Racconto di Maura Rabotti


Con questo racconto è risultata 4^ classificata – Sezione narrativa nella VIII Edizione del Premio di Scrittura Creativa Lella Razza «Frammenti di memoria: una donna straordinaria»


Filastrocca delle ore

“Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il viandante …” è la filastrocca delle ore di sonno che scandiscono la notte e cullano i sogni dei bambini. E’ una vecchia filastrocca legata alla storia di una donna: una donna minuta di tanto tempo fa. La storia della sua tenacia, della sua dolcezza, della sua fatica e del suo sacrificio per regalare ai figli una vita migliore. Rimase vedova presto e restò sola con cinque figli: e mentre la più piccola saltellava ignorando quanto grave fosse la situazione della famiglia, la donna minuta, soffocando il dolore nel suo vestito nero, si chiedeva come potesse fare per tirare avanti e per sfamare tutte quelle bocche. Fece segno alla piccola di fermarsi, abbandonò le mani sul grembo e guardò il fuoco nella stufa. Cinque paia di occhi preoccupati la scrutavano in silenzio. Non aveva molta scelta: se si fosse arresa sarebbe stata la fine anche per loro. “Li devo crescere da sola e sarà come Dio vorrà: sia fatta la sua volontà” pensò. Fissò gli occhi dei due figli più grandi e li vide farsi uomini proprio in quel momento. Soffrì vedendo che la fanciullezza si congedava dai suoi piccoli grandi ragazzi lasciando, nel loro sguardo, una velata malinconia. Continuò a guardarli, strangolando nella gola, quel grido misto a dolore e ingiustizia che avrebbe voluto emettere ma, quel breve cenno del capo dei suoi piccoli uomini fu sufficiente per farle capire che, da quel momento, sarebbero stati loro il suo appoggio più grande. Lentamente si fece buio nella vecchia casetta di montagna piena di spifferi. Si fece buio e, sebbene fosse una notte calma e silenziosa, quella casetta fu scossa dalle sferzate di un vento improvviso e violento, ostaggio di una tempesta che lacerava i pensieri. “Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il viandante, quattro il barrociante …” recitò a mezza voce addormentando i suoi figli e finalmente, nel buio della stanza, la donna minuta, pianse. La famigliola nascose il dolore agli occhi del mondo e si rimboccò le maniche: c’era chi lavorava sodo, chi andava a scuola, chi portava loro qualcosa da mangiare, e c’era la donna minuta che era la prima ad alzarsi e l’ultima a spegnere il lume e, spiando il sonno dei suoi figli, se ne andava a dormire. Scoppiò la guerra e la miseria si sommò alla miseria. Il figlio maggiore dovette partire soldato e la donna minuta gli aggiustò la divisa e lo abbracciò prima di salutarlo. Lo vide diventare piccino piccino mentre spariva dietro il versante della montagna e stringendosi al petto gli altri figli, non riuscì a trattenersi e scoppiò in lacrime. I mesi passarono ma non giungevano notizie di quel figlio soldato: la preoccupazione di saperlo lontano e in pericolo si leggeva negli occhi della donna, inoltre il cibo era poco e tanta era la povertà. Infine la guerra finì e lui ritornò. Risalendo il versante della montagna rivide la sua casa e la sua famiglia. Nella piccola casetta di montagna si festeggiò e poi si ricominciò a lavorare e, lentamente, iniziarono tempi migliori. Ancora una volta ci fu chi partì in cerca di un lavoro e, ancora una volta, la donna salutò, sulla porta di casa, chi se ne andò. E ogni sera, come sempre, dopo la filastrocca quella muta preghiera: “sia fatta la tua volontà”. Sfilarono gli anni, la filastrocca fu dimenticata, i figli si sposarono, la casetta di montagna fu sostituita da altre più spaziose e senza spifferi, e la donna minuta, nonostante potesse rilassarsi e riposare continuò a darsi da fare preoccupandosi per tutta la sua famiglia. Con una vecchia valigia di cartone si recava, a turno, nelle case dei suoi figli, restava per qualche tempo e poi, come una Mary Poppins un po’ acciaccata ma con lo sguardo ancora acceso, quando il vento cambiava o, più semplicemente, quando la nostalgia si faceva sentire, ritornava in quel minuscolo paese tra le sue montagne. Si sommarono altri anni e i capelli della donna minuta ingrigirono, le spalle si incurvarono, le rughe, sul volto, si fecero più profonde, i movimenti più lenti. Giunse il tempo di fare la nonna e ritornò la filastrocca: “Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il viandante, quattro il barrociante, cinque il soldato, sei il magistrato …” piegata sulle culle dei nipoti riprese a raccontarla come se il tempo non fosse mai passato e, scuotendo la testa, pensò a quel marito che morì così giovane e ai suoi figli che, non ebbero mai, una né una culla né un giocattolo tutto per loro. Giocò e rise con i nipoti come mai poté fare con i figli. Spiò orgogliosa i primi sorrisi e tremò per i pianti, li aiutò a muovere i primi passi, a raccogliere i primi fiori, a fare i compiti e parlò delle sue montagne. Se li stringeva al petto in abbracci lunghissimi raccontando favole o poesie e la sua voce pacata portava un sottile velo di magia. Alcuni li vide diventare adulti e in loro riconosceva quel suo giovane sposo di cui non parlava mai. E per i più piccoli, ogni sera, da una vita, quella stessa filastrocca: “Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il viandante, quattro il barrociante, cinque il soldato, sei il magistrato, sette lo studente, otto tutta la gente … “. Poi, un giorno, il vento cambiò per sempre e, quella minuta Mary Poppins, in punta di piedi e, senza fare alcun rumore, se ne andò e, con lei, svanì la sua filastrocca e la sua seducente magia. Sono passati più di trent’anni da allora e mi piace ancora ricordarla così: china su di me che mi accarezzava e mi baciava augurandomi il buongiorno. La ricordo fragile e forte, dolce e vispa nel suo immancabile vestito nero. E sento quella filastrocca che, mia nonna, mi raccontava ogni sera e che non ho mai dimenticato: “Un’ora dorme il gallo, due il cavallo, tre il viandante, quattro il barrociante, cinque il soldato, sei il magistrato, sette lo studente, otto tutta la gente, nove la signoria e dieci la poltroneria”. E’ la filastrocca delle ore di sonno; del mio sonno, quello che la nonna vegliava per me allontanando i sogni più brutti per farmi dormire tranquilla. E’ la filastrocca della sua e della mia vita: così lontane, così vicine. E’ la filastrocca delle ore di sonno, quelle dei sogni più belli che parlano al cuore e non fanno rumore.

Maura Rabotti



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