Anche le capre muoiono

di

Michael Zamaro


Michael Zamaro - Anche le capre muoiono
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
12x17 - pp. 70 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6037-9986

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In copertina: fotografia di Zaira Menin


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori per il conseguimento del 2° posto nel concorso letterario Città di Melegnano 2009 del racconto 365 giorni


Prefazione

Nella raccolta di racconti Anche le capre muoiono” di Michael Zamaro, ritroviamo la visione pungente nei confronti della realtà che viene scrutata e quasi sbeffeggiata, sempre accompagnata dall’amara osservazione delle contraddizioni dell’essere umano che vengono messe alla berlina con toni sarcastici e la condizione esistenziale viene resa “quotidiana” pur se raccontata nelle sue espressioni più paradossali.
Ecco allora che si attraversano zone sconosciute e mondi impensabili, come nel racconto “365 giorni”, ambientato in un probabile futuro, magari neanche troppo lontano, dove tutto è controllato, schedato e monitorato, nonché sono state abolite tutte le armi convenzionali tranne una katana che è gelosamente e orgogliosamente custodita nella sala del Supremo che comanda su Tutti e Tutto in un mondo che vede gli esseri umani obbligati a “non rimanere senza lavoro” per più di un anno, altrimenti diventano polvere per dentifricio stellare… ma sarà proprio un uomo, giunto ormai all’ultimo giorno di vita, a scardinare l’intero sistema con un colpo a sorpresa.
Nel racconto “Anche le capre muoiono”, che offre il titolo alla raccolta, entriamo in una dimensione surreale che vede i due protagonisti distesi nei loro letti a guardare il soffitto, ormai giunti allo stadio terminale della malattia, accompagnata da una serie di dialoghi paradossali sul fatto che uno dei due non riesce a vedere le crepe sul soffitto e vuole cambiare posto per riuscire a vedere lo “spettacolo” ma un crudele destino è in serbo per lui.
Nel racconto “Il peso dell’anima”, due squinternati malfattori da strapazzo degni d’un film comico decidono di rapinare un “ciccione”, un obeso che pesa trecento chili e tiene nascosto il malloppo proprio sotto il suo corpo enorme: anche in questo caso l’imprevisto è in agguato e, ironia della sorte, il peso dell’anima sarà fatale.
In altri racconti vi sono situazioni e personaggi che riconducono sempre ad una visione che alterna gioco surreale e cruda realtà con le vicissitudini di un disoccupato ubriaco e d’un uomo che desidera solo andare in vacanza e si trova a subire le vessazioni di un poliziotto che condurranno ad un tragico epilogo.
Con questa galleria di personaggi, disperati e disperanti, grazie ad una scrittura tra il grottesco e il divertente, tra la comicità surreale e la possibile realtà che può superare la più fervida immaginazione, Michael Zamaro costruisce racconti immaginifici e scavati alle soglie dell’incredibile ma, al contempo, le sue “storie” paradossali e folli, diventano vicende umane simboliche che, graffiando la cruda verità, conducono ad una dimensione che non conosce limiti, tremendamente irreale eppure estremamente possibile.
Nelle narrazioni di Michael Zamaro tutto può succedere, niente è dato per scontato, la vita diventa un percorso in equilibrio sulla follia, sul sottile filo dell’impossibile: l’unica certezza è che il destino non si può scansare né evitare.

