Opere di

Mauro Montacchiesi

...come una trottola…

Il mio labirinto,
è un asse di rotazione
che su se stesso come una trottola prilla,
solo in virtù di un’asimmetria delle sue cupe voragini.
Il mio labirinto,
è come un pianeta senza materia
nella cui orbita ellittica quella trottola prilla,
ma inutilmente
e soltanto perché un’orbita
deve pur avere un pianeta per esistere!
Il mio labirinto,
è un abisso senza materia,
ma con i limiti imposti dalla materia!
Il mio labirinto,
è la leva d’appoggio di qualcosa
dove però non poggia nulla!


...di un fiore di Venus

Lentamente lascio calare le palpebre.
La mia mente inizia la sua catabasi,
inizia a percorrere le profonde, tortuose anse,
dei segreti, impenetrabili sentieri del mio labirinto.
La mia mente non vede, la mia mente ha percezioni
oggettivamente icastiche di quella realtà che non vede.
La mia mente ha percezioni sinestetiche
del buio che non vede, del freddo che non sente,
dell’umidità che non la penetra.
Poi, disperatamente, nel fondo del mio labirinto,
percepisce una botola che si disintegra,
una botola che la fa precipitare ancora più giù,
oltre quel fondo che credeva invalicabile confine,
centripetata da un maelstrom,
che la risucchia, nella percezione di un bènthos
e lì, paradossalmente, in un caleidoscopio di metazoi,
vede, sente, s’iebria di un fiore di Venus,
blandito da tèpide acque.
Questo simbolo di amore eterno,
ha ridato speranza alla mia mente,
che vagava in una brughiera di superficie,
che è colata a picco,
che non ha toccato il fondo soltanto perché è andata,
attraverso, oltre il fondo,
che è stata centripetata da un maelstrom,
per scoprire, per capire,
che ovunque, che inopinato, si può trovare l’amore.


...al taglio di Atropo

Il giorno del mio funerale
chiunque vorrà
recitare il mio necrologio
dovrà tenere in mente
che tutte le gioie
che tutte le pene
che nel mio labirinto
saranno sgorgate
tra il suo primo vagito
e l’affannoso rantolo
che dalle vitali aure del giorno
obbedendo al taglio di Atropo
lo consegnerà ‘a cori d’ Eliso
saranno appartenuti a lui
e soltanto a lui
al mio labirinto!


Ha bisogno di requie

Il mio labirinto vuole fortemente, velocemente
alienarsi da questo posto.
Alienarsi da ogni cosa di cui ha già nozione.
Alienarsi da tutte le cose per cui nutre un sentimento.
Il mio labirinto vuole fortemente, velocemente
alzarsi in volo
e non per planare nelle favolose ricchezze di leggendari eldoradi.
Gli andrebbe di planare
in un misero pueblo o in un convento di clausura,
purché non ricordino questo posto.
Il mio labirinto
prova nausea per queste facce increspate,
si sente cristallizzato in questi vecchi stereotipi ,
si sente soffocare dall’aria stantia di queste ore monocolore.
Il mio labirinto
ha bisogno di requie,
ha bisogno di sentirsi un alieno
dalla sua ormai inscindibile maschera.
Il mio labirinto
ha bisogno che si interrompa la sua coscienza,
come sussulto esistenziale e non come quiete.
Una semplice palma su una battigia della Polinesia,
o addirittura una tenda su una balza scoscesa,
gli può garantire tutto ciò.
Sfortunatamente il mio libero arbitrio
non è capace di garantirglielo.


In quegli atri streptocori

Ad orto
nel mio labirinto
vagisce una tremula stella
ad occaso
un’altra singultando si eclissa.
Nel mio labirinto
del mio unico Dio
del mio Dio universale
epifania mai v‘è stata.
Laggiù
mai teo – bensì teratofanie (*)
bensì psichedeliche chimere.
Adesso
soltanto reliquie di un chrònos
di un chrònos alieno ad ogni alfa
di un chrònos alieno ad ogni omèga.
Tutti i riverberi
dei miei teratoidi (*)
delle mie chimere
mie inscindibili ipostasi
chissà perché
sembrano avere
un sempre più sapido aroma.
Priva di luce
la ragione insiste a concimare
una terra solo un tempo ferace.
Alienato
il mio labirinto
coltiva la paradossale utopia
dei suoi ancestrali feticci.
In quegli atri streptocori
una stella neonata
altro non è
che un’ effimera vibrazione di luci.
La mia anima ha abiurato alla catabasi
negli inferi del suo labirinto.
Il suo
il mio labirinto
è tornato ad essere opaco
troppo catafratto
per la mia ormai anodina mente
nonostante i barlumi
di una neonata stella innocente.

