Opere di

Maurizio Campo


Con questo racconto è risultato 3° classificato – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011,


Questa la motivazione della Giuria: «La follia dell’Uomo ed il ricordo tragico delle bombe atomiche che hanno colpito le città di Hiroshima e Nagasaki, procurando morte e sofferenze indescrivibili, in un racconto straziante che indaga la morte e le ragioni dell’anima: da un lato, la manipolazione genetica a scopo militare condotta su un essere umano e, dall’altro lato, la dolorosa storia di una ragazzina vittima delle radiazioni nucleari. Racconto straziante che penetra il dolore causato dalla follia dell’Uomo».

Massimo Barile


Esperimento n° LB 6845 – H

Il mio nome è L.B. e sono morto. O almeno posso considerarmi morto.
In realtà non sono ancora venuto al venuto al mondo ma conosco esattamente l’anno, il mese e il giorno in cui scomparirò. Sono un morto che cammina anche se ancora non ho le gambe per farlo. È strano per un nascituro parlare di morte ma ogni mio passo sulla Terra è stato già tracciato, non ho nulla da scoprire, e non posso fare a meno di pensare alla mia fine.
Sono un condannato a morte senza aver peccato, ma mi macchierò di colpe gravissime ed è giusto che io sia punito. Almeno credo.
Sono un soldato semplice, non posso decidere della mia vita. Il mio compito è eseguire gli ordini senza pormi domande.
Nel mio mestiere l’incertezza aumenta il rischio di fallimento, e in guerra fallire non è ammesso.
Un soldato efficiente è un soldato che non pensa.
La mia colpa più grande sarà quella di pensare, di capire, comprendere, e non far nulla per cambiare il mio destino e quello delle persone che incontrerò.

Sto facendo una gran confusione, è meglio fare un passo indietro.
Mia madre è E.G. e ho diversi padri, se così possono essere chiamati gli scienziati che hanno contribuito a farmi venire al mondo.
Non conosco il modo in cui mi hanno concepito.
Sono quello che i militari definiscono convenzionalmente un EMG, un esperimento di manipolazione genetica a scopo bellico.
Non sono il frutto dell’incontro tra due corpi, l’amore sublimato tra due persone, una delle favole romantiche nate intorno al miracolo della nascita. Io sono il risultato della conoscenza, il frutto della scienza applicata alla tecnologia.
Ogni cellula del mio corpo è stata generata per uno scopo preciso, ogni fase nell’utero di mia madre è stata analizzata perché ne possa uscire l’essere perfetto.
La macchina perfetta.
Mi hanno creato per diventare uno strumento di guerra, forte, indistruttibile; non conoscerò la fatica, non conoscerò dolore e non avrò rimorsi.
Avrò capacita al di fuori dell’umana comprensione perché di umano non avrò nulla.
Ucciderò centinaia di persone, porterò solo dolore e morte.
Questo è il mio destino.
Questo è quanto hanno stabilito i miei padri.
Ma qualcosa è andato storto: dopo mesi di laboratorio, migliaia di calcoli, esami ed esperimenti, la scienza ha tralasciato un piccolo particolare; dandomi vita hanno instillato in me un riflesso di coscienza, un impulso fuori dai sensi e dalle sensazioni, ciò che gli uomini chiamano anima.
Lo schema del mio comportamento ha subito delle modifiche, ha perso stabilità: presenta delle variabili indecifrabili che hanno bloccato il sistema centrale.
Emozioni, amore dolore tristezza felicità si insinuano nella mia testa e interferiscono con il mio programma offrendomi un’alternativa. Ma il mio sistema non riesce a calcolare le infinite possibilità di una scelta libera: scegliere presuppone il dubbio. Ma come ho già detto non posso avere dubbi, e come potrei averne, io, che già conosco il mio destino?.

La piccola S. S.

