Massimo Monticone - Ombre
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 560 - Euro 19,00
ISBN 978-88-6037-8538

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In copertina:
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Prefazione

“Ombre” di Massimo Monticone è un romanzo che affascina, sorprende, penetra nel profondo, si alimenta d’una tensione interna che deflagra in un conflitto senza esclusione di colpi, eppure, in fin dei conti, dimostra come è difficile essere “se stessi” e, sovente, nella vita “non vi può essere né vittoria né sconfitta” perché a nulla conta vincere se, poi, si perde tutto ciò a cui si teneva di più.
Il romanzo, con una miscela narrativa avvincente, racconta un viaggio attraverso le esperienze che plasmano l’esistenza di un gruppo di amici, uniti da un sentimento di forte coesione eppure obbligati, dalle sofferte vicende della vita, a ritrovarsi dopo tanto tempo a fare i conti, con una inevitabile sfida all’ultimo sangue tra due di loro: una guerra che nasce dal seme dell’odio per una tragica e traumatica decisione presa molti anni prima.
In un lento e doloroso percorso a ritroso, vengono riportati alla luce gli avvenimenti che hanno contrassegnato l’ascesa fenomenale di Marco Magrini, che ora è uno dei più importanti imprenditori del nord Italia; presidente della Man, società leader nel settore della comunicazione italiana e in continua espansione: lui era stato uno dei fondatori della società, con alcuni cari amici, quando erano solo ventenni. La società Man era diventata una sua creatura, aveva lavorato sodo con il suo gruppo e la poteva considerare un suo trionfo. Eppure, l’inattesa domanda: “Come nasce un’idea come la Man?”, che gli era stata rivolta da un giornalista durante una delle numerose interviste, aveva il potere di paralizzarlo per qualche momento e lui sapeva bene perché
Le “ombre” inquietanti, “pesanti e fredde” del passato tornavano a soffocarlo. C’era da aspettarselo, prima o poi. Dopo molti anni, Giorgio, uno dei suoi più cari amici, era tornato per vendicarsi ed era diventato il suo più grande nemico: un vecchio amico che era stato ferito nell’anima, che aveva subito un tradimento da parte di quel gruppo di amici e che aveva visto, in definitiva, portargli via l’idea della costituzione della società Man. Da quel momento aveva costruito, pazientemente e con perversa e diabolica lucidità, la sua inesorabile vendetta: nella sua mente aveva individuato, distintamente e senza alcun dubbio, nella figura dell’ex amico Marco Magrini, il responsabile unico di tutto ciò che era accaduto, del successo degli altri tre amici nella società Man che vedeva Marco alla sua guida trionfale da più di dieci anni. Era giunto il momento, tanto atteso, di farla pagare a caro prezzo all’uomo che aveva rovinato la sua vita: la strategia era quella di stritolarlo in una morsa d’acciaio senza nessuna possibilità di sfuggire alla vendetta e, per prima cosa, aveva stretto alleanza con John Sullivan, presidente della Dyamond, la più importante multinazionale che aveva interessi in qualsiasi ramo commerciale, un colosso imbattibile dominato da un uomo spietato che lasciava terra bruciata al suo passaggio e, non a caso, era chiamato “Tornado”. Fare i conti con un nemico del genere significava, per Marco Magrini, la fine certa della sua carriera. La fine della Man. La sicura sconfitta, in una sfida senza confini, con l’ex amico Giorgio, con alcuni amici d’un tempo, con la sua futura vita e con le “ombre” opprimenti del passato.
Il desiderio di vendetta, però, non aveva fatto i conti con il forte legame d’amicizia fraterna tra Marco ed Alessandro, uno degli amici fondatori della Man: nel giorno della resa dei conti, nell’ultimo probabile consiglio d’amministrazione di Marco Magrini alla guida della Man, nel momento della decretazione della sua fine, come imprenditore e come uomo, ecco il colpo di scena che cambia le carte in tavola.
Massimo Monticone costruisce un romanzo sorprendente ed avvincente e, da magistrale narratore, dimostra di possedere le doti della raffinatezza per cogliere le contraddizioni, le paure più segrete, le fragilità mascherate e i dettagli più profondi e laceranti dei protagonisti del romanzo, sovente, muovendosi con un bisturi letterario nel loro mondo interiore ed analizzando con precisione ciò che veramente rappresenta la sostanza stessa della loro vita.