(*) streptòs=contorto – chòros=regione

(*) tératos=mostro


Il mio pensiero è...

Orfèo, amico mio!
Smettila di far vibrare la cetra!!!
Ho bisogno di pace,
di chiudere gli occhi,
di scendere in fondo!
Voglio rivedere il passato,
voglio risentire le voci.
Rivedere,
risentire,
tutto ciò che non ho capito,
tutto ciò che non ho sentito.
Ed ecco, repentinamente,
si congela il mio pensiero.
Pensare, per me è indispensabile,
respirare, non lo è!
Io sono un aniloide(*),
anatematizzato ad essere un aniloide(*).
Il mio pensiero è
un cryoplasto(*),
una stalattite di ghiaccio,
la scettica epochè del mio aniloismo(*),
che perturbabilmente imperturbabile,
nulla accetta, nulla ricusa,
nulla afferma, nulla nega.
Così,
tra i paradossali meandri
del mio labirinto,
l’aroma vitale ancora respiro,
delle più sofisticate utopie.

(*) Aniloide= an – =senza; – ilo – =materia; – oide=uguaglianza, forma=forma senza materia (paradosso esistenziale)

(*) cryoplasto=Cryo=ghiaccio, gelo; – plasto=cellula, cosa formata=cellula, cosa di ghiaccio

aniloismo=... – ismo=essere come, condizione, stato=stato senza materia


Ma allora, chi?

Il mio labirinto è come un luogo
di dannazione e di eterno dolore
che mi sogghigna, negandomi, tuttavia,
pure il cinico, ma reale, quasi umano,
sogghigno dei demoni.
E’ l’alienazione farneticante di un cosmo abiotico.
Il tanatoide(*) itinerante coartato
a vagare effimeramente nel mondo della materia!
E’ l’esplosione di tutte le stelle
e galleggia nell’assenza di luce,
sconquassato da una tempesta cosmica,
non con una potenza divina che l’abbia ordinato.
Ma allora, chi?
E’ un’essenza priva di se stessa,
che vaga nel buio di una notte mai calata.
E’ un’utopia, uno xenòide(*), un ossimoro(*) esistenziale,
che pensa senza pensare, che sente senza sentire,
che piange senza piangere!
La mia anima è spirata al suo primo vagito
ed il mio labirinto non l’ha mai incontrata!

Tanatos=cadavere* – òide=forma,somiglianza=simile ad un cadavere

xénos=strano,straniero,estraneo

contraddizione radicale


Come in glauca notte…

In queste ore, in guisa inopinata,
nel mio labirinto avverto un’impressione
ineffabile, incerta,
ma verosimilmente, paradossalmente esatta.
Il mio labirinto ha inteso,
grazie ad un insondabile, arcano,
congetturale bagliore si stella,
come in glauca notte rutilante d’oro,
ha inteso che è il labirinto del nulla.
Del nulla, senza limitazioni o restrizioni,
del nulla.
Nella glauca notte rutilante d’oro,
ho visto chiaramente che quello che credevo
un ammasso di cemento brulicante di vita,
era invece un gerbido, un terreno brullo, incolto:
una vera, desolata brughiera!
E l’ipotetico bagliore di stella
è diventato ex – abrupto
un riflettore bieco, torvo,
che ha reso icastico il mio vero labirinto,
scusso di qualsiasi firmamento.
Qualcuno si è impossessato della mia ipostasi
prima ancora del chaos primordiale
e l’ ha resa simpatica alle mutazioni accidentali!
Qualcuno mi ha obbligato ad entrare nel mio corpo,
per dare struttura al mio labirinto,
senza che io abbia fatto qualcosa ,
senza che io ne abbia dato il consenso!


