

di

Michele Ginevra


Michele Ginevra - Germogli di parole
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
15x21 - pp. 80 - Euro 11,50
ISBN 978-88-6587-1881

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In copertina fotografia dell’autore elaborata al computer


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario Il giro d’Italia delle Poesie in cornice 2011


PREFAZIONE

L’uomo è nato per soffrire affermava Leopardi, facendo l’analisi dei suoi sentimenti e dei suoi più intimi desideri. E questa affermazione sembra essere la regola che accomuna quasi tutti i poeti quando essi, esaminando introspettivamente la propria essenza, pesano sentimenti non corrisposti, desideri inappagati e delusioni, rimanendone schiacciati. Non sfugge a questa delusione dell’anima il nostro Michele Ginevra.
Germogli di parole è una silloge di poesie che descrive i travagli dell’animo del poeta, vagante tra illusioni, ricordi struggenti e aspettative benigne, in una visione pessimistica e drammatica della propria esistenza espressa con una marcata tristezza interiore, che lo sovrasta, lo isola e lo inquieta, trascinandolo verso la soglia della disperazione e dell’infelicità, parametri, questi, che incuriosiscono il lettore e lo guidano verso la scoperta dei suoi tormenti.
Si scopre così che tra le poesie riportate nella sezione “Mormorii dell’anima” quelle che più descrivono il disincanto dell’animo del poeta, rispetto ad una realtà nuda e crudele, sono le liriche “Germogli di parole”, “Inquietudine”, “Rinunce”, “Solitudine”, “Attesa”, “Disperazione”. In esse vengono eviscerati i diversi volti del sentimento poliedrico che si chiama Amore e tutti i travagli che sopporta l’intimo del poeta, sprofondandolo di volta in volta nella tristezza, nella solitudine, nell’abbandono e nella disperazione, immergendolo nel fango dell’esistenza (la lirica “Germogli di parole” è la più significativa e sintetizza tutto ciò); egli può uscirne fuori solo con le sue amate poesie, con le parole che escono libere dal cuore e alimentano sogni, speranze e desideri di cambiamento come recitano le liriche “Gioia d’amore”, “Giungerai da me”, “Amarsi ancora”, “Passi” intrise di nostalgia d’amore, di gioia d’amare, di felicità goduta o che potrebbe essere goduta.
Il significato del titolo della silloge richiama tutto ciò: il poeta Michele Ginevra conscio del suo deludente stato passionale scrive le sue belle e sentite liriche, superando in esse e con esse la tristezza, l’inquietudine e l’inappagamento per giungere allo sfogo che è liberazione e consolazione del suo animo; perviene così ad uno stato di grazia che nasce dalle parole che compongono i suoi scritti, in cui vengono rivalutati sia i sentimenti che le emozioni come vera forza motrice che alimenta ogni ora i sogni e le aspettative di vita. Guai se l’uomo non potesse ricordare e sognare. Nei ricordi si richiamano e si esaltano gli affetti parentali più cari, le prime amicizie e i giochi comuni, gli antichi odori e sapori dei luoghi natii, il primo amore e tutte le prime volte che segnano di esperienza la vita, e prendere coscienza dei propri ricordi significa avere coscienza dei propri sentimenti. Nei sogni si può dare sfogo alle intime esigenze legate al proprio Io e dare nomi, volti e ruoli ai nostri desideri. Ed egli affronta il tema dei ricordi ripercorrendo un passato spensierato e felice costellato da sogni di felicità e appagamento. Indubbiamente i ricordi più belli sono quelli legati all’infanzia, ai giochi, ai sapori e agli odori che caratterizzavano la vita negli anni intorno alla metà del millenovecento. Sono liriche tenere, pervase di amabile nostalgia del tempo passato. In particolare “Infanzia” è un bellissimo esempio di questi dolci ricordi, di rimpianto degli affetti, di semplicità di vita negli atti quotidiani. Vi sono però altri ricordi, quelli che iniziano un progetto di gioia e godimento e che poi si trasformano in pesanti fardelli di rimpianto e di infelicità. Sono i ricordi legati all’amore, i ricordi che stravolgono i sentimenti del poeta e che lo trascinano verso la soglia della disperazione e poi “…stancamente, quasi senza volerlo, … lasciarsi sfiorire.”
Il suo è un vero e proprio disagio esistenziale. Tra le poesie del capitolo “L’ombra del disagio” colpiscono le liriche “Cuore di cartone” e “Terra e sangue”. Il disagio che colpisce il poeta ha due nature, una intima in quanto gravato da passioni e turbamenti (Cuore di cartone) e una di tipo umano e sociale in quanto osservatore della vita che si svolge intorno a lui. “Terra e sangue” è una bellissima poesia che parla di lavoratori, uomini giusti, e di mafia, il cancro della società. Il poeta prende atto degli uni e dell’altra lasciando intravedere un barlume di speranza per la sua definitiva sconfitta.
Chiude il libro un bellissimo racconto, intriso di lirismo, che il poeta dedica alla figlia.

Calogero Catania


Germogli di parole


A tutte le persone che mi vogliono bene…
non so quante siano,
e a tutte le persone a cui voglio bene…
e so che sono tante!!


MORMORIO DELL’ANIMA

Le poesie sono germogli di parole
che detergono l’anima dal fango
della stoltezza umana


GERMOGLI DI PAROLE

Affondo le mie mani
nell’intimo torpore di biechi desideri,
nei bassi e opachi
anfratti della vanagloria,
ma afferro solo
una manciata di fanghiglia, densa,
che imbratta il mio tormento,
insudicia persino il mio respiro.

