La Danza dell’Anima

di

Mauro Domenella


Mauro Domenella - La Danza dell’Anima
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 108 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6037-9122

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In copertina fotografia dell’autore


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è classificato
nel concorso letterario Poeti dell’Adda 2008 e nel concorso letterario Olympia Città di Montegrotto Terme 2009


Introduzione

Ogni anima è una goccia d’acqua alla ricerca della sorgente, quella sottile astrazione chiamata felicità.
Per inseguire questo status, l’uomo ha cercato di travalicare argini temporali, ha esplorato, devastato, camuffato l’effimero nell’indispensabile, traviato l’ideologia stessa dell’esistere, dimenticandosi del viaggio da compiere dentro se stesso.
Ma la disfatta di cui è succube da sempre la poesia risiede soprattutto in tempi contemporanei, intrisi fortemente di dolciastra ferocia occultata nell’ipocrisia di un falso perbenismo.
La compiacenza per il futile diventa pane quotidiano, mentre l’introspezione interiore rimane un viatico troppo ostico da percorrere dalle masse.
Solo il poeta, affascinante visionario, scandaglia i recessi più insondabili della coscienza, ne esterna la latente conflittualità.
Solo lui si divincola tra disagi e bellezze del mondo, ne prende atto e con audacia li traduce in versi, contrapponendosi alla sudditanza di un’era cibernetica che spoglia l’anima della sua creatività e unicità.
Solo lui sa cosa vuol dire smembrare il proprio ego, rinverginare la propria identità per intraprendere un viaggio ancestrale che conduce alla vertigine, raccontarsi naufrago disperso mentre i tentacoli della notte s’impossessano delle membra.
Solo il poeta, nel frastuono dei giorni, denuncia con il grido lancinante della parola, si bagna col fuoco sacrale della sua genesi preservandola dalla contaminazione.
La sofferente ricerca nei meandri più reconditi dell’anima porta al vero viaggio di scoperta e di salvazione, che non è esplorare nuove terre ma possedere nuovi occhi.

L’autore


Prefazione

Nella visione lirica di Mauro Domenella emerge prepotente il senso della finitudine dell’Uomo davanti al Tempo che scorre inesorabile e porta con sé la percezione della condizione esistenziale che alterna l’incanto dell’esistere al senso di solitudine, la preziosa ricchezza della Parola e l’apertura alla verità, sempre cercando di indagare il mistero nascosto del nostro Essere.
Nello stesso tempo si avverte la visione della vita come continuo viaggio e nuovo approdo: da questa evidenza nasce la necessità di “cancellare la tristezza dal viso”, seguendo il desiderio, la volontà imprescindibile di continuare a navigare nell’oceano delle emozioni fino a condurre ad un nuovo canto che si alzerà spontaneo e seguirà uno “spartito sublime”.
Ecco allora che le poesie di Mauro Domenella diventano messaggi dentro bottiglie nel mare dell’esistere, offerte al lento flusso dei giorni: e, all’interno, v’è tutto ciò che è manifestazione vitale, i segni dell’amore e i palpiti del cuore, le speranze e le illusioni, gli stupori e le tristezze, le visioni della donna amata e i sogni, i ricordi tristi e gli incantamenti, il dolore e la consolazione.
Mauro Domenella dilata lo sguardo, oltre un’ipotetica linea di confine, facendo riemergere le verità nascoste nel dinamismo interno dei suoi componimenti, entrando nelle regioni dell’amara sofferenza fino al segno lirico della rivelazione.
Le sue parole sono presenza e realtà, segnali nel percorso della propria storia, senza fuggire nelle illusioni, sono l’osservazione dentro di sé dell’origine di quel dono che dal Nulla conduce all’Essere: il cammino che rende partecipi al “tutto che circonda” come un piano di redenzione in cui è inserito l’Uomo, luce creatrice che alimenta la lampada interiore di classica memoria.
La poesia di Mauro Domenella diventa irradiazione interiore che si percepisce come genuina testimonianza che aiuta a seguire la luce “nella nebbia della vita”: la magia delle parole inventa la poesia, culla nel silenzio, illumina l’ultimo “riverbero” e, come sostanza vitale, spolvera i giorni, i pensieri e i sentimenti.
E Mauro Domenella, come “funambolo sull’orlo del rimpianto”, come “triste menestrello senza favole”, come “giocoliere di pensieri tra i fragori dell’esistenza”, come “un’aquila… che tenta guizzi caparbi” cerca di organizzare i giorni della vita, i frammenti esistenziali tra “equilibri incompiuti”, tra ardori e sogni, stupori e tormenti, ricordi e silenzi, come in un dolce e volontario naufragio dell’esistere.
Ecco allora l’apertura dell’anima che si dirige nelle zone sconosciute in un continuo viaggio lirico che è pervaso dall’essenza del divenire, in una sorprendente ricerca: sempre pronto a salpare verso un “nuovo naufragio”, nei “viaggi con la penna”, disposto a fare i conti con un “malessere sconosciuto”, a “sfogliare le scarne pagine del tempo”, ad ascoltare il cuore del poeta che pulsa “sotto la scorza del faticatore”, dalle immagini suggestive della propria terra che si sgranano come un rosario tra profumi, fragranze, salsedine e arcobaleni, e diventano “consapevolezza del proprio essere”, fino al canto d’amore.
Nei frammenti del tempo che “svelano il sudario di ognuno”, quel “mendicare sull’orlo dei pensieri”, sono i segnali evidenti della volontà lirica di Mauro Domenella di inabissarsi nella vertigine per far riemergere le “perdute forme dell’esistere” e restituire all’Uomo il “respiro del tempo” che conduce ad inebriarsi della vita.