Massimo Monticone ha il senso strategico della narrazione, l’efficacia nel rendere le personalità dei personaggi che concorrono a formare una “umana tragedia” nonché la maestria nel cesellare le numerose vicende che si susseguono a ritmo incalzante e rendono palpitante la lettura.
In un doloroso viaggio nella memoria, riemergono le “ombre” del passato, la simbolica “resa dei conti” con la vita stessa da parte dei protagonisti, la possibile caduta nel baratro e la salvazione, la riemersione della verità e, non v’è sconfitta ma dolore, sofferenza per la caduta nella vertigine immane, la dimostrazione di quanto è fragile il sogno di un compimento della vita e come è facile perdersi nel dissolvimento delle “ombre”.

Massimo Barile


Ombre


UN’ALBA DIVERSA


DIECI ANNI PRIMA

“Mio Dio cosa abbiamo fatto…?”
La Porsche nera squarciò il silenzio del primo mattino, come un ombra scura e velocissima, percorrendo rapidamente le vie della città. Non c’erano ostacoli. La strada era silenziosa e deserta, come ogni cittadina di provincia che si rispetti, quelle chiamate “a misura d’uomo.”
Era una fresca alba settembrina e Marco Magrini stava guidando faticosamente la sua Porsche verso casa, con qualche evidente sbandamento di troppo e ripetendo senza fine la stessa drammatica frase.
“Mio Dio cosa abbiamo fatto…?”
Visibilmente stanco, provato, tracciava le traiettorie a memoria, avendo una conoscenza perfetta della strada ma si trattava di un rientro tutt’altro che agevole. Stava facendo i conti con la stanchezza, la sbornia da smaltire e le fatiche di una precedente giornata interminabile, una giornata diversa dalle altre.
Se lo sentiva dentro.
Sentiva il peso gravoso di quello che era successo, una sensazione di malessere diversa dal senso di nausea persistente che sarebbe dovuto sfociare prima o poi da qualche parte.
Nei momenti migliori, quando era sobrio, i suoi rientri erano diversi. Si trattava di una curiosa vena romantica, che lo distingueva nettamente dai suoi coetanei a cui generalmente non fregava altro che rientrare alla svelta nel proprio letto, una differenza di cui era orgoglioso.
Lui invece sapeva soffermarsi piacevolmente davanti alle facciate dei palazzi, alle vetrine dei negozi, agli orizzonti dei lunghi corsi, lasciandosi trasportare da una città in grado di regalare quelle sfumature uniche, su cui lo sfondo delle colline monferrine, imprimeva una pace d’altri tempi.
Sensazioni speciali, nuovamente illuminate di una luce naturale, visibile solo nei primi momenti del nuovo giorno. Ne subiva indubbiamente il fascino ed era strano.
Ventidue anni e pochi esami per laurearsi in ingegneria, Marco Magrini solitamente adorava quei rientri mattutini; ricco di famiglia ed amante della vita viveva la condizione ideale della giovinezza.
Eppure, seduto nel suo lussuoso abitacolo, disorientato e completamente ubriaco, era talmente inquieto da non riuscire a fare altro che rievocare le immagini relative agli avvenimenti delle ultime ore. Ripartivano automaticamente, senza volerlo e nonostante pregasse ardentemente di poterle dimenticare sul momento. In alternativa, stremato dal tormento interiore, avrebbe pagato di tasca sua per materializzarsi fisicamente nel recentissimo passato e cancellare ogni cosa. Non poteva e lo sapeva bene come sapeva che la realtà stava diventando insopportabilmente pesante.
“Cosa abbiamo fatto…?”
Si sentiva quasi soffocare. Era ottenebrato e confuso e non solo perché aveva bevuto parecchio e per tutta la notte. I fatti accaduti, fatti importanti, imponevano ragionamenti accurati ma per quanto li vedesse davanti a sé, non riusciva a metterli a fuoco, non come avrebbe voluto perlomeno.