Ma da quel fango, poi,
emergono germogli di parole
che per incanto trasformati in versi
detergono il mio animo ribelle,
rinsaldano le membra,
profumano la pelle,
rischiarano persino il fiato opalescente
dell’ultimo misfatto.

E così, con l’anima leggera
mi lascio lentamente rotolare
in un intimo abbandono
…morente,
tra le braccia dell’ultima poesia.


INQUIETUDINE

Malinconico e triste paesaggio,
sperduta e deserta pianura,
notte cupa, nemmeno una stella
immagine dell’anima mia.

Guardare nel buio profondo
con gli occhi più chiusi di un cieco,
un raggio di luce s’appresta
speranza del vivere mio.

(1970)


BASTA VOLERLO

Sono un poeta della tristezza,
con gli occhi velati dal soffio del sogno
scrivo parole irrequiete
che cadono in terra, senza rumore
su un folto tappeto di foglie appassite.

Sono un poeta dell’anima inquieta,
scoperta, come piaga dolente,
stregata e inseguita da Dio.

Non leggetemi, se potete,
insultatemi, maleditemi pure, se volete.

Ma se avete un po’ di pazienza,
di pacata indulgenza
poggiate la mano su quei versi in prigione:
le parole, adagiate su un foglio di seta,
scorreranno per voi, tra le dita, leggere
come sabbia che scivola via
dal pugno di un bimbo
che gioca appoggiato sul mare,
per disperdersi al vento
tra altre infinite parole, forse incomprese,
ma che lasciano dentro un velo di grazia,
sottile… basta volerlo.


QUANDO GETTO IL MIO CUORE

Quando getto il mio cuore
in un fosso senza nome
e la mia anima
in un acquitrino ripugnante
mi ritrovo beato
dentro il grembo di mia madre
avvolto
in un silenzio disarmante
sicché vivere o morire
nulla importa
in quest’attimo di tempo
che sembra mai finire.


RINUNCE

Ho schiacciato i miei desideri
fino a farne poltiglia
inzuppata di sangue,
ho stracciato i miei fogli
intrisi di versi
per placare il livore
che mi corrode il cuore.

Un grumo di santi
mi è passato accanto,
mi ha offerto il suo pianto
e non mi son voltato.

C’erano angeli nel cielo
ma io guardavo il mare.

Ora, col passo greve
di un tir in corsa,
calpesto il mio rimpianto
per soffocarne l’ultimo respiro
e non più braccato
da fameliche ombre del passato
guardo cento passi innanzi
per non morire appeso
al collo dell’ultimo ricordo.


ATTESA

Se guardo
dentro al colore dei miei occhi
vedo la tristezza di un giorno di festa
e la mia ombra, sull’uscio di casa
aspettare paziente
che il mio debole corpo
ne calpesti i contorni
per cercare all’interno
uno scampolo di vita serena;
ma serrata è la porta…
La sera dissolve
l’ormai pallida ombra
e attendo il ritorno
di un altro giorno di festa
per dirti dei sogni lasciati
…sull’uscio di casa.


DOLENTI AMBIGUITA’

Una dischiusa paura
come vento che preme sulle mie finestre
s’affaccia minacciosa dalle viscere del tempo.

E tutto viene fuori
in questa stanza, ostile,
in queste mura
crepate dal peso dell’angoscia.

Una resina di semi di tristezza
imbratta le pareti,
satura persino l’aria che respiro.

Raccolgo in una mano
la mia nuda solitudine
e mi sento trascinato dentro un gorgo muto,
muti ricordi,
appesi come foto alle pareti,
nei silenzi strazianti della camera da letto
che attende con pazienza
un respiro affannoso,
una febbre di luce scintillante,
un sibilo d’amore.

Paure dischiuse
dentro l’intimo tormento
di sterili manciate di ebbrezze luminose

…dolenti ambiguità
di una scelta di vita, da vivere ancora.


DISPERAZIONE

Se qualcuno busserà
alla porta della mia disperazione
troverà una distesa infinita
di parole non dette
e un cumulo di sguardi
lasciati in fondo a un pozzo vuoto.

In quel vortice amaro
entro cui scompare
ogni scampolo di vita,
un coro di voci sbiadite
si disperde
nell’oscenità di parole incomprese.


SOLITUDINE

Ho parcheggiato il mio cuore
in un’anonima stella del firmamento
e nell’attesa di un sogno
ho frugato tra le contorte
pieghe dell’anima mia, spenta.

Vi ho cercato risposte, comprensione
di quel sottile, intimo mormorio dell’anima
che la sera compare e mi accompagna
nelle lunghe, interminabili notti
usurate dal colore dell’insonnia.

Ho cercato,
con tutte le mie forze, ho cercato di capire
ma ho trovato soltanto la solitudine del vento,
che minacciosa mi avvolge e s’aggrappa,
impietosa, a questa flebile anima stanca.

Ne soffro, ne conto le pene
ma nel contempo ho compreso:
di solitudine nuda io vivo,
mi nutro… e me ne sazio.


TRA LE PAGINE DEL WEB

La muta di liquidi cristalli
che ricopre la tua pelle
ti protegge dall’intima ossessione
d’oniriche attenzioni,
sicché ogni osceno desiderio
s’arresta davanti alle tue vetrine,
invalicabili barriere di silicio,
intrigante, virtuale steccato di cartone
entro cui proteggi i tuoi inguini,
nascosti tra le pagine del web.

Chi sei tu
misteriosa, sconosciuta creatura
che con semplici parole allineate
in un post maledetto della rete
sconvolgi questo assurdo, spopolato
silenzio del respiro?


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