Massimo Barile


La Danza dell’Anima


Il giardino delle rose


Tu

Di nuovo
dagli sterpi di marzo
rifioriscono i gelsomini.
Abbiamo dentro
le dita sottili del ricordo
del poco mare attraversato,
senza peso la corrente
trasporta come foglie.
Prima o poi stingono i broccati,
l’autunno precipita
come un crepuscolo.
Ci siamo attesi, e i giorni
rimangono lettere da riempire
senza limo sulla carta.
Avrò il tuo sapore in bocca
sino all’assedio degli anni
e non mi basterai ancora,
e non sarai straniera al mio canto.


Ritratto

E ti ritraggo
con la penna esule sul foglio
quando la luna è una lanterna
che rischiara il confine turgido dei colli,
nasconde la vergogna del papavero.
Da tanto ti guardo:
col sorriso e feconde lacrime
irrori le radici dei figli,
tempio dolce delle nostre gesta.
Rimane sempre qualcosa
della fiammata del tramonto:
mani d’ombra che spargono cenere
oltre il tremolio di fiaccola
su pochi fogli distratti.
E mi abbandono ai miei ritorni,
col peso della fatica nello sguardo,
come una vela stanca ogni sera
si concede alla sua rada.
Madonnina del mio portico,
ora mi inondi di te,
come sorgiva che straripa dalle dita
e rinfranca e disseta,
eppure mai sazia.


La panchina

Trasuda fiamma il tramonto
affondando oltre l’orizzonte,
e la sera si carica di stemperati umori.
Ci abbandoniamo sulla panchina
prigioniera di graspi d’edera;
grappoli di roveri fronzuti oscillano,
svelando tremolanti fazzoletti di cielo.

Questa panchina bollente,
avvolta nel crepuscolo che sanguina,
stasera è nostra capanna di sogni.

Ti sfioro modellando le spalle,
carezzando la superbia delle gambe nude.
E’ ammarare su pianeta vellutato
il baciarti, nell’attesa
– quasi uno spasimo, col petto ansante –
di affondare nell’imbuto della notte
dove, tra dardeggi di fari vagabondi
e bugie di lampioni complici,
si concedono l’anime fameliche d’amore.


Voci

In questa notte di trastulli,
siamo solo delle voci che la brezza
modula e dirotta agli arenili.
Nello specchio tremulo
annega il diadema della luna,
mentre la pelle si inquieta di brividi
ai primi accenni del nostro autunno.
E intanto l’onda, fuggiasca
come il tempo, abbraccia scogliere,
sfarina pietra all’ombra dei secoli
senza memoria e senza mai sfiancarsi…
Un astro perfora la coltre notturna
per dissolvere in polvere aurea,
e non lascia indenni i cuori…
E noi, trepidi amanti
incatenati all’incanto dell’esistere,
vaghiamo – un poco ansanti –
sotto la volta tempestata di diamanti,
mentre il pulsare della risacca
frange sulle caviglie,
dilava già le nostre orme.