Si sentiva come davanti ad un puzzle troppo complicato per poter essere ricostruito, dove ogni volta il tassello scelto si rivelava in difetto o in eccesso per poter essere incastrato perfettamente
Di poco ma di quel tanto per non entrare da nessuna parte.
Forse era troppo presto. O era tardi. Tremendamente tardi.
Ne era sconvolto. Sorpreso.
Nella sua mente ripeteva affannosamente a se stesso ciò che l’avrebbe potuto giustificare davanti agli altri. Le sue ragioni, le sue motivazioni.
Lo faceva ma sapeva anche che era tutto inutile. Non avrebbe convinto nessuno, a partire da se stesso.
No. Questa volta l’alba non lo stava affatto aiutando.
Si guardò per un istante nello specchietto retrovisore. Vide nettamente l’ansia dipinta sul suo viso. Gli occhi castani di solito vivaci e pungenti erano stanchi, quasi chiusi. I capelli più lunghi del solito, arruffati e spettinati, tradivano i recenti eventi. Aveva l’aria di un pugile alla fine dell’ultimo round. Un pugile che non avrebbe vinto l’incontro.
Giunse a casa, una bella villa appena fuori dalla città. Mentre il cancello automatico si apriva attraverso una lentezza che considerò esasperante, sospirò. Si rese conto che avrebbe dovuto muoversi a tappe per giungere in camera sua senza destare troppi sospetti.
Guidò fino al cortile retrostante, poi parcheggiò, scese dall’auto e con fatica si diresse faticosamente verso la porta di servizio. Percorse i pochi metri barcollando vistosamente. Le luci del nuovo giorno iniziavano a farsi più nitide, rendendo meno complicato il suo orientamento eppure le pietre del cortile, ai suoi occhi, si stavano muovendo perfidamente.
Squillò il suo cellulare. Marco vide sul display il nome di chi lo stava chiamando e rispose senza esitare.
“Come sta?”
“È con me.”
“Soli?”
“Sì?”
“E adesso? Che succederà?”
Aveva posto quella domanda col piglio disperato di chi sa già che non esiste una risposta positiva. Dall’altra parte infatti prima ci fu una breve pausa e poi la più prevedibile delle risposte.
“Niente. Non succederà niente.”
Riattaccò. Chiuse gli occhi poi li riaprì constatando con rammarico che nulla era cambiato, e riprese la sua corsa verso il letto. Giunse davanti alla porta. Cercò di infilare le chiavi nella toppa il più delicatamente possibile; centrò la serratura al primo colpo e lo considerò un trionfo. Aveva la sensazione di sudare mentre in realtà non scendeva alcuna goccia dal suo corpo.
Ora toccava alle scale. Due rampe. Iniziò faticosamente a salire un gradino dopo l’altro. Ne contò almeno un centinaio, ma sapeva in cuor suo che non erano più di venti.
Non cadde e non rotolò giù. Era a metà dell’opera.
Il successivo obiettivo consisteva nell’evitare di svegliare i suoi genitori, la cui stanza era in fondo al corridoio. Riuscì a mettere a fuoco la posizione delle lancette sul suo orologio. Le cinque.
Non doveva assolutamente farsi sentire da suo padre.
Assolutamente.
Riuscì ad entrare in camera. Si svestì e si buttò sotto le coperte in un lasso di tempo che considerò minimo. L’impatto con il cuscino fu il primo aspetto positivo delle ultime ore. Per un istante, un solo e rapidissimo istante, dimenticò ogni cosa lasciandosi trasportare da una stanchezza indicibile. Poi però quasi ridestato dai suoi stessi pensieri, non poté evitare un altro lunghissimo sospiro.
Iniziò ad avere delle strane allucinazioni. Vide infatti le pareti muoversi attraverso un ritmo lento e costante. La luce mattutina scappata attraverso le persiane, strisciò sui muri, proiettando strane ombre che iniziarono a danzare attorno a lui attraverso un tremendo gioco di luci. Nel suo stato di completa ubriachezza vide in quelle nere figure esseri animati e minacciosi che si muovevano in ogni direzione, attraverso scatti improvvisi e lunghi giri ondulati, indubbiamente pronti ad attaccarlo mortalmente. Sapeva in cuor suo che l’alcol gli stava giocando un brutto scherzo ma non riuscì ad evitare la suggestione di quelle macabre visioni.