Il mio nome è S. S. è sono morta o almeno posso considerarmi morta.
Non so quando questo avverrà ma sono sicura che accadrà.
Ieri ho fatto un sogno. Stavo correndo sopra un prato e non riuscivo a vederne la fine. Sentivo le gambe leggere e sicure, come prima dell’“incidente”. Preferisco chiamarlo così. Mi spaventano i nomi strani che i dottori usano ripetere a mia madre. Lei cosa può capire, poverina, a malapena riesce a scrivere il suo nome.
Io sono la prima nella mia famiglia ad aver frequentato la scuola. E la prima ad aver vinto una gara di atletica.
Nel sogno ho avuto la stessa sensazione di quel giorno in cui ho battuto le altre bambine. Il sole brillava di un giallo intenso seguendo il mio cammino. Io correvo sempre più veloce ma lui, insistente, conservava sotto di me un piccola ombra circolare. Improvvisamente tutto si è fermato. I raggi, spegnendosi gradualmente, sono tramontati prima in un giallo scuro, poi arancione, infine nero, e il mondo intorno a me è scomparso. Una ombra scura e vaporosa ha cominciato a parlarmi e ha detto che sarei morta. Parlava piangendo, la voce continuamente interrotta da lunghi sospiri. Sembrava aver paura, provare un profondo senso di colpa. Io non ho avuto paura e ancora adesso non ne ho. Morirò, e allora?
Mi dicono «sei una bambina coraggiosa» ma credo che non sia vero. Non capisco perchè gli adulti siano ossessionati dalla morte. Quando dormiamo il nostro corpo sembra morire ma la nostra mente continua a esistere, a inventare, a sognare. Perchè devo aver paura di sognare per sempre?.

Non voglio stare qui. Qui sono tutti tristi, e le persone mi guardano con compassione. Mi mettono di cattivo umore, e appena dico loro che ho dodici anni, mi accarezzano la testa e il viso come fossi un cucciolo. Non ho bisogno di loro. Starò con i miei angeli. Chiederò loro di farmi ridere e nel posto dove mi porteranno potrò di nuovo correre e giocare. Giocherò con tutti i miei angeli. Tutti e mille. Danzeranno per me, canteranno e mi faranno vincere tutte le gare.
E ogni tanto, sarò io a far vincere loro.

Vorrei andare via, sono stanca di stare su questo letto e non trovo più carta per i miei angeli. Ne ho fatti tantissimi, ancora altri dodici e il mio desiderio si avvererà. Me lo ha detto la mia amica C. Aveva una faccia buffa mentre parlava “è un antica leggenda. Ma devi fare tutto da sola”. Lo diceva con tono serio ma il labbro superiore le si contorceva in una smorfia buffa. “Quando nasceranno, i mille angeli bianchi verranno da te e porteranno il tuo desiderio nel regno dei sogni dove tutto si avvera. E tu guarirai!”. Poi incrociate le braccia restava in silenzio per un istante, si voltava e andava via.
Anche lei è triste, ma non mi tratta come gli altri. Quando esce dalla stanza la sento piangere e anch’io ho tanta voglia di piangere.
Devo sbrigarmi. Mi serve altra carta per costruire i miei angeli. Sarò felice dove andrò e lo dirò a C. che smetterà di stare male per me.

L’inizio

Se esiste l’odore della morte deve essere certamente questo. Un odore innocuo e velato che riconosci non appena giunge alle tue narici. Un odore cupo e sofferto pronto a stritolarti moltiplicando i suoi tentacoli, che si avvinghiano sul corpo, stringendo sempre di più.
Lo sento dentro me.
Lo sento dentro mio fratello.
Si, ho un fratello.
Generato dal mio stesso seme e per il mio stesso scopo. Lui verrà dopo di me per completare quanto io ho iniziato. Colpirà dove io non ho colpito imponendo la nostra legge.

Finalmente comprendo il mio male, e questa incertezza: ho paura di sporcare di sangue la mia coscienza. Il rimorso mi avvolge rinchiudendomi nel limbo del giudizio. E qui nel confine tra il bene e il male, vittima e carnefice della mia nuova morale, non scelgo. Aspetto solo la mia condanna.
Gli stupidi sognano di conoscere il domani per affrontare con consapevolezza ciò che li attende, per paura dell’ignoto e dell’indeterminato, dimenticando che l’essenza stessa della vita è l’illusione, la speranza, le aspirazioni che esistono solo quando ancora nulla è stato deciso.
Nell’attesa la speranza vivifica i desideri, diffonde la fiducia, nutre la giustizia donando abbondanza a chi giusto è stato, e concede indulgenza nella redenzione di chi giusto invece non lo è. Ma io non sono migliore di queste persone: ho realizzato il loro sogno e conosco il mio futuro, e non farò nulla per cambiare un destino che non mi piace, che mi ucciderà un anima che non ho chiesto, ma che ora vorrei rimanesse custodita negli inferi del mio corpo.

La piccola S. S.