Massimo Barile



Anche le capre muoiono


L’alito di Power-Whisky mi appiccica la bocca. Eppure ieri sera ne ho bevuti solo tre con d-E-vid l’androide.
Il dentifricio alla polvere di stelle e il collutorio all’acido solforico mentolato cercano di fare il proprio dovere. Una camicia banale assieme ad una giacca ed una cravatta altrettanto banale mi preparano ad affrontare il colloquio. Dopo la legge stellare nr. 2564, qualunque essere umano o non, privo di un impiego per un periodo massimo di un anno esatto, viene polverizzato ed usato per creare dentifricio. Altroché polvere di stelle.
Sono disoccupato da 365 giorni, e se non fosse per la legge stellare nr. 632 che ha mantenuto l’anno bisestile, oggi sarei già in una qualsiasi bocca disgustosa a fare i conti con le carie e il tartaro dentario.
La Robot-segretaria è particolarmente affascinante. Si intravedono le forme dei glutei sotto la gonna fucsia. “Che culo d’acciaio” penso e comincio a ridere cercando di strozzare con la mano destra tale risata isterica.
La porta blindata d’acciaio Full-inox dell’ingresso si apre facendo entrare, senza dubbio, un altro concorrente. Chissà da quanti giorni è disoccupato.
Capisco immediatamente, con un colpo d’occhio di sguincio, che questo posto da operatore addetto al telecontrollo lunare sarà facilissimo da ottenere.
Lo guardo fisso, mentre nella mia testa continua, come una pubblicità stroboscopica ad intermittenza, a comparire il numero 365… 365… 365… 365!
Il ragazzo, invece, è in uno stato di completa agitazione. Gesticola con il palmare satellitare G4, le gambe incrociate e tremolanti (forse ha solo bisogno di fare pipì, penso) e un rigolo di sudore compare sulla sua fronte.
Forse anche lui è al 365?
Fossero stati tutti così i miei precedenti avversari, ora sarei già il comandante dell’Enterprise versione 3.1.
Mi avvicino e butto una domanda allo stesso tempo banale (come la camicia e la giacca) quanto apocalittica – A quanti giorni sei arrivato? –
– Sono già a 12. Sono finito, – risponde con voce tremolante, – e tu? –
– Solamente 7, – gli rispondo mentendo, trattenendomi dal prenderlo a schiaffi per una paranoia inesistente.
La segretaria mi chiama e mi invita a seguirla fino ad una porta fluorescente munita di targhetta elettronica con scritto DIREZIONE E COMANDO TOTALITARIO. Chissà che cazzo di essere mostruoso o di robot o di vecchio fiero umanoide mi aspetta, magari con un ghigno di potere, quel ghigno maledetto intriso di falsa mielosità che sfocia unicamente nelle polverizzazioni istantanee per uso orale.
Entro, la porta colorata ad acido per anfetamine si chiude dietro le mie spalle, mentre guardo con estrema attenzione la sottospecie di essere che ho davanti agli occhi.
Un uomo sui cinquant’anni, stempiato con i capelli per certi versi brizzolati, per altri ancora con il loro colore originale. Piccoli ed inespressivi occhi marroni infossati da due occhiaie da “non dormo da quando hanno inventato le astronavi”.
L’ufficio sembra emanare la stessa vomitevole espressione. Due grosse piante carnivore agli OGM avanzati ai lati della scrivania in oro 243 carati alieni, quadri demodé appesi al muro raffiguranti il primo campo da calcio spaziale, e il primo robot creato con intelligenza propria, mentre l’unica nota positiva riguarda l’oggettistica. Un’originale katana giapponese usata come decorazione della scrivania.
L’essere (al momento è solo questo, date le non prove a mia disposizione) intuisce il mio spaesamento temporaneo e sorridendo mi invita a sedermi. Inizia leggendo ad alta voce il mio file, come non lo conoscessi a memoria. – Dunque lei è un ragioniere A1, dove si è diplomato? –
– All’istituto stellare per Ragionieri A1/5, signore, – gli rispondo.