Spaventato, quasi meravigliato, si impose un minimo di autocontrollo e distolse lo sguardo dalle ombre. Iniziò a fissare il soffitto, cercando disperatamente il filo dei suoi pensieri.
Il risultato fu un disastro.
Ripercorrendo per l’ennesima volta il volgere delle ultime ore, considerò che se quello che era da poco successo fosse diventato di dominio pubblico, le persone a lui più vicine, una parte di esse almeno, avrebbero per sempre cambiato opinione sulla sua persona. Il mondo che frequentava, quello che conosceva meglio, quello che amava e che lo rendeva vivo e felice di esistere, sarebbe andato in mille pezzi.
La sua vita era stata fino a quel momento una piacevole ed entusiasmante esperienza che le conseguenze dei suoi ultimi gesti avrebbero potuto spazzare via completamente.
Ormai travolto da un’irrefrenabile voglia di trovare una soluzione ai suoi dilemmi, fece un’altra considerazione, questa volta a voce alta, parlando col soffitto e con le ombre:
“Gli altri come si comporteranno?”
Sentì il suo battito accelerare. Le ombre vorticarono perfidamente ancora una volta attorno a lui. Ebbe l’impressione di vederle ridere.
Ghignanti e soddisfatte, consapevoli di averlo catturato, attirato nella loro trappola.
Chiuse gli occhi sfinito.
Fu l’ultimo ricordo di quella pazzesca giornata; subito dopo infatti riuscì ad addormentarsi.


DIECI ANNI DOPO

“Le sto dicendo che è impossibile. Il signor Magrini non può parlare con nessuno in questo momento.”
Il tono inflessibile e vagamente infastidito ritornò dall’altra parte della cornetta non lasciando spazio ad alcun fraintendimento.
“Signorina mi scusi, ma lei ha presente per quale giornale lavoro? Ha presente chi è il mio editore? Sappia che lui e l’ingegner Magrini insieme hanno…”
“Guardi so perfettamente per chi lavora, come del resto lei sa per chi lavoro io. Quindi, la risposta è sempre la stessa”
Sorpreso di fronte all’inequivocabile rifiuto, nonostante l’illustre riferimento che avrebbe dovuto spalancare definitivamente le porte dell’intervista, l’uomo staccò il telefono senza salutare.
Si trattava dell’ennesimo tentativo di irruzione negli uffici della direzione. Sotto in portineria il gruppo di giornalisti frementi ed isterici stava mettendo in seria difficoltà il personale.
Maria, la segretaria personale di Marco Magrini, senza indietreggiare di un passo, aveva regalato un altro secco rifiuto senza possibilità di ripensamenti.
Terminato il concitato battibecco, per nulla turbata e cambiando completamente tono di voce, schiacciò sul telefono il pulsante relativo all’ufficio del suo datore di lavoro, sfornando una melodia calda e professionale allo stesso tempo.
“Signor Magrini, le ricordo l’appuntamento con il signor Pescati. Tra un’ora esatta.”
Il messaggio fuoriuscì nitidamente dal vivavoce posto sopra la scrivania, rompendo il silenzio dell’ufficio. Marco Magrini ebbe una leggera esitazione, poi rispose alla sua collaboratrice tornando al solito piglio deciso.
“Grazie Maria.”
L’uomo seduto di fronte a lui era rimasto impassibile, intento a scrutare ogni singola smorfia del suo viso, nel tentativo di interpretarlo, quasi di tradurlo. Nell’ufficio il silenzio regnava già da prima dell’intervento di Maria.
“Ingegner Magrini, va tutto bene?”
“Certo. Le chiedo scusa. Non è un buon momento come può immaginare. Inoltre non ho più troppo tempo a disposizione. Come ha sentito tra poco ho un appuntamento di lavoro molto importante.”
Era una bugia. In realtà in agenda l’appuntamento indicato da Maria era previsto per il giorno dopo però Marco aveva dato ordini precisi alla sua collaboratrice. Dopo un quarto d’ora avrebbe dovuto richiamarlo per indurre l’uomo nel suo ufficio ad andarsene.