La piccola S. aveva appena terminato il suo angelo. Era il numero 998. Sentì uno leggero formicolio alle gambe e debolmente si appoggiò al cuscino sorridendo solleticata dalle lenzuola profumate. La madre la trovo così. Serena, sorridente, immobile. La strinse a sé bagnandole il capo di lacrime, le baciò gli occhi più volte senza parlare.
Il giorno successivo fu sepolta.
Durante il funerale i compagni di scuola lasciarono cadere nella bara della piccola S. gli angeli di carta che con tanta tenacia aveva realizzato.
C. affranta arrivò per ultima, e tenendo stretta la mano del padre si avvicinò all’amica. Vide solamente il volto e le mani. Il corpicino era protetto dal bianco candido degli origami. C. le sussurrò qualcosa all’orecchio infilandole tra le dita congiunte un angelo rosa «Questo l’ho fatto oggi io per te» disse cercando nuovamente la stretta paterna. Il feretro scese lentamente nella fossa e due uomini cominciarono a ricoprirla di terra.

LB 6845 –H

Il ventre di mia madre si apre, gli opposti si fondono: il nascere e il morire si contraggono nel palpito immutabile dell’infinito. Ma io sono un essere finito, e il mio passo tangente a quel moto circolare si allontana realizzando l’insensata rotta della mia esistenza. Non ho tempo per comprendere, non ho più tempo per i dubbi e le speranze, e priverò altri di tempo, di dubbi e di speranze. Ma se potessi esprimere anche un solo desiderio, se la mia volontà potesse superare la fragilità del corpo perpetuando le ragioni dell’anima, se solo mi fosse concessa la libertà di scegliere, di eleggere il mio destino, sceglierei di non avere destino. Di rimanere deluso, stupito, di sbagliare, di ringhiare contro dei avversi , o ringraziarli per grazia ricevuta, di chiedere loro aiuto e continuare a coltivare speranze e paure. A vivere come è degno vivere. A vivere come è giusto.
Il mio nome è L.B.. mia madre è E. G. e sono morto.
Addio.

La Gru

Una luce accecante avvolse la cittadina. E poi un boato profondo, crudele. Un vento rovente si alzò e feroce aggredì ogni entità sul suo cammino, lasciando dietro sé il nulla. Camminò per chilometri e chilometri prima di placarsi sulle rive del mare. In questo disfacimento nessuno riuscì a vedere quella scheggia di cielo sospinta dal soffio rovente, l’unica in grado di sfuggire alle lingue di fuoco che si allungavano perpendicolari alla sfera di luce. Nessuno vide il fiocco di bianco che danzando con gli angeli volteggiò attraverso le nuvole nel manto azzurro dell’infinito. E che rimase lì, sospesa sulla culla della prima alba, e che per nove anni fu lo sguardo del tramonto. Prese i colori del sole ricoprendosi dell’oro dei suoi raggi. Poi scese pigramente, sorseggiando dal prisma della brezza rarefatta, cavalcando gli arcobaleni e poi gli aquiloni, e ancora più giù, giocò sulle fronde degli alberi e sui tetti delle case, e infine, giunta a terra, arrivò talmente vicino alla bimba che poté baciarla sulla fronte. S.S. circondata dai suoi 999 angeli di carta aveva a lungo atteso quel momento. Gli angeli si unirono tutti intorno a lei e con l’aiuto del nuovo compagno sollevarono la bimba per condurla dove l’ultima gru, la gru d’oro, aveva danzato.
E S.S. volò in alto, là dove le speranze spezzate di qualcuno l’avevano voluta.


P.S. Il mattino del 6 agosto 1945 alle 8.16, l’Enola Gay dell’Aeronautica militare statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita tre giorni dopo da “Fat Man” su Nagasaki. Il numero di vittime dirette è stimato tra 100.000 e 200.000. Alla fine del 1945, altre migliaia di persone morirono per avvelenamento da radiazioni, e le vittime salirono a 350.000. La piccola Sadako si trovava a casa, a due chilometri di distanza dal luogo dell’esplosione. Era una giovanissima atleta. Nel 1954, all’età di undici anni, durante il quotidiano allenamento, si sentì male. Le fu diagnosticata una grave forma di leucemia, conseguenza delle radiazioni della bomba atomica. La sua migliore amica, Chizuko Hamamoto, le parlò di un’antica leggenda secondo cui, chi fosse riuscito a creare mille gru origami avrebbe potuto esprimere un desiderio. Chizuko realizzò per lei la prima. Durante i quattordici mesi trascorsi in ospedale, Sadako realizzò gru con qualsiasi carta a sua disposizione, comprese le confezioni dei suoi farmaci. Dopo la sua morte, i suoi amici e compagni di scuola pubblicarono una raccolta di lettere per raccogliere i fondi necessari per costruire un monumento in memoria dei bambini morti a causa della bomba atomica di Hiroshima. Nel 1958, all’Hiroshima Peace Memorial fu inaugurata una statua raffigurante Sadako mentre tende una gru d’oro verso il cielo.

Maurizio Campo



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