– Ah molto bene. Vedo che tra le sue precedenti professioni ha esercitato, vado citando: Contabile A22 presso un concessionario di astronavi utilitarie, rappresentante terrestre di laser-kalashnikov ak 47 per tre giorni fino all’armistizio universale che ha eliminato tutte le armi esistenti nell’universo, agente di navi interstellari da crociera e tagliatore di cibi da McSpace. Ma lei è un idiota? Ha qualche scopo nella sua vita oltre a farmi divertire? –
– Scusi la domanda, perché un idiota? –
– Rappresentante di laser-kalashnikov. Solo un idiota a tre giorni dall’armistizio universale può accettare un tale lavoro. In un universo dove non esistono più malattie, dove i mezzi di locomozione sono tutti auto-controllati, la legge stellare nr. 1899 per preservare la vita ha imposto lo smaltimento indeterminato e totale, grazie a evoluti metal detector satellitari, di tutte le armi presenti. Unico produttore di morte dell’uomo attraverso l’uomo. Anche quelle da taglio. Anche un normale coltello da cucina era considerato un’arma. Ecco perché tutti i cibi, al giorno d’oggi sono sotto forma di pezzi già tagliati da apposite macchine, ma questo lo sa meglio di me, visto il suo ultimo impiego da McSpace. Le piaceva? –
– Cosa? – chiedo.
– Lavorare da McSpace? –
– L’esperienza più brutta della mia vita. Mi hanno licenziato. –
– Un fallimento continuo. Eh? – replica col ghigno da bastardo.
– Permette un’altra domanda? – guardandolo fisso negli occhi.
– Certo, ma non si dilunghi troppo. –
– Questa spada che vedo sulla sua scrivania, è fasulla? Non può essere reale, lei stesso ha appena detto che tutte le armi sono state smaltite per sempre. –
– Lei anche se è una disgrazia negli ambienti lavorativi, devo dire che ha buon occhio. Quella è l’unica arma presente nell’universo. È stata creata oltre 400 anni fa da Hatori Anzu nel lontano 2003 e rappresenta l’unico mezzo in cui un essere umano può dare la morte ad un altro essere umano. Mi è costata più di questa società, dove lei ambisce a lavorare, con scarsi risultati al momento, – dice mentre una risata gli esplode dal petto.
Un odio vendicativo mi sta affogando, non riesco a respirare e continuo a guardarlo, pensando sempre al nr. 365 e alla mia fine sempre più vicina.
– Perché vuole lavorare per me? – mi chiede grattandosi un sopracciglio.
– Perché credo sia opportuno mettersi sempre in gioco e migliorare costantemente la propria posizione. –
– Una gargantuesca idiozia! Lei è qui per l’ultimo tentativo di salvezza. Crede che non sappia che lei è arrivato al 365? Io sono il Capo Supremo, come ha letto sulla porta io ho il controllo totalitario. Io conosco ogni cosa che c’entri con quest’azienda, ogni minimo dettaglio. Conosco le abitudine mattutine di tutti i miei 72.624.396 dipendenti e per quanto mi riguarda, le dico solo che ha le ore contate. –
Ci guardiamo in silenzio per alcuni secondi, la sua bocca si distorce in una smorfia animalesca di pura sfida, lasciando scoperti un paio di denti simili a quelli delle piante carnivore. Capisco di odiarlo. Sento il sibilo della lama sfiorarmi l’orecchio come se fosse una supplica. Afferro la katana di Hatori Anzu l’estraggo dal fodero e senza pensarci gliela infilo in gola. Non ha tempo nemmeno di urlare. Cade a terra emettendo qualche rantolo sforzato e disarmante.
“Questo è quello che ti ha riservato il comando totalitario. Guardarmi negli occhi mentre perdi tutto. Ne è valsa la pena”.
– Sono l’ultimo uomo dell’universo che ha ucciso un uomo. –

Il giorno seguente da McSpace. Ore 9.02.
Una madre con la figlia dirigono il carrello volante pieno di cibo, verso la Cyber-cassa automatica.
– Mamma, mamma, – dice la bambina.
– Che c’e? –
– Abbiamo dimenticato il dentifricio alla polvere di stelle che mi piace tanto. –
– Hai ragione, amore. Andiamo a prenderlo. –

[continua]

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