“Mi rendo perfettamente conto. E non la tratterrò oltre. Capisco il suo stato d’animo.”
“Non mi era mai capitato nulla di simile.”
“Naturalmente. E la ringrazio nuovamente per aver accettato di parlare con me. Del resto era liberissimo di non farlo. L’interrogatorio di ieri è stato più che esaustivo.”
“A tal proposito, se posso permettermi ispettore Berselli…”
Marco lasciò cadere la frase nel tentativo di farsi capire senza concluderla, l’ispettore però non replicò.
“Non capisco il motivo di un nuovo colloquio. Come ha già detto lei pensavo di avervi già detto tutto.”
L’ispettore sorrise molto pacatamente, quasi con pigrizia.
“Ha perfettamente ragione. Ma sa, in alcune circostanze lasciare passare una nottata può rendere la memoria maggiormente aperta ai dettagli. Quelli magari dimenticati a causa del trauma.”
Marco fissò l’ispettore Berselli. Ai suoi occhi aveva davanti un uomo sulla cinquantina avanzata, non portati benissimo; c’erano più rughe di quelle che avrebbe dovuto avere. Berselli era un uomo flemmatico e lo sarebbe stato di fronte a qualunque situazione. A prescindere dal contesto e dall’oggetto del discorso, la fisionomia del suo viso non cambiava mai; gli capitava solo di sfumare sull’ironia nei momenti in cui riteneva necessario sottolineare particolare disappunto, rivelando il proprio sarcasmo direttamente dai suoi occhi castani.
Aveva l’aria di fare il proprio lavoro ormai a memoria, senza sussulti e senza aspettarsi nulla dalla vita, dalle indagini e dal susseguirsi delle sue giornate. Ispettore capo della Questura di Torino, ne aveva viste a sufficienza per lasciare da parte facili entusiasmi e disperazioni isteriche. Sapeva fare bene il poliziotto però e quando qualcosa nei suoi ragionamenti non filava, aveva l’abitudine e per certi versi l’umiltà di tornare sui suoi passi per cercare di capire cosa non andava. A costo di ritornare banalmente sulle stesse domande.
“Ispettore, le posso assicurare che non ho nessun ricordo nuovo.”
“Capisco, ma vorrei rubarle ancora qualche minuto.”
“Come vuole.”
“Ricapitoliamo?”
Marco trasse un lungo sospiro.
“Ricapitoliamo.”
L’ispettore sorrise divertito.
“Bene. Ricapitolando, la scena si è svolta due notti fa all’inizio di Piazza Castello vicino al teatro Regio.”
“Esatto.”
“Erano le 23 circa e stava tornando a casa, dalle parti di via Garibaldi.”
“Vero, sono stato a mangiare fuori. Ero in zona e per questo non avevo la macchina. Quando posso mi piace passeggiare.”
“Capisco”
Berselli dava l’impressione di riascoltare con attenzione ogni sua parola nel tentativo di coglierne sfumature diverse.
“Il fatto. Improvvisamente viene sostanzialmente intercettato da una vettura, un Bmw scuro con i vetri neri.”
“Proprio così.”
“Dalla macchina sono scese quattro persone.”
“Sì, la macchina è sbucata fuori dal nulla e quattro uomini incappucciati sono scesi circondandomi.”
“Quindi era nelle condizioni di non poter scappare da nessuna parte.”
“Sì.”
“Un blitz molto rapido. Da professionisti.”
“Esatto. Saranno passati in tutto dieci secondi.”
“Ha provato a fuggire, a chiamare aiuto?”
“Non ne ho avuto il tempo perché mi sono trovato circondato ed ho capito subito che non si trattava di una rapina. Volevano portarmi via.”
Ci fu una pausa voluta da entrambi.
“E poi ingegnere? Continui per favore.”
“Diciamo che non ho avuto il tempo di rendermene conto. Perché nel giro di una frazione di secondo, è accaduto un fatto stranissimo. Un’altra macchina, un’Audi sempre nera ci è piombata addosso.”
“E poi?”