A te

A te che mi hai insegnato
ad arare con gioia il mio campo,
a seminarlo affinché
altri possano raccogliere.
A te che mi fai guardare con distacco
ai castelli dello stolto,
al denaro per la cartastraccia che è,
all’assillo del lavoro
che non tolga giovialità al saluto.
A te che mi hai insegnato
a cercare il faro nella nebbia
quando la vita è burrasca,
a guardare il mondo con l’umiltà
del maestro che si ritiene discepolo.
A te che, tra venti di ferocia,
mi hai inculcato la mitezza della fede
per guadagnarmi gli stendardi celesti.
A te che mi hai dato
abbastanza luce negli occhi
per stupirmi se Dio dipinge arcobaleni
dopo ogni piovasco.
A te che mi hai fatto capire
che sotto la tua rude scorza di padre
batte un cuore ancora fanciullo.


Antica signora
(Ancona)

Antica signora adagiata
sul colle, i fianchi di cemento,
il respiro salsedinoso
a mitigare una cappa
che tenta d’ingrigire tutto.
Mi piaci così, sofferta,
un poco trasognata,
ma mai banale,
coi corsi accesi di vetrine,
i portici di pietra,
fino giù alle murate sul mare.
Mi risveglia il tuo brusìo,
l’indaffaramento di cuori
ligi al lavoro, il tuo
frenetico, incessante andare.
Ma la notte la gomma
tace l’asfalto, e ritrovi te stessa;
solo scalpiccii sui passeggiatoi,
e sognanti coppiette,
puntualmente complici
nella trappola del cuore.


Burrasca e tormento

Piegano il capo fradicio le rose
alle frustate del vento
e sgrondano lacrime gli ulivi;
serpeggia disorientata
una miriade di perle alla finestra,
dove aspetto te, amore mio.
Da troppo tempo
manca il tuo sorriso
a dare luce al mio giorno,
tarda il tuo calore
ad arginare il buio,
e l’affanno del vento
– che cava muggiti incanalando
tra le case e sulle rampe dei faggeti –
dichiara il mio sublime tormento.


Fogli bianchi

Ci sono ancora
tanti fogli da dipingere
nel libro dei nostri giorni,
anche se le stagioni
fanno fatica a sfarinare lievi,
e l’inverno cesella per noi
labbra irruvidite.
(Non so pensare
all’ombra alleggerita dal corpo,
ai capelli che si disfano
in filamenti di polvere.)

Forse siamo come volti di salice,
che il tempo marca di cicatrici
al pallore dei tramonti:
aspettiamo assetati che altra luce
imperli di respiri d’alba i tralci,
nuova brezza faccia trasalire
le fronde incupite dal crepuscolo.
O forse siamo due bagliori
di candele che sciolgono lente
e insieme possono rischiarare
l’inchiostro di qualsiasi notte.


E sarai grande

E sarai grande,
lascerai giocose vesti
per percorrere i vicoli della vita.
Forse ti dimenticherai
del profumo di una rosa,
dello scarlatto dei suoi petali.
Forse ti dimenticherai
del vento che fruga tra i capelli,
forse non ti ricorderai neppure
della purezza dell’amore.
Ma tu, tu fa che non sia così.
Ama, canta, vivi,
dona uno spicchio di te agli altri,
ascolta il palpito intenso
del cosmo intorno a te.
E ogni sorriso, ogni gesto,
ogni anelito d’amore,
riponilo nelle Sue Mani,
affinché Lui lo possa custodire
tra le pieghe del Suo Manto.


Incontro

Lei si svela alla porta,
e profumi di desiderio
mettono a repentaglio
parvenza di catene.
Sono portatore d’astinenze,
lupo affamato d’invernata…
La tavola imbandita diventa
labirinto dove si cercano mani,
il vino carburante
per svelare pudori.
Quindi è un rotolare fino al divano
che già diventa letto,
e due corpi
un solo polipo agghindato a sudore…
Scendi cataratta su di me
a spegnere l’ultimo lume.


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