Ma cos’ è la stucchevolezza…

Oggi ho una sensazione di malessere,
un intenso desiderio di rigettare!
Sudorazione, salivazione eccessive!
Senso di repulsione, di disgusto,
causati dalla stucchevolezza degli stereotipi.
Ma cos’ è la stucchevolezza degli stereotipi,
se non la stucchevolezza del mio stesso stereotipo!?
Ogni istante trascorso adesso è diverso,
in quanto adesso non è prima!
Ogni istante è quello che è,
in quanto mai ce ne è stato altro simile!
L’uguaglianza assoluta,
la corrispondenza perfetta,
esistono solo nel mio labirinto,
che fallacemente tutto,
adesso,
rende simile!
La realtà è un polimero,
ridotto a monomeri
ora uguali, ora diversi tra loro,
una serie di angoli ben definiti.
Ma il mio labirinto
difetta di nuovo di rifrazione,
di messa a fuoco,
e tutto ridiventa confuso, imperfetto,
e così, disperatamente, irrimediabilmente,
si disorienta e si perde nella foschia densa,
nella foschia umida del suo eterno diallelo!


Anabasi

Anabasi di un urlo agghiacciante
klimax che flebile nasce da
imi precordi d’un labirinto plumbeo
urlo agghiacciante
che invade la mente
la mente
fiume abiotico velato di bruma
urlo agghiacciante
che rompe gli argini
che si aderge libero impetuoso
nell’etra priva di voci di suoni
nell’etra muta
urlo agghiacciante
finalmente libero dai limiti asfittici della materia
urlo agghiacciante
sinapsi tra
imi precordi d’un labirinto plumbeo.


Un sofocleo atelantropo

Tra utopia e chimera,
tento un’endoscopia del mio labirinto
e lì mi vedo come una stella nana,
compagna di viaggio
di una stella che non ha mai brillato!
E lì mi vedo come la deflagrazione
di un Big Bang che non si è mai espanso!
Sentimenti, pensieri, volontà:
sono elementi alieni al mio labirinto,
forse mai geneticamente immanenti!
E lì mi vedo, come Kirk,
il Comandante di un’Enterprise mai costruita,
che naviga, senza navigare,
in un cosmo mai generato,
che naviga, senza navigare,
nelle psichedelie di un metempirico quid,
che ha fatto di me un sofocleo atelantropo!

Atel – =imperfetto* – antropo=uomo=uomo imperfetto


...con le ombre del tempo

Il mio labirinto
è smarrito
in questa brughiera deserta.
E allora,
cos’altro gli resta
se non il dialogo
con le ombre del tempo?


Come in un turbine

Il mio labirinto sembra
il tourbillon di un inchiostro di pece,
il delirium tremens stereòide(*),
la rotazione illusoria
che circonda l’assenza di materia,
e in quest’assenza di materia,
rimangono paradossalmente sospese
le sue platoniche anamnèsi,
le sue idee,
a lungo meditate nell’iperuranio,
prima di questa nuova metempsicosi!
Come in un turbine, lì,
paradossalmente,
girano alberi, stelle,
vibrazioni di melodie aliene,
rapsodie parapsichiche!
Come in un turbine,
un turbine bièco,
come un tunnel che mai approda alla luce!

stereo – =spaziale – òide=suffisso aggettivante=spaziale


Una liturgia mistagogica

Nel mio labirinto di specchi
si rifrange il glissando di una cetra orfica!
La mia scettica acatalessia
non mi comporta, invero,
di comprendere se sia lo stesso,
mitico aèdo Orfeo, col suo plettro,
a blandirne le corde!
E laggiù, in quel mio diorama,
in quella mia grande tela di scene dipinte,
dove giochi di luce tutto fanno sembrare reale,
ma dove tutto è una Fata Morgana,
laggiù,
nei penetrali, nei plessi più reconditi del mio labirinto,
avverto, senza vedere,
una liturgia mistagogica che mi centripeta,
che mi coopta,
ma che poi mi centrifuga verso l’ascetica anagogia,
verso la catarsi dell’ anima,
unici egressi dalla reclusione della materia!


Rivedere, risentire

Orfèo, amico mio!
Smettila di far vibrare la cetra!!!
Ho bisogno di pace,
di chiudere gli occhi,
di scendere in fondo!
Voglio rivedere il passato,
voglio risentire le voci.
Rivedere,
risentire,
tutto ciò che non ho capito,
tutto ciò che non ho sentito.
Repentinamente,
si congela il pensiero.
Pensare è un obbligo,
respirare non è un obbligo.
Io sono assenza di materia,
e sarò sempre assenza di materia.
Il mio pensiero è congelato,
una stalattite di ghiaccio,
che pende dall’assenza di materia.
Se non considero questo paradosso,
nel mio labirinto conservo
le più sofisticate utopie.


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