Marco iniziò a provare fastidio per quello che a tutti gli effetti stava diventando un secondo interrogatorio. Ciononostante terminò il racconto.
“Dalla seconda macchina ancora in movimento, sono partiti subito alcuni spari. In aria. Hanno frenato davanti alla Bmw e sono usciti. Erano veloci come lo erano stati prima gli altri. Erano in cinque. Hanno sparato ancora un paio di colpi in aria. Il gruppetto della Bmw è rimasto chiaramente sorpreso dal loro arrivo. I cinque dell’Audi hanno iniziato a sparare abbassando il tiro. Non hanno colpito nessuno ma davano l’impressione che di lì a poco avrebbero iniziato a farlo.”
“E quelli della Bmw cos’hanno fatto?”
“Sono scappati senza rispondere al fuoco. Sono ripiombati in macchina e sono scattati via in direzione di Via Roma.”
“E gli altri?”
“Sono andati via anche loro, verso via Po.”
In ufficio ripiombò il silenzio.
L’ispettore Berselli che non aveva mai smesso di fissare Marco tornò a sorridere, riuscendo contemporaneamente ad assumere un’espressione gelida.
“Ingegnere. Ricapitolando, l’altro ieri lei è stata vittima di quello che a tutti gli effetti si può considerare un tentato sequestro. Ma prima di essere portato via da un gruppo di persone che le ha dato l’impressione di sapere esattamente quello che stava facendo, un altro gruppo di persone che lei dice di non aver identificato, l’ha salvata senza nemmeno fermarsi per chiederle come stava o per farsi ringraziare. Il tutto in pieno centro a Torino.”
“È così.”
L’ispettore, senza smettere di sorridere, si passò una mano sul mento.
“È così. Sì. Del resto le testimonianze dei passanti hanno descritto chiaramente la stessa scena che mi ha di nuovo raccontato adesso.”
“Ispettore cosa sta cercando di capire?”
“Vede ingegnere. Faccio questo lavoro da tanto tempo. A Torino da quindici anni. Come può immaginare ne ho viste parecchie. Ma questa ancora mi mancava.”
Marco non riuscì più a trattenere il proprio malumore.
“Pensa che le sto nascondendo qualcosa?”
“Credo di no. Del resto non ci sono buchi o contraddizioni tra il suo racconto e le testimonianze. Ma ammetterà che la scena si presenta ai nostri occhi piuttosto curiosa.”
“È vero.”
“Vede Magrini, lei è uno dei più importanti imprenditori del nord Italia e ha solo trentadue anni.”
Marco nonostante quello che a tutti gli effetti sembrava essere un complimento, non mutò espressione. Come per ridestarsi si tolse gli occhiali da vista passando energicamente le mani sulla faccia, quasi a voler fisicamente mandare via la negatività precedente. L’attestato di stima dell’ispettore parve ai suoi occhi una considerazione poco gradita e soprattutto banale. Negli ultimi mesi l’aveva sentita ripetere un’infinità di volte ed aveva perso parecchio del suo significato.
Berselli riprese in mano l’ultima edizione di Panorama che si era portato dall’ufficio. Marco era lì, in copertina, troneggiava attraverso una foto che avrebbe dovuto rappresentarlo in tutta la sua grinta ma che lui aveva trovato fin da subito soprattutto molto buffa. Avevano scelto un ridicolo scatto in cui l’avevano fatto sedere per davvero su un trono grezzo e senza alcuno stile.
Non era stato possibile far cambiar idea al fotografo che aveva deciso con grande entusiasmo che quella era l’immagine giusta per rappresentarlo a capo della nuova generazione imprenditoriale italiana. Il titolo richiamava la lunga inchiesta sul fenomeno dei giovani milionari, sulle loro vite, sui loro imperi. L’ispettore diede nuovamente una rapida occhiata all’articolo. L’ingegner Magrini era stato inserito alla cima della graduatoria e lo spazio dedicato alla sua storia era il doppio rispetto agli altri imprenditori.
Rileggendo ciò che aveva già letto più di una volta, Berselli estrasse alcuni brani dalla lunga inchiesta di cui Marco era protagonista.
“Marco Magrini ha fatto il suo ingresso nell’èlite dell’alta società italiana già da qualche anno. Nonostante la giovanissima età il suo nome è diventato sinonimo di successo. Il made in Italy come dovrebbe essere sempre.”
Marco non rispose e Berselli continuò a leggere.
“Qua dice che una delle sue capacità più importanti è la straordinaria abilità nel creare reddito da qualunque attività. È diventato un modello da seguire.”
Alle sue orecchie il tono dell’ispettore non riusciva a nascondere una vena sarcastica odiosa eppure le sue parole erano del tutto vere.
“Ingegnere, essere in grado di tenere testa ai più feroci predoni dell’alta finanza, senza timore, può provocare conseguenze sgradevoli, lo sa?”
“Non credo che questo c’entri con quello che è successo l’altra sera. Che c’entri qualche collega invidioso intendo.”
“E perché no?”
“Troppo rischioso e poco redditizio. Non mi vedo nessuno di loro alle prese con il mio sequestro.”
“Magrini, sfidare e battere ripetutamente tutti quelli che hanno provato a contrastare le sue iniziative non deve essere divertente dal loro punto di vista. Tra loro ci sono personaggi trenta, quarant’anni più vecchi di lei.”
Marco divenne molto serio e Berselli ne approfittò per incalzarlo nuovamente.
“Senza considerare la sua popolarità.”
Ancora una volta l’ispettore non si sbagliava. Marco era diventato qualcosa di più di un semplice imprenditore; era “il fenomeno”, come spesso i giornali amavano chiamarlo.
Attraverso un meticoloso e costante lavoro alla sua immagine e strizzando l’occhiolino alla vita pubblica. Ne era derivato un mix curioso quanto intrigante che l’aveva portato ad occupare con facilità nello stesso momento sia le copertine dei giornali d’alta finanza sia quelle popolari, coinvolgendo tutti i mass media in un’attenta disamina sulla sua incredibile ascesa.
L’ispettore fece un’altra smorfia che a Marco apparve ancora più ironica delle altre.
“È l’uomo del momento.”
“Non sono l’unico.”
“Ma c’è la MAN.”
Già, la Man.
La Man era la sua società più importante. Leader nel marcato della comunicazione italiana, quotata in borsa e con prospettive di espansione incalcolabili, fatturava quasi seicento milioni di euro all’anno. Attraverso l’acquisizione dei condotti necessari, l’azienda di Marco si era trasformata in un colosso in grado di accettare ogni tipo di appalto su scala nazionale.
Marco Magrini ne era stato uno dei fondatori insieme ad alcuni dei suoi più cari amici ma la cosa straordinaria riguardava l’epoca in cui ciò era avvenuto: quando accadde non erano nemmeno ventenni.
“Dai giornali ho letto che nessuno avrebbe mai potuto immaginare quello che è oggi la Man.”
Si trattava dell’ennesima affermazione del tutto pertinente.
A partire dai suoi parenti più stretti, suo padre su tutti, l’iniziativa era stata immediatamente bollata come una stupidaggine molto dispendiosa. L’avventura nel campo pubblicitario, in un settore dove da decenni esistevano pochissime alternative, e soprattutto in una città come Torino, ritenuta così poco adatta a quel tipo di mercato, sembrava quasi folle, soprattutto per chi doveva partire da zero, così giovane e senza alcuna esperienza alle spalle.
Eppure l’azienda aveva dato vita ad uno straordinario e totalmente imprevedibile percorso commerciale, rendendo nel giro di una decade la Man uno dei successi italiani più clamorosi del dopo guerra. Marco ne approfittò, percorrendone parallelamente l’ascesa. Attraverso la Magrini Group, la sua cassaforte che deteneva la maggioranza assoluta della Man permettendogli il totale controllo delle strategie aziendali, e la quota più importante degli utili azionari, si era permesso l’acquisizione di una variegata tipologia di proprietà e di partecipazioni societarie. Tutte in ottime condizioni di salute.
La Man rappresentava il più grande dei suoi trionfi, a tutti gli effetti un capolavoro, ed a distanza di dieci anni dall’inizio di quella che era stata chiamata follia, Marco Magrini era diventato il numero uno.

[